2009/06/08

Sono vivo per 11 minuti

di Greg Trevor

Nota di Undicisettembre: Pubblichiamo di seguito un testo scritto nell'autunno del 2001 da Greg Trevor, dipendente e portavoce della Port Authority sopravvissuto all'attacco dell'11 settembre 2001. La versione originale è pubblicata su "The 9/11 Encyclopedia", edito nel 2008 da Praeger Security International. Il testo è stato da noi tradotto in italiano e pubblicato con il permesso dell'autore.


Sono vivo per 11 minuti.

L'11 settembre, i miei colleghi ed io scappammo dalla Torre 1 del World Trade Center alle 10:18. Il palazzo crollò pochi secondi prima delle 10:29.

Devo la vita a tre cose: a una cravatta di maglia, a un ufficiale della Port Authority Police che pensò in fretta e alla lungimiranza degli ingegneri e degli architetti che progettarono il World Trade Center in modo che potesse sopportare impatti di aerei e consentire a circa 25.000 persone di uscirne.

Quando il primo dei due 767 colpì le Torri Gemelle alle 8:46, ero dietro al mio tavolo sul lato sud del 68° piano del One World Trade Center, nel Dipartimento degli Affari Pubblici della Port Authority di New York e New Jersey.

Stavo lavorando da quasi due ore e avevo appena finito una telefonata a un collega che si trovava all'Aeroporto Internazionale di Newark. Mi alzai per distendere le gambe e guardai fuori dalla finestra verso la Statua della Libertà che scintillava per la luce del sole in quella mattina così insolutamente luminosa.

Fui quasi scaraventato a terra dall'impatto del primo aereo, che si schiantò contro la facciata nord più di venti piani sopra di me. Udii un forte tonfo, seguito da un'esplosione. Ebbi la sensazione che l'edificio oscillasse di circa tre metri verso sud. Poi si mosse in senso opposto, verso nord, e infine tremò avanti e indietro.

Fuori dalla finestra vidi una parabola di fiamme precipitare verso il suolo, seguita da un turbinìo di carta e vetro. A quel punto udii due suoni: le sirene d'emergenza dalla strada e i telefoni che suonavano su tutto il 68° piano. Erano le chiamate dei giornalisti che ci chiedevano cosa fosse successo.

Stordito ma ansioso di uscire, corsi nell'ufficio del direttore del mio dipartimento, Kayla Bergeron. Lei era già al telefono con il capo ufficiale operativo della Port Authority, Ernesto Butcher. Usai la seconda linea telefonica di Kayla per chiamare il quartier generale del dipartimento di polizia della Port Authority a Jersey City.

In pochi minuti radunammo tutto il personale, infilammo archivi e blocchi per appunti nelle nostre borse e ci preparammo ad evacuare il piano. L'aria cominciò a riempirsi di fumo polveroso.

Impostammo l'inoltro delle telefonate dirette ai nostri telefoni fissi verso gli uffici centrali della polizia della Port Authority a Jersey City, in modo che se i media avessero chiamato avrebbero potuto lasciare dei messaggi mentre noi scappavamo. Ana Abelians, un membro del nostro staff, disse che c'erano già due chiamate dei media in attesa. Le risposi: "Prendine una, io prendo l'altra, liberiamocene e usciamo di qui."

Risposi al telefono: "Parla Greg Trevor."

"Buon giorno, sono del notiziario nazionale della NBC. Se lei potesse restare in linea cinque minuti, la mandiamo in onda per un'intervista telefonica in diretta."

"Mi scusi, ma non posso. Stiamo evacuando l'edificio."

"Ci vorrà solo un minuto."

"Mi perdoni, lei non capisce. Stiamo abbandonando l'edificio in questo momento."

Mi sembrò sorpreso. "Ma questo è il notiziario NAZIONALE delle NBC." A quanto pare, non ero tenuto a rischiare la vita per l'affiliata locale della NBC, ma per il notiziario nazionale nessun sacrificio era troppo grande.

Dissi "Mi dispiace." ancora una volta e riagganciai il telefono.

Per più di un'ora, ci unimmo a migliaia di altre persone che lavoravano nel World Trade Center e scendemmo insieme con calma per le scale di emergenza.

All'inzio non avevo paura. Le mie prime emozioni furono smarrimento e incredulità. Quando entrammo nelle scale di emergenza, tutto ciò che sapevamo era che un aereo aveva colpito l'edificio. Non aveva alcun senso (come poteva un aereo colpire un edificio di 110 piani in una giornata così limpida?). Essendo dentro la tromba delle scale, non sentimmo l'impatto del secondo aereo contro la Torre 2 del World Trade Center.

