2011/01/31

Intervista a Danilo Coppe, esperto di demolizioni controllate

di Jerry Lee

Alcune delle più diffuse tesi del complotto sull'11/9 vogliono che le Torri Gemelle e il World Trade Center 7 siano stati demoliti con l'uso di esplosivo nell'ambito di un autoattentato. Gli esperti di settore hanno coralmente dichiarato che questo non è possibile, ma i sostenitori delle tesi alternative preferiscono credere a quanto asserito da persone che non hanno nessuna competenza in materia.

Per stabilire oltre ogni ragionevole dubbio l'impossibilità che gli edifici del World Trade Center siano stati oggetto di una demolizione controllata, il gruppo Undicisettembre ha chiesto un parere al maggiore esperto italiano di esplosivi e demolizioni: Danilo Coppe.

Per chi segue il dibattito sull'11 settembre, Danilo Coppe non ha certo bisogno di presentazioni, essendosi già espresso in passato sull'argomento. Per chi non lo conoscesse riportiamo in breve il suo curriculum:
  • Geominerario esplosivista, con oltre 600 interventi di esplosivistica all'attivo;
  • Leader italiano nelle demolizioni controllate con esplosivi, consulente per enti istituzionali, reparti investigativi e reparti speciali;
  • Più volte ausiