2009/06/29

Pentagono, intervista al testimone oculare Mike Walter

di Hammer

Il giornalista di USA Today Mike Walter è uno dei più noti testimoni oculari dell'attacco al Pentagono. Le sue parole, pronunciate in un'intervista rilasciata alla CNN lo stesso giorno, sono state infatti spesso distorte e tagliate ad arte dai complottisti per supportare le loro tesi in base a cui un missile, e non un aereo di linea, avrebbe colpito il Pentagono. I tagli sono citati per esempio da Der Spiegel e nel documentario di Undicisettembre Misteri da Vendere.

Da allora Walter è molto impegnato nel far conoscere al grande pubblico la verità di quanto accaduto e ha recentemente ultimato un documentario intitolato "Breaking News, Breaking Down" in cui narra uno degli aspetti meno noti della tragedia dell'11 settembre: ovvero il dolore e lo sconvolgimento che accompagnano da allora chiunque abbia assistito a quei tragici fatti.

Recentemente il gruppo Undicisettembre ha avuto occasione di entrare in contatto con Walter, che ha acconsentito a rilasciarci un'intervista. E' un'occasione per sgombrare definitivamente il campo da molte teorie complottiste tra le più diffuse, non ultima l'arrampicata sugli specchi di Massimo Mazzucco secondo la quale Walter avrebbe confuso un missile con un aereo.

Ringraziamo Mike Walter per la sua grande cortesia e disponibilità. L'originale inglese di quest'intervista è disponibile qui.

Undicisettembre: Ciao Mike, è un onore poter parlare con te e riportare le tue parole ai nostri lettori in Italia che spesso sono ostacolati da vincoli linguistici. Grazie del tempo che ci stai dedicando per raccontare ancora una volta la tua esperienza. Ti va se cominciamo occupandoci delle teorie cospirazioniste, così ce le leviamo di torno?

Mike Walter: Sì, certo. Anzitutto vorrei ringraziarvi per questo spazio che mi state concedendo per comunicare direttamente anche al pubblico italiano su questo argomento così importante. Per chi è stato testimone dell'orrore che ho visto io quel giorno è molto importante rendere onore alle vittime fornendo un'onesta testimonianza di ciò che è successo. Credo che coloro che per qualunque ragione distorcono i fatti rendano un grave disonore a chi è morto e ai loro cari che hanno lasciato.


Undicisettembre: Ci puoi fare un breve racconto della tua esperienza e di ciò che hai visto quella mattina? Cosa ricordi, in generale?

Mike Walter: Stavo andando al lavoro, a quel tempo lavoravo a 5 minuti di distanza dal Pentagono. Percorrevo abitualmente la freeway che porta alla Highway 27, che mi portava proprio a costeggiare il Pentagono, e a quel punto finivo sulla strada che portava al parcheggio nord del Pentagono e che con una curva mi immetteva sulla 110. Non era quindi un caso che io fossi lì, come qualcuno ha ipotizzato. Ero in ritardo quella mattina, ed ero bloccato nel traffico.

Stavo sentendo alla radio il racconto di ciò che stava succedendo a New York. Ero molto frustrato, perché ero io il corrispondente principale del quotidiano nazionale USA Today. Abbassai il finestrino della mia auto e udii il jet. Guardai in su e ne vidi il ventre, poi s'inclinò in modo molto composto e iniziò una ripida discesa. Finì per schiantarsi contro il Pentagono.


Undicisettembre: La prossima domanda è inevitabilmente sulla dimensione del buco sulla facciata del Pentagono. Alcuni dicono che fosse troppo piccolo per un aereo di linea. Qual è la tua opinione a riguardo? Hai avuto modo di vedere bene il foro prima che quella parte dell'edificio crollasse?

Mike Walter: Sì... ho sentito questa storia... ma tutto ciò che posso dire è che se si sta viaggiando con questa forza a oltre 800 chilometri orari e ci si schianta contro una struttura di cemento, qualcosa deve cedere. Quando l'aereo si schiantò contro il Pentagono, andava a una tale velocità che quando le ali impattarono, in sostanza si piegarono all'indietro... ecco perché il buco non è così largo.



Undicisettembre: Qualcuno su Internet sostiene che non ti fu possibile vedere direttamente l'impatto perché la tua visuale era ostruita da alcuni alberi. E' così?

Mike Walter: Questa storia proviene da un'intervista precedente che ho rilasciato qui negli USA. La mia visuale era ottima. C'erano alcuni alberi... quindi sono stato onesto nel precisarlo... Non ero del tutto sicuro se l'aereo avesse urtato il suolo sobbalzando prima di penetrare nel Pentagono o se si fosse schiantato direttamente contro il Pentagono in un punto molto basso dell'edificio. Ma per quanto riguarda la mia visuale... quella è stata l'unica parte sulla quale ho avuto qualche dubbio... il modo preciso in cui è entrato. Vidi l'aereo entrare nel Pentagono, non ci sono dubbi a riguardo. Avevo un'ottima visuale. Vidi le ali piegarsi all'indietro; vidi l'enorme esplosione, la palla di fuoco e tutto il resto di quel che accadde quel giorno.


Undicisettembre: Un cospirazionista italiano [Massimo Mazzucco, NdT] sostiene che avresti confuso un missile Cruise con un aeroplano. Immagino che tu possa smentire definitivamente anche questa leggenda, giusto?

Mike Walter: Anche qui, di nuovo, le persone hanno preso le mie parole e le hanno distorte. Il fatto che ho menzionato gli alberi è stato sfruttato per screditare la mia testimonianza.

Anche questo concetto del missile Cruise viene da un'intervista che rilasciai quel giorno quando qualcuno mi chiese se pensavo che l'aereo avesse puntato intenzionalmente contro il Pentagono o se si fosse trattato semplicemente di un incidente.

Fu allora che dissi "Era come un missile Cruise con le ali ed è andato direttamente lì" indicando l'area dell'impatto. Quello che volevo dire era che l'aereo non era più un aereo. Chiunque lo stesse pilotando aveva ogni intenzione di trasformarlo in un'arma... come un missile. Ma l'idea che fosse un missile e non un jet sarebbe risibile, se non fosse così triste. Credo proprio che sia davvero triste, perché c'è gente che crede davvero a queste cose.

Undicisettembre: Vedesti qualche rottame dell'aeroplano sul terreno?

Mike Walter: Sì. E non fui il solo, anche altri testimoni e alcuni giornalisti e fotografi che erano lì per riportare notizie dell'attacco videro i rottami.


Undicisettembre: Vedesti qualcuno dei sopravvissuti o ne ascoltasti i resoconti? Cosa puoi dirci riguardo a queste persone?

Mike Walter: La copertura dell'evento fu suddivisa: giornalisti differenti seguirono aspetti differenti della vicenda. Non parlai con nessuno dei sopravvissuti che erano dentro al Pentagono e che ne uscirono. Parlai con persone che erano dentro al Pentagono e ne uscirono, ma erano in altre zone del Pentagono. Come sicuramente sai, il Pentagono è enorme ed è strutturato ad anelli. La maggior parte delle persone con le quali ho parlato si trovava in altri anelli.


Undicisettembre: Cosa puoi dirci dei pompieri e dei soccorritori?

Mike Walter: Furono profondamente colpiti da ciò che si trovarono a fare. Lavorarono per lunghe ore e il loro impegno fu molto intenso. So che molti rimasero traumatizzati da ciò videro in conseguenza di quell'attacco.


Undicisettembre: Come hai reagito al fatto di essere stato testimone di una tale tragedia e poi sentire i sedicenti "truthers" sostenere che fu tutta una messinscena?

Mike Walter: Inizialmente pensavo che queste persone fossero ridicole e che sarebbero scomparse, ma purtroppo molta gente crede ai loro racconti. In questa era di Internet possono circolare tante informazioni sbagliate, e più circolano, più prendono piede e più gente tende a crederci. So che molti giovani credono a questa roba... perché mia figlia ha 22 anni e alcuni suoi amici mi hanno fatto domande a lungo su questo argomento perché hanno visto molte delle cose che girano su Internet e sono confusi.


Undicisettembre: Molti giornalisti in Italia sostengono la teoria MIHOP (make it happen on purpose, "farlo accadere") o anche solo la LIHOP (let it happen on purpose, "lasciare che accadesse"). Com'è la situazione tra i tuoi colleghi negli Stati Uniti?

Mike Walter: Credo che i miei colleghi abbiano ignorato questo movimento a lungo. Io cominciai presto a vedere questo fenomeno e me ne preoccupai. Fui contattato da un giornalista francese circa sei mesi dopo l'attacco, cioè dopo che Thierry Meyssan aveva pubblicato un libro in cui diceva che l'attacco era stato un "inside job" [autoattentato, NdT] e che non c'era stato nessun aereo.

Mi allarmai quando seppi che il libro era un bestseller. Pensai che sarebbe stato opportuno raccontare qualcosa sulla diffusione di questo materiale su Internet e fare qualcosa per mostrarne la natura falsa. Ma all'inizio i giornalisti americani pensavano che fosse pazzesco che esistesse gente che diceva queste cose e li ignorarono.

Ora raccontano qualcosa di questa gente come se fossero una curiosità. Ma purtroppo ogni volta che si occupano di questo argomento in questo modo danno a questa gente più credito e credibilità. Credo fermamente che i giornalisti dovrebbero occuparsi di più di preparare del materiale ragionato che screditi queste teorie bizzarre.


Undicisettembre: Credi che ci sia qualcosa di anche solo vagamente plausibile tra le varie teorie del complotto?

Mike Walter: Credo che ci sia una sfiducia diffusa nelle autorità, e credo che molti trovino difficile da credere che una delle nazioni più potenti del mondo possa essere vulnerabile a questo tipo di attacco. Quindi, se si combinano queste due cose si ottiene un terreno fertile per una teoria di complotto.


Undicisettembre: Lasciando da parte le dichiarazioni complottiste, ci sono aspetti dell'11 settembre che secondo te richiederebbero ulteriori investigazioni? Misteri irrisolti o lacune fastidiose che andrebbero colmate, magari per dare un senso di conclusione alle emozioni che stanno intorno a questo evento? Quali vie di indagine e ricerca sull'11 settembre suggeriresti ai giornalisti?

Mike Walter: Purtroppo non sono la persona giusta alla quale fare questa domanda. Io non ho dubbi su ciò che è successo quel giorno... perché l'ho visto con i miei occhi. La sola storia che vorrei vedere raccontata sull'11 settembre è questa... l'impatto sui giornalisti.

Ho realizzato un documentario su come io ne sono stato colpito psicologicamente, ma credo che ci siano disturbi di carattere medico associati all'11 settembre, e ci sono molti giornalisti e fotoreporter che ora stanno affrontando problemi di salute associati al fatto di essere stati coinvolti nel raccontare da New York l'11 settembre e i giorni che ne sono seguiti. David Handschuh, un fotoreporter di New York, sta svolgendo uno studio davvero affascinante su questo argomento, e ci sono molti giornalisti che stanno soffrendo per il fatto di avere svolto il proprio lavoro quel giorno e nei giorni successivi.


Undicisettembre: OK, basta con le teorie del complotto. Passiamo a questioni più personali. Questo evento così tragico come ha influito sulla tua vita quotidiana?

Mike Walter: Dopo l'attacco ne fui molto colpito. Vedere questo orrore fu molto difficile. Mi ero occupato di processi per omicidi di massa in passato, ma non avevo mai visto un omicidio di massa svolgersi proprio davanti a me.

Pochi giorno dopo l'attacco dovetti intervistare una giovane vedova mentre i suoi due piccoli figli giocavano poco distante; aveva salutato il marito con un bacio quella mattina e lui era andato al lavoro. Lei non avrebbe mai potuto immaginare che la vita del marito sarebbe finita poco dopo. Vedere questa donna emotivamente a pezzi e vedere altre persone che avevano perso i propri cari quel giorno fu molto duro, perché io ero stato testimone dei loro ultimi istanti e avevo visto lo strumento della loro morte pochi istanti prima che colpisse.

E' difficile da accettare. Per questo sono stato tormentato dagli incubi su ciò che avevo visto e sono anche rimasto molto depresso dopo l'attacco. Spero quindi che il mio film possa aiutare altri che hanno dovuto affrontare storie difficili o tragedie nelle loro vite. In questo modo da quel tragico giorno potrà venir fuori anche qualcosa di buono.


Undicisettembre: L'11 settembre, da giornalista sei diventato testimone oculare; da intervistatore sei diventato un intervistato. Questo ha cambiato il tuo modo di lavorare? Ti ha dato una nuova visione dell'arte di fare giornalismo?

Mike Walter: Questa è una gran bella domanda, ed è molto acuta. Sì, non c'è modo di fare questa transizione senza esserne colpiti. Credo che sarebbe un ottimo esercizio costringere i giornalisti a stare ogni tanto dall'altro lato della telecamera. Credo che per me il più grande cambiamento sia che non voglio più perdere il mio tempo su storie tipo Paris Hilton e Britney Spears. Voglio fare giornalismo su cose importanti. Credo di essere sempre stato un giornalista compassionevole con molta empatia... ma adesso penso che queste mie capacità si siano rafforzate.


Undicisettembre: Credi che la nazione americana e il suo popolo si siano ripresi dalla tragedia? Hai l'impressione che il paese viva ancora nella paura o che abbia ripreso il proprio ruolo nel mondo?

Mike Walter: Credo che quest'ultima elezione, ma questa è solo la mia opinione personale, sia stata un referendum su questo argomento. Vogliamo essere una nazione di paura o una nazione di speranza? Credo che la precedente amministrazione abbia passato molto tempo a lavorare sulle paure degli americani.

Detto ciò, spero che non perderemo di vista quello che è successo quel giorno. Purtroppo c'è gente che ci odia. Possiamo tentare di combatterli, come ha suggerito il Presidente Bush, oppure possiamo tentare un altro approccio, di capire perché esiste quest'odio. Credo che l'odio in molti casi derivi dall'ignoranza. Se la gente impara a conoscersi, trova un terreno comune ed evita guerre e tragedie come quella alla quale ho assistito quel giorno.

Ho la netta sensazione che un risultato delle elezioni sia stato che un po' ci siamo ripresi. Credo che gli attacchi di quel giorno abbiano influenzato parti differenti di questo paese in modi differenti. So che mesi dopo l'attacco, quando andavo in California notavo che la gente si stava già riprendendo, mentre qui sulla costa orientale la gente portava ancora gli effetti di quel giorno.

Pertanto in chiusura direi che spero che abbiamo recuperato, ma spero che non dimenticheremo mai. Infatti non dobbiamo mai dimenticare cosa è successo quel giorno. E non dobbiamo mai dimenticare che ci sono state molte persone innocenti, madri, padri, figli, figlie, sorelle e fratelli, che sono morte. Le loro famiglie reagiranno, ma le loro vite non saranno mai più come prima.

2009/06/21

Zerobubbole Pocket in libro e in edizione francese

di Paolo Attivissimo

Zerobubbole Pocket, l'analisi concisa di ciascuno dei 118 errori grossolani trovati finora nel video Zero di Giulietto Chiesa e Franco Fracassi, è da oggi disponibile in versione reimpaginata e aggiornata come PDF gratuito e come libro cartaceo tramite Ilmiolibro.it. L'edizione cartacea è venduta online a prezzo di costo, arrotondato ai 10 centesimi più vicini (9,30 euro).

Inoltre Zerobubbole Pocket è ora disponibile anche in edizione francese come PDF gratuito, grazie al paziente lavoro di Jérôme Quirant e Rudy Reichstadt dei siti francesi di debunking Conspiracywatch.info e Bastison.net, coordinato da SirEdward, per consentire anche al pubblico francofono di Zero di valutare l'attendibilità delle tesi di Chiesa e Fracassi, dato che il loro video è stato presentato anche in Francia.

Il testo francese è sfogliabile qui sotto grazie a Scribd.com ed è anche scaricabile presso Bastison.net. Attualmente Zéro Pointé si basa sul testo dell'edizione 2009/01/03 di Zerobubbole.

2009/06/18

Anche Gheddafi è al soldo della CIA?

di Hammer

La recente visita nel nostro paese del leader libico Muammar Gheddafi non ha certo deluso le attese di chi si aspettava uno strascico di polemiche e discussioni. Nei pochi giorni in cui il colonnello è rimasto non ha lesinato dichiarazioni quantomeno bizzarre: una di queste avrebbe dovuto gettare nel panico la schiera complottista italiana.

Gheddafi ha infatti paragonato il bombardamento americano sul suolo libico del 1986 agli attacchi terroristici di Osama bin Laden, sostenendo che tra i due non vi sia nessuna differenza.

Le sue parole, così come riportate dal Wall Street Journal, sono molto esplicite:

"Che differenza c'è tra l'attacco americano sulle nostre case del 1986 e le azioni terroristiche di Bin Laden?"


Il leader libico ha rincarato la dose aggiungendo, come riportato dalla BBC, quanto segue:

"Se Bin Laden non ha uno Stato ed è un fuorilegge, l'America è uno Stato con regole internazionali."