Tentai di chiamare mia moglie Allison varie volte con il cellulare, ma non riuscii a raggiungerla. Fortunatamente raggiunsi il mio collega Pasquale DiFulco tramite il mio cercapersone bidirezionale.

Pasquale, che quel giorno era in ferie e stava guardando la CNN, chiamò Allison per dirle che stavo bene e usò il proprio cercapersone per informarci di ciò che stava davvero accadendo.

9:32 messaggio di Pasquale:

AA676 da boston schiantato contro wtc1. fbi dice aereo dirottato poco prima dello schianto. visto secondo aereo in diretta schiantarsi alla cnn contro wtc2. Bush appena detto possibile attacco terroristico.

9:36:

almeno 1000 feriti - notizia cnn

9:41:

Incendio al pentagono

9:43 messaggio inviato a Pasquale:

Oh, Cristo.

9:43 testo da Pasquale:

Pentagono e casa bianca vengono evacuati

9:46:

Incendio al Washington Mall [il parco fra il Lincoln Memorial e il Campidoglio]

9:49:

Faa chiude voli in tutto il paese.

9:52:

Aereo colpito pentagono.

9:54:

Anche tesoro e campidoglio evacuati

Nonostante queste notizie, la nostra lunga camminata in cerca di salvezza rimase calma e ordinata. Facevamo regolarmente esercitazioni antincendio, quindi sapevamo come comportarci. Ogni pochi piani ci fermavamo e ci spostavamo a destra per lasciare spazio ai feriti che scendevano e ai pompieri e alla polizia della Port Authority che salivano.

Arrivammo al quinto piano poco prima delle 10. A quel punto sentimmo un rombo molto forte. Il palazzo tremò violentemente e io fui gettato da un lato all'altro della tromba delle scale. In quel momento non lo sapevamo, ma la Torre Sud era appena crollata.

La tromba delle scale in cui ci trovavamo si riempì di fumo e polvere di cemento. Respirare divenne difficile e le luci si spensero. Un flusso d'acqua ininterrotto, profondo circa dieci centimetri, iniziò a scendere lungo le scale. Sembrava di guadare un torrente sporco che scorreva rapido, di notte, nel mezzo di un incendio in una foresta.

La migliore decisione che avevo preso quel giorno era stata quella di indossare una cravatta di maglia per andare al lavoro. Mi misi quella cravatta blu davanti a naso e bocca per difendermi dal fumo e dalla polvere. Per evitare l'iperventilazione feci ricorso a quanto avevo imparato sulla respirazione ai corsi preparto Lamaze che avevo frequentato con mia moglie.

Qualcuno urlò di mettere la mano destra sulla spalla della persona che ci precedeva e di continuare a scendere. Scendemmo ancora una rampa di scale, fino al quarto piano, e a quel punto sentii qualcuno imprecare che la porta era bloccata. La violenza del crollo della Torre 2, a quanto pareva, aveva bloccato l'uscita d'emergenza. Ci fu ordinato, allora, di girarci indietro e risalire le scale per cercare di raggiungere un'altra tromba.

Stavamo quindi avanzando controcorrente in quel fiumiciattolo nero e sporco. Altri continuavano a cercare di scendere e il panico cominciava a diffondersi.

Per la prima volta ebbi paura che non ne saremmo usciti vivi. Bisbigliai una preghiera veloce: "Signore, ti prego, fammi rivedere la mia famiglia."

Chiusi gli occhi, e mi figurai nella mente i volti della mia famiglia: i begli occhi scuri di Allison; le fossette e i profondi occhi azzurri di nostro figlio Gabriel di 5 anni; i boccoli biondi di nostro figlio Lucas di 2 anni.

Ricordo di aver pensato: i loro volti mi manterrano calmo. E se morirò, saranno l'ultima cosa a cui avrò pensato.

In quei momenti difficili, Pasquale mi mandò molti messaggi disperati sul cercapersone che non mi arrivarono.

10:00 messaggio di Pasquale:

Per favore dimmi che stai bene. Per favore rispondi. Altra esplosione al wtc.

10:02:

Parte del wtc 2 è crollata. State tutti bene?

10:06:

Per favore rispondi

10:12:

Dove sei? wtc2 appena crollato

Non so quanto tempo ci sia voluto ai soccorritori per liberare l'uscita. Ma quando ci riuscirono, grazie a Dio l'ufficiale di polizia della Port Authoity Davd Lim era lì presente.