Si tratta di dichiarazioni indubbiamente tanto forti quanto discutibili.

Come è ovvio, il gruppo Undicisettembre si dissocia da certe affermazioni; ma ciò che stupisce è il silenzio totale dei cospirazionisti.

Ma come? Bin Laden non è forse, nelle loro teorie, un'invenzione degli USA stessi o il capro espiatorio di un autoattentato? Al Qaeda non è un database della CIA? L'11/9 non è stato un "inside job" per giustificare l'invasione dell'Aghanistan e dell'Iraq?

Stando a quando dice Muammar Gheddafi, parrebbe proprio di no.

Ovviamente i cospirazionisti italiani hanno taciuto. Non si sono neanche accorti che anche Gheddafi smonta le loro teorie.

Ci chiediamo come reagiscono gli autori di Zero, il video che sulla natura di Al-Qaeda propone diverse teorie in mutua contraddizione, ora che anche uno strenuo oppositore degli USA smentisce le loro fandonie.

Lo chiediamo pubblicamente a loro e a tutti i complottisti.

Cari guru del cospirazionismo, bin Laden è innocente, è un capro espiatorio o è un criminale terrorista?

Il colonnello Gheddafi propende per la terza: ve la sentite di dirgli che anche lui è un disinformatore al soldo della CIA?

Siamo sicuri che non arriverà nessuna risposta, né alcuna spiegazione. I guru del complottismo sono bravi a far finta di non sentire quando le loro menzogne e manipolazioni sono rivelate come tali.

Del resto, ammettere i propri errori non è una buona strategia per chi ha come scopo quello di rifilare ai propri lettori panzane a pagamento.

2009/06/15

La rivista “scientifica” che ha ospitato un articolo dei complottisti accetta un articolo di parole a caso. Basta pagare

di SirEdward e Paolo Attivissimo

Recentemente il movimento complottista è stato galvanizzato dalla pubblicazione avvenuta su una rivista scientifica, la Open Chemical Physics Journal, pubblicata da Bentham Science Publishers di un articolo dei professori Harrit e Jones riguardante il ritrovamento di residui di un composto tuttora sconosciuto, ma che gli autori indicano come probabile supertermite. La pietra filosofale del complottismo sembrava dunque essere stata finalmente recuperata e l'ambito riconoscimento scientifico sembrava essere stato ottenuto.

Sfortunatamente, però, il sogno è durato poco. Infatti sono emersi abbastanza presto alcuni elementi problematici:
  • prima si è scoperto che l’articolo lascia perlomeno a desiderare dal punto di vista tecnico, come spiegato qui;
  • poi è emerso che l'editore invitava persone incompetenti a fungere da revisori;
  • e poco tempo dopo la pubblicazione dell’articolo l’editor in chief (redattore capo) della rivista, Marie-Paule Pileni, si è dimessa perché l'articolo non era mai stato sottoposto alla sua approvazione. Il suo giudizio è stato lapidario: "L'articolo non ha niente a che fare con la chimica-fisica o la fisica-chimica, e non faccio fatica a credere che ci sia una visione politica dietro la sua pubblicazione. Se qualcuno me l'avesse chiesto, avrei detto che l'articolo non avrebbe mai dovuto essere pubblicato in questa rivista."

Un comportamento abbastanza lontano da quello atteso da una pubblicazione scientifica seria. Ma nel caso in cui tutto questo non avesse avuto ancora la forza sufficiente per dirimere la questione in via definitiva, arriva ora una ulteriore conferma della scarsa serietà delle pubblicazioni Bentham.

Philip Davis, statunitense laureato in biblioteconomia e scienza dell'informazione presso la Cornell University di Ithaca, nello stato di New York, riferisce infatti che nei primi mesi del 2009 è riuscito a farsi accettare per la pubblicazione presso l’Open Information Science Journal, anch’esso edito dalla Bentham, un articolo intitolato Deconstructing Access Points (letteralmente, "Decostruzione di access point") e costituito da contenuti assolutamente privi di senso, come si rileva facilmente da questo brano:

In questa sezione vengono discussi gli studi esistenti sugli alberi rossi-neri, le valvole elettroniche e il materiale didattico [10]. Analogamente, il recente lavoro di Takahashi suggerisce una metodologia volta a fornire modalità robuste, ma non offre un'implementazione [9].


In originale:

In this section, we discuss existing research into red-black trees, vacuum tubes, and courseware [10]. On a similar note, recent work by Takahashi suggests a methodology for providing robust modalities, but does not offer an implementation [9].


L’articolo è stato creato da Davis in collaborazione con Kent Anderson, membro del comitato editoriale di un’altra rivista (questa volta seria, il New England Journal of Medicine), utilizzando SCIgen, un programma capace di generare pseudoarticoli scientifici in campo informatico combinando parole a caso.

Lo scopo dei due ricercatori era proprio testare l’affidabilità degli standard editoriali della rivista, dopo che Davis aveva ricevuto numerosi inviti ad entrare a far parte del comitato editoriale ora di una ora dell’altra delle tante riviste pubblicate dalla Bentham; riviste i cui contenuti spesso esulavano completamente dalle competenze di Davis.

Davis e Anderson, nascosti sotto gli pseudonimi di “David Phillips” e “Andrew Kent”, hanno sottoposto al vaglio editoriale dell’Open Information Science Journal il loro articolo dai contenuti insensati, lasciando volutamente a disposizione dei revisori almeno un grosso indizio che avrebbe dovuto metterli in guardia: i due autori si dichiaravano infatti affiliati all’inesistente Center for Research in Applied Phrenology, il cui acronimo risulta essere "CRAP" (letteralmente "stronzate").