David è un ufficiale dell'unità cinofila il cui cane, Sirius, rimase ucciso nell'attacco. In seguito David si sarebbe trovato intrappolato tra le macerie per quasi cinque ore, ma in quel momento ebbe la presenza di spirito di trovare un modo per farci invertire la direzione e tornare giù per le scale dopo che i soccorritori avevano sbloccato l'uscita d'emergenza. Ripeté continuamente "Giù va bene! Giù va bene!". Quando lo sentii, urlai anch'io su per le scale "Giù va bene!" Come un'eco anche altri urlarono "Giù va bene!" verso chi stava più in alto. A quel punto ci incamminammo verso il basso più velocemente possibile.

L'uscita di emergenza portava al piano mezzanino della Torre 1. Camminammo per varie decine di metri fino alla porta a vetri che dava sull'esterno.

Il mezzanino era pieno di polvere di cemento marrone scuro sul pavimento, nell'aria, attaccata alle finestre a tutta altezza. Mi sembrava di camminare in un'immensa, sporca bolla di neve che era appena stata scossa.

Quando uscimmo, vicino al World Trade Center 6, fu anche peggio. La plaza era un campo minato di metallo contorto, coperto da uno strato di polvere di cemento spessa vari centimetri. Sono grato a quella polvere, perché mi impedì di vedere i cadaveri.

Mentre uscivamo dal palazzo, il mio cercapersone trillò con un messaggio da Al Frank, un reporter del Newark Star-Ledger che si occupava della Port Authority da anni.

10:17 messaggio di Al Frank:

stai bene?

Risposi un minuto più tardi, mentre camminavo lungo il perimetro esterno del World Trade Center 6:

Siamo usciti dal palazzo. Stiamo tutti bene.

Risollevati ma stanchi, scendemmo di corsa la scalinata tra il World Trade Center 5 e il 6, quindi ci dirigemmo a nord lungo Church Street.

Mi voltai a guardare il Trade Center. La parte superiore della Torre 1, pari a un terzo della sua altezza, era in fiamme. C'era così tanto fumo e polvere che non potevo rendermi conto che la Torre 2 fosse crollata.

Alle 10:24 ricevetti un messaggio di Kayla, il mio superiore, che stava camminando un isolato dietro di noi:

Da che parte ci conviene andare?

Tornai indietro incontro a lei e dissi che avremmo dovuto andare all'entrata dell'Holland Tunnel, perché sapevo che la polizia della Port Authority sarebbe stata lì.

Continuammo a camminare verso nord in direzione dell'Holland Tunnel. Pochi minuti dopo udimmo un ufficiale della NYPD urlare "Correte e mettetevi in salvo!"

Corremmo verso nord per molti isolati. Sentimmo un rombo assordante, seguito da una densa nube di fumo nero e polvere marrone.

Quando finalmente sfuggimmo alla nube che c'inseguiva, avevamo quasi raggiunto l'Holland Tunnel. Ero vicino a un collega, John Toth, che zoppicava con un ginocchio sanguinante.

"John, stai bene?"

"Non ci sono più, Greg."

"Di chi parli, John?"

"Non chi. Entrambe le torri, non ci sono più."

Non gli credetti. Mi girai a guardare dove le Torri Gemelle avrebbero dovuto essere.

Vidi solo il cielo e il fumo. La Torre 1 era rimasta in piedi più di un'ora e 40 minuti dopo l'attacco, consentendo a migliaia di persone di uscire.

Percorremmo gli ultimi isolati che ci separavamo dall'imbocco dell'Holland Tunnel. Jet militari volavano sopra le nostre teste.

I nostri indumenti, i capelli, i volti erano ancora coperti di polvere. Ci infilammo nelle automobili della polizia della Port Authority, che ci portarono nei nostri uffici temporanei allestiti a Jersey City.

Circa un'ora dopo, scrissi la prima bozza della nostra prima dichiarazione dopo gli attacchi con l'unico strumento di comunicazione che mi era rimasto: il cercapersone.

I nostri cuori e le nostre preghiere sono rivolte alle famiglie delle innumerevoli persone, tra cui molti membri della famiglia della Port Authority, che sono state uccise oggi in questo vile e atroce attacco. Tutte le strutture della Port Authority sono chiuse fino a nuovo ordine. Noi della Port Authority stiamo facendo tutto quanto è in nostro potere per assistere le famiglie delle vittime e per cooperare con le autorità federali, statali e locali per catturare i perpetratori di questo attacco e portarli di fronte alla giustizia.

Il mio recupero personale fu costante nei mesi successivi all'attacco al World Trade Center.

Il nostro dipartimento rimase a Jersey City per più di due mesi; all'inizio lavoravamo su turni di 12 ore. Mentre piangevamo la morte di 84 amici e colleghi, rispondevamo alla pioggia di domande dei media di tutto il mondo sulla sicurezza, il recupero e le nostre esperienze personali.