Eppure, nonostante tutto, quattro mesi dopo, nella casella di posta elettronica di “David Phillips” è arrivata la lettera di accettazione, che chiedeva di completare un modulo e provvedere al pagamento degli 800 dollari richiesti per la pubblicazione. La filosofia della Bentham è infatti di permettere ai ricercatori un più ampio accesso alla pubblicazione a fronte del pagamento di parte dei costi di pubblicazione. Un ampio accesso che, a quanto pare, include anche la pubblicazione di parole senza senso, purché si paghi.

Si noti che Steven Jones aveva invece dichiarato che l'articolo pro-supertermite scritto con Harrit e pubblicato dalla Bentham era stato "sottoposto a un rigoroso riesame [peer review] con molte pagine di commenti duri che hanno richiesto al nostro gruppo MESI di esperimenti e studi supplementari. E' stato il peer review più difficile che ho mai subìto".

L'accettazione dell'articolo di parole in libertà da parte di Davis e Anderson risponde dunque splendidamente alla sfida lanciata dallo stesso Jones: "Se è così facile pubblicare nelle riviste della Bentham Scientific, o se sono pubblicazioni di vanità (si noti che non ci sono basi di fatto per queste accuse)" aveva scritto" allora perché chi obietta non scrive le proprie obiezioni e le fa esaminare e pubblicare?". Detto fatto.

La notizia ha causato anche le dimissioni di Bambang Parmanto dell'Università di Pittsburgh, che era editor in chief dell'Open Information Science Journal della Bentham.

Non è la prima volta che viene dimostrato come le società che propongono ai ricercatori di pubblicizzare i propri lavori dietro compenso siano più esposte al rischio di pubblicare articoli senza senso: nel 2005 J. Stribling, D. Aguayo and M. Krohn, laureati al MIT di Boston, usarono lo stesso metodo di Davis e Anderson per mostrare le carenze nei controlli al World Multi-Conference on Systemics, Cybernetics and Informatics (WMSCI).

Nemmeno i colossi dell’editoria sembrerebbero estranei a simili brutte figure: il sito Internet di SCIgen riporta che un gruppo di studenti iraniani della Sharif University sarebbero riusciti a fare accettare un altro articolo generato con SCIgen, questa volta presso la rivista Applied Mathematics and Computation.

Per i sostenitori delle teorie di complotto sull’11 settembre, dunque, un’altra amara pagina, che contribuisce a smontare il presunto valore di un articolo reputato valido troppo in fretta, giudicato più sull’onda emotiva scatenata dalla speranza di aver trovato finalmente un minimo di credibilità che per una reale analisi dei suoi contenuti e del suo contesto di pubblicazione.

Va segnalato, per completezza, che la Bentham ha risposto alla burla di Davis e Anderson spiegando, in un e-mail alla rivista New Scientist scritto da Mahmood Alam, direttore delle pubblicazioni della Bentham, che gli incaricati avevano finto di accettare l'articolo senza senso per scoprire le identità dei burloni. Ma il dimissionario Parmanto dice di aver saputo di questa spiegazione soltanto il giorno in cui è stata resa pubblica.

Ulteriori dettagli sulla vicenda sono pubblicati da Henry62 su 11-settembre, ScrewLooseChange, ScienceBlogs, JREF e New Scientist.

2009/06/13

WTC7, sbuffo pre-crollo? No, piattaforma per le pulizie

di Paolo Attivissimo

Un lettore, Pierluigi, ha segnalato quest'immagine tratta dal cosiddetto "video di Bob e Bri", una ben nota ripresa amatoriale che mostra le Torri Gemelle durante l'attentato e il successivo crollo. A suo avviso, sulla facciata del WTC sarebbe visibile uno sbuffo sospetto, simile a quelli ben più noti che caratterizzano i crolli delle Torri Gemelle e che i sostenitori delle teorie di complotto interpretano erroneamente some segni di esplosioni, per cui ci ha chiesto un parere in merito. L'immagine è cliccabile per ingrandirla.



Una ricerca in archivio ha permesso di rilevare che si tratta in realtà di tutt'altro: la piattaforma mobile che veniva calata dal tetto dell'edificio per effettuare la pulizia delle facciate, come avviene in molti grattacieli. La si nota in queste fotografie:





In quest'altra immagine si notano i cavi ai quali era appesa la piattaforma:

2009/06/11

La rivincita del legno

di Brain_Use

Nel numero 200 di Focus un articolo intitolato "La rivincita del legno", riportato anche sul sito della Protezione Civile in questo PDF, riprende il tema della debolezza degli edifici in acciaio in caso di incendio.

Addirittura si arriva a sostenere che edifici in legno possano risultare meno soggetti a rischio di crollo a causa di incendio che non edifici in acciaio. La foto mostra un test di resistenza al fuoco di una struttura in legno, condotto nei laboratori Ivalsa di Trento. Maggiori particolari nei comunicati sul sito del Progettosofie, dell'Istituto Ivalsa del CNR di Trento.

Si tratta di un concetto fisico assolutamente controintuitivo: il legno è uno dei materiali combustibili per eccellenza, probabilmente il primo utilizzato dall'uomo fin dalla notte dei tempi.

Una prima spiegazione ci viene, nel paragrafo "Brucia, ma salva le case", dalle parole di Marco Fioravanti, docente di Tecnologia del Legno all'Università degli Studi di Firenze:

"Indubbiamente il legno brucia. Ma una casa in legno, bruciata, resta in piedi: una con le travi in acciaio, colpita da un incendio, cede di schianto quando l’acciaio raggiunge una temperatura tale da provocarne non la liquefazione, ma la perdita della capacità portante. Le Torri Gemelle, se avessero avuto la struttura in legno anziché in ferro, molto probabilmente non sarebbero collassate".


La spiegazione fisica del fenomeno viene invece da Lamberto Mazziotti, dirigente dell’area protezioni passive dei Vigili del Fuoco, nel riquadro "La vera casa ignifuga? Di legno":

"C’è una sostanziale differenza tra acciaio e legno: il primo non brucia, ma si riscalda molto velocemente e in modo uniforme, il secondo, a contatto con il fuoco, si carbonizza dall’esterno, preservando il suo interno da grossi danni strutturali"

"Raggiunta una temperatura critica, l’acciaio cede di schianto, perdendo le sue caratteristiche strutturali".

Ecco perché una casa in legno dopo un incendio appare come uno scheletro di travi annerite, a differenza di una tradizionale, ridotta spesso a un cumulo di macerie.

"I punti critici di una casa in legno sono le giunzioni, tenute insieme da bulloni di acciaio: possono cedere, compromettendo l’integrità della struttura".


Qualcuno avvisi i signori cospirazionisti che anche l'Università di Firenze, i Vigili del Fuoco Italiani e la Protezione Civile si sono uniti al grande complotto.

2009/06/08

Sono vivo per 11 minuti

di Greg Trevor

Nota di Undicisettembre: Pubblichiamo di seguito un testo scritto nell'autunno del 2001 da Greg Trevor, dipendente e portavoce della Port Authority sopravvissuto all'attacco dell'11 settembre 2001. La versione originale è pubblicata su "The 9/11 Encyclopedia", edito nel 2008 da Praeger Security International. Il testo è stato da noi tradotto in italiano e pubblicato con il permesso dell'autore.


Sono vivo per 11 minuti.

L'11 settembre, i miei colleghi ed io scappammo dalla Torre 1 del World Trade Center alle 10:18. Il palazzo crollò pochi secondi prima delle 10:29.

Devo la vita a tre cose: a una cravatta di maglia, a un ufficiale della Port Authority Police che pensò in fretta e alla lungimiranza degli ingegneri e degli architetti che progettarono il World Trade Center in modo che potesse sopportare impatti di aerei e consentire a circa 25.000 persone di uscirne.

Quando il primo dei due 767 colpì le Torri Gemelle alle 8:46, ero dietro al mio tavolo sul lato sud del 68° piano del One World Trade Center, nel Dipartimento degli Affari Pubblici della Port Authority di New York e New Jersey.

Stavo lavorando da quasi due ore e avevo appena finito una telefonata a un collega che si trovava all'Aeroporto Internazionale di Newark. Mi alzai per distendere le gambe e guardai fuori dalla finestra verso la Statua della Libertà che scintillava per la luce del sole in quella mattina così insolutamente luminosa.

Fui quasi scaraventato a terra dall'impatto del primo aereo, che si schiantò contro la facciata nord più di venti piani sopra di me. Udii un forte tonfo, seguito da un'esplosione. Ebbi la sensazione che l'edificio oscillasse di circa tre metri verso sud. Poi si mosse in senso opposto, verso nord, e infine tremò avanti e indietro.

Fuori dalla finestra vidi una parabola di fiamme precipitare verso il suolo, seguita da un turbinìo di carta e vetro. A quel punto udii due suoni: le sirene d'emergenza dalla strada e i telefoni che suonavano su tutto il 68° piano. Erano le chiamate dei giornalisti che ci chiedevano cosa fosse successo.

Stordito ma ansioso di uscire, corsi nell'ufficio del direttore del mio dipartimento, Kayla Bergeron. Lei era già al telefono con il capo ufficiale operativo della Port Authority, Ernesto Butcher. Usai la seconda linea telefonica di Kayla per chiamare il quartier generale del dipartimento di polizia della Port Authority a Jersey City.

In pochi minuti radunammo tutto il personale, infilammo archivi e blocchi per appunti nelle nostre borse e ci preparammo ad evacuare il piano. L'aria cominciò a riempirsi di fumo polveroso.

Impostammo l'inoltro delle telefonate dirette ai nostri telefoni fissi verso gli uffici centrali della polizia della Port Authority a Jersey City, in modo che se i media avessero chiamato avrebbero potuto lasciare dei messaggi mentre noi scappavamo. Ana Abelians, un membro del nostro staff, disse che c'erano già due chiamate dei media in attesa. Le risposi: "Prendine una, io prendo l'altra, liberiamocene e usciamo di qui."

Risposi al telefono: "Parla Greg Trevor."

"Buon giorno, sono del notiziario nazionale della NBC. Se lei potesse restare in linea cinque minuti, la mandiamo in onda per un'intervista telefonica in diretta."

"Mi scusi, ma non posso. Stiamo evacuando l'edificio."

"Ci vorrà solo un minuto."

"Mi perdoni, lei non capisce. Stiamo abbandonando l'edificio in questo momento."

Mi sembrò sorpreso. "Ma questo è il notiziario NAZIONALE delle NBC." A quanto pare, non ero tenuto a rischiare la vita per l'affiliata locale della NBC, ma per il notiziario nazionale nessun sacrificio era troppo grande.

Dissi "Mi dispiace." ancora una volta e riagganciai il telefono.

Per più di un'ora, ci unimmo a migliaia di altre persone che lavoravano nel World Trade Center e scendemmo insieme con calma per le scale di emergenza.

All'inzio non avevo paura. Le mie prime emozioni furono smarrimento e incredulità. Quando entrammo nelle scale di emergenza, tutto ciò che sapevamo era che un aereo aveva colpito l'edificio. Non aveva alcun senso (come poteva un aereo colpire un edificio di 110 piani in una giornata così limpida?). Essendo dentro la tromba delle scale, non sentimmo l'impatto del secondo aereo contro la Torre 2 del World Trade Center.

Tentai di chiamare mia moglie Allison varie volte con il cellulare, ma non riuscii a raggiungerla. Fortunatamente raggiunsi il mio collega Pasquale DiFulco tramite il mio cercapersone bidirezionale.