Tornai a Ground Zero quattro giorni dopo gli attacchi. L'esperienza fu sconcertante e avvilente; non per ciò che c'era, ma per ciò che non c'era più. Guardai in alto, verso il buco nel cielo dove una volta c'erano i nostri uffici e pensai a quanto sarebbe stato facile restare lì intrappolati.

Spesso sento ondate di tristezza nel pensare alle perdite e alla sofferenza.

Penso ai 37 ufficiali e comandanti della polizia della Port Authority che morirono nel tentativo di aiutare altri a salvarsi; in particolare penso al Capitano Kathy Mazza, la prima donna comandante dell'accademia di polizia della Port Authority.

Kathy guidò un gruppo di istruttori dell'accademia di polizia dentro la Torre 1 pochi minuti dopo il primo attacco. La maggior parte di loro non riuscì ad uscire in tempo. Kathy, un'ex infermiera di sala operatoria e una delle persone migliori che io abbia mai conosciuto, era il primo ufficiale di polizia della Port Authority donna a rimanere uccisa in servizio in 73 anni di storia del dipartimento.

Talvolta quando cammino per strada mi fermo, piego la testa all'indietro e respiro profondamente l'aria pulita. E ricordo quei momenti spaventosi in cui il piacere di farlo ci fu negato.

Il fumo di sigaretta mi infastidisce molto, ma il cibo ha un sapore molto migliore.

Le gambe mi fecero male per quattro giorni dopo l'evacuazione. Mia moglie dice che la mia pelle fu grigio pallido per i primi due giorni.

A metà dicembre rimasi a letto una settimana per la polmonite, causata in parte dallo stress e dallo sfinimento dell'11 settembre e da ciò che ne seguì.

Anche se i miei figli non capiscono pienamente ciò che è successo, vogliono essere abbracciati più di prima.

La terapia è stata molto utile. Mi ha fatto capire che sono all'inizio di un percorso molto lungo. Ci sono giorni in cui faccio molti progressi, altri in cui resto fermo.

Il mio obiettivo è fare più strada possibile. Ma per quanta possa farne, so che non c'è modo di tornare al 10 settembre.

Ho conservato la cravatta, ancora incrostata di polvere e fumo, in una busta sigillata. Ho anche conservato le mie scarpe coperte di polvere.

Se Dio vorrà, avrò dei nipoti. Ho intenzione di lasciare a loro questi tragici cimeli, insieme a un altro oggetto storico che mio nonno mi lasciò prima di morire: una palla da baseball battuta fuoricampo da Babe Ruth ai Polo Grounds nel 1922.

9 commenti:

mogio ha detto...

@Hammer

Scusa Hammer ma non sarebbe meglio se nelle note inserisci che una parte dell'intervista era già stata pubblicata qui:

http://undicisettembre.blogspot.com/2009/03/intervista-un-sopravvissuto-delle-torri.html

Perché nel leggerlo mi era venuta una sensazione di "Déjà vu" ed è una sensazione fastidiosa, almeno per me, perché sembra che dica cosa già dette da altri.

Leonardo Salvaggio ha detto...

Motogio,

no, non è così.

L'intervista che è stata pubblicata a marzo è avvenuta a febbraio di quest'anno (pubblicata in marzo per tempi tecnici di traduzione o simili).

Questo testo, invecem risale a più di 7 anni fa. Semplicemente nel rispondere alle domande dell'intervista si è avvalso di ciò che aveva già scritto.

Tutto qui.

Ma i due articolo non sono l'uno il seguito dell'altro; sono slegati. Sono due testimonianze della stesse persona.

Ciao

mogio ha detto...

Ok, adesso mi è un pò più chiaro ;)


Ps.ti ringrazio per la disponibilità e scusa la mia "pedanteria" :)

Leonardo Salvaggio ha detto...

Di nulla, figurati :-)

magaolimpia ha detto...

è veramente una testimonianza commovente

Figura Quattro ha detto...

Questo andrebbe fatto leggere nelle scuole.

Juleps ha detto...

Un racconto molto toccante, che mi ha fatto rivivere quel tragico giorno.

Salvo Di Grazia ha detto...

Si percepisce la drammaticità di quei momenti. Terribile, un incubo.

Mi sento di dire beato lui che ce l'ha fatta.
Una testimonianza toccante.
:'(

brain_use ha detto...

Questo andrebbe fatto leggere nelle scuole.

Specialmente dopo che ci è passato un certo ex-europarlamentare...