Pasquale, che quel giorno era in ferie e stava guardando la CNN, chiamò Allison per dirle che stavo bene e usò il proprio cercapersone per informarci di ciò che stava davvero accadendo.

9:32 messaggio di Pasquale:

AA676 da boston schiantato contro wtc1. fbi dice aereo dirottato poco prima dello schianto. visto secondo aereo in diretta schiantarsi alla cnn contro wtc2. Bush appena detto possibile attacco terroristico.

9:36:

almeno 1000 feriti - notizia cnn

9:41:

Incendio al pentagono

9:43 messaggio inviato a Pasquale:

Oh, Cristo.

9:43 testo da Pasquale:

Pentagono e casa bianca vengono evacuati

9:46:

Incendio al Washington Mall [il parco fra il Lincoln Memorial e il Campidoglio]

9:49:

Faa chiude voli in tutto il paese.

9:52:

Aereo colpito pentagono.

9:54:

Anche tesoro e campidoglio evacuati

Nonostante queste notizie, la nostra lunga camminata in cerca di salvezza rimase calma e ordinata. Facevamo regolarmente esercitazioni antincendio, quindi sapevamo come comportarci. Ogni pochi piani ci fermavamo e ci spostavamo a destra per lasciare spazio ai feriti che scendevano e ai pompieri e alla polizia della Port Authority che salivano.

Arrivammo al quinto piano poco prima delle 10. A quel punto sentimmo un rombo molto forte. Il palazzo tremò violentemente e io fui gettato da un lato all'altro della tromba delle scale. In quel momento non lo sapevamo, ma la Torre Sud era appena crollata.

La tromba delle scale in cui ci trovavamo si riempì di fumo e polvere di cemento. Respirare divenne difficile e le luci si spensero. Un flusso d'acqua ininterrotto, profondo circa dieci centimetri, iniziò a scendere lungo le scale. Sembrava di guadare un torrente sporco che scorreva rapido, di notte, nel mezzo di un incendio in una foresta.

La migliore decisione che avevo preso quel giorno era stata quella di indossare una cravatta di maglia per andare al lavoro. Mi misi quella cravatta blu davanti a naso e bocca per difendermi dal fumo e dalla polvere. Per evitare l'iperventilazione feci ricorso a quanto avevo imparato sulla respirazione ai corsi preparto Lamaze che avevo frequentato con mia moglie.

Qualcuno urlò di mettere la mano destra sulla spalla della persona che ci precedeva e di continuare a scendere. Scendemmo ancora una rampa di scale, fino al quarto piano, e a quel punto sentii qualcuno imprecare che la porta era bloccata. La violenza del crollo della Torre 2, a quanto pareva, aveva bloccato l'uscita d'emergenza. Ci fu ordinato, allora, di girarci indietro e risalire le scale per cercare di raggiungere un'altra tromba.

Stavamo quindi avanzando controcorrente in quel fiumiciattolo nero e sporco. Altri continuavano a cercare di scendere e il panico cominciava a diffondersi.

Per la prima volta ebbi paura che non ne saremmo usciti vivi. Bisbigliai una preghiera veloce: "Signore, ti prego, fammi rivedere la mia famiglia."

Chiusi gli occhi, e mi figurai nella mente i volti della mia famiglia: i begli occhi scuri di Allison; le fossette e i profondi occhi azzurri di nostro figlio Gabriel di 5 anni; i boccoli biondi di nostro figlio Lucas di 2 anni.

Ricordo di aver pensato: i loro volti mi manterrano calmo. E se morirò, saranno l'ultima cosa a cui avrò pensato.

In quei momenti difficili, Pasquale mi mandò molti messaggi disperati sul cercapersone che non mi arrivarono.

10:00 messaggio di Pasquale:

Per favore dimmi che stai bene. Per favore rispondi. Altra esplosione al wtc.

10:02:

Parte del wtc 2 è crollata. State tutti bene?

10:06:

Per favore rispondi

10:12:

Dove sei? wtc2 appena crollato

Non so quanto tempo ci sia voluto ai soccorritori per liberare l'uscita. Ma quando ci riuscirono, grazie a Dio l'ufficiale di polizia della Port Authoity Davd Lim era lì presente.

David è un ufficiale dell'unità cinofila il cui cane, Sirius, rimase ucciso nell'attacco. In seguito David si sarebbe trovato intrappolato tra le macerie per quasi cinque ore, ma in quel momento ebbe la presenza di spirito di trovare un modo per farci invertire la direzione e tornare giù per le scale dopo che i soccorritori avevano sbloccato l'uscita d'emergenza. Ripeté continuamente "Giù va bene! Giù va bene!". Quando lo sentii, urlai anch'io su per le scale "Giù va bene!" Come un'eco anche altri urlarono "Giù va bene!" verso chi stava più in alto. A quel punto ci incamminammo verso il basso più velocemente possibile.

L'uscita di emergenza portava al piano mezzanino della Torre 1. Camminammo per varie decine di metri fino alla porta a vetri che dava sull'esterno.

Il mezzanino era pieno di polvere di cemento marrone scuro sul pavimento, nell'aria, attaccata alle finestre a tutta altezza. Mi sembrava di camminare in un'immensa, sporca bolla di neve che era appena stata scossa.

Quando uscimmo, vicino al World Trade Center 6, fu anche peggio. La plaza era un campo minato di metallo contorto, coperto da uno strato di polvere di cemento spessa vari centimetri. Sono grato a quella polvere, perché mi impedì di vedere i cadaveri.

Mentre uscivamo dal palazzo, il mio cercapersone trillò con un messaggio da Al Frank, un reporter del Newark Star-Ledger che si occupava della Port Authority da anni.

10:17 messaggio di Al Frank:

stai bene?

Risposi un minuto più tardi, mentre camminavo lungo il perimetro esterno del World Trade Center 6:

Siamo usciti dal palazzo. Stiamo tutti bene.

Risollevati ma stanchi, scendemmo di corsa la scalinata tra il World Trade Center 5 e il 6, quindi ci dirigemmo a nord lungo Church Street.

Mi voltai a guardare il Trade Center. La parte superiore della Torre 1, pari a un terzo della sua altezza, era in fiamme. C'era così tanto fumo e polvere che non potevo rendermi conto che la Torre 2 fosse crollata.

Alle 10:24 ricevetti un messaggio di Kayla, il mio superiore, che stava camminando un isolato dietro di noi:

Da che parte ci conviene andare?

Tornai indietro incontro a lei e dissi che avremmo dovuto andare all'entrata dell'Holland Tunnel, perché sapevo che la polizia della Port Authority sarebbe stata lì.

Continuammo a camminare verso nord in direzione dell'Holland Tunnel. Pochi minuti dopo udimmo un ufficiale della NYPD urlare "Correte e mettetevi in salvo!"

Corremmo verso nord per molti isolati. Sentimmo un rombo assordante, seguito da una densa nube di fumo nero e polvere marrone.

Quando finalmente sfuggimmo alla nube che c'inseguiva, avevamo quasi raggiunto l'Holland Tunnel. Ero vicino a un collega, John Toth, che zoppicava con un ginocchio sanguinante.

"John, stai bene?"

"Non ci sono più, Greg."

"Di chi parli, John?"

"Non chi. Entrambe le torri, non ci sono più."

Non gli credetti. Mi girai a guardare dove le Torri Gemelle avrebbero dovuto essere.

Vidi solo il cielo e il fumo. La Torre 1 era rimasta in piedi più di un'ora e 40 minuti dopo l'attacco, consentendo a migliaia di persone di uscire.

Percorremmo gli ultimi isolati che ci separavamo dall'imbocco dell'Holland Tunnel. Jet militari volavano sopra le nostre teste.

I nostri indumenti, i capelli, i volti erano ancora coperti di polvere. Ci infilammo nelle automobili della polizia della Port Authority, che ci portarono nei nostri uffici temporanei allestiti a Jersey City.

Circa un'ora dopo, scrissi la prima bozza della nostra prima dichiarazione dopo gli attacchi con l'unico strumento di comunicazione che mi era rimasto: il cercapersone.

I nostri cuori e le nostre preghiere sono rivolte alle famiglie delle innumerevoli persone, tra cui molti membri della famiglia della Port Authority, che sono state uccise oggi in questo vile e atroce attacco. Tutte le strutture della Port Authority sono chiuse fino a nuovo ordine. Noi della Port Authority stiamo facendo tutto quanto è in nostro potere per assistere le famiglie delle vittime e per cooperare con le autorità federali, statali e locali per catturare i perpetratori di questo attacco e portarli di fronte alla giustizia.

Il mio recupero personale fu costante nei mesi successivi all'attacco al World Trade Center.

Il nostro dipartimento rimase a Jersey City per più di due mesi; all'inizio lavoravamo su turni di 12 ore. Mentre piangevamo la morte di 84 amici e colleghi, rispondevamo alla pioggia di domande dei media di tutto il mondo sulla sicurezza, il recupero e le nostre esperienze personali.

Tornai a Ground Zero quattro giorni dopo gli attacchi. L'esperienza fu sconcertante e avvilente; non per ciò che c'era, ma per ciò che non c'era più. Guardai in alto, verso il buco nel cielo dove una volta c'erano i nostri uffici e pensai a quanto sarebbe stato facile restare lì intrappolati.

Spesso sento ondate di tristezza nel pensare alle perdite e alla sofferenza.

Penso ai 37 ufficiali e comandanti della polizia della Port Authority che morirono nel tentativo di aiutare altri a salvarsi; in particolare penso al Capitano Kathy Mazza, la prima donna comandante dell'accademia di polizia della Port Authority.

Kathy guidò un gruppo di istruttori dell'accademia di polizia dentro la Torre 1 pochi minuti dopo il primo attacco. La maggior parte di loro non riuscì ad uscire in tempo. Kathy, un'ex infermiera di sala operatoria e una delle persone migliori che io abbia mai conosciuto, era il primo ufficiale di polizia della Port Authority donna a rimanere uccisa in servizio in 73 anni di storia del dipartimento.

Talvolta quando cammino per strada mi fermo, piego la testa all'indietro e respiro profondamente l'aria pulita. E ricordo quei momenti spaventosi in cui il piacere di farlo ci fu negato.

Il fumo di sigaretta mi infastidisce molto, ma il cibo ha un sapore molto migliore.

Le gambe mi fecero male per quattro giorni dopo l'evacuazione. Mia moglie dice che la mia pelle fu grigio pallido per i primi due giorni.

A metà dicembre rimasi a letto una settimana per la polmonite, causata in parte dallo stress e dallo sfinimento dell'11 settembre e da ciò che ne seguì.

Anche se i miei figli non capiscono pienamente ciò che è successo, vogliono essere abbracciati più di prima.

La terapia è stata molto utile. Mi ha fatto capire che sono all'inizio di un percorso molto lungo. Ci sono giorni in cui faccio molti progressi, altri in cui resto fermo.

Il mio obiettivo è fare più strada possibile. Ma per quanta possa farne, so che non c'è modo di tornare al 10 settembre.

Ho conservato la cravatta, ancora incrostata di polvere e fumo, in una busta sigillata. Ho anche conservato le mie scarpe coperte di polvere.

Se Dio vorrà, avrò dei nipoti. Ho intenzione di lasciare a loro questi tragici cimeli, insieme a un altro oggetto storico che mio nonno mi lasciò prima di morire: una palla da baseball battuta fuoricampo da Babe Ruth ai Polo Grounds nel 1922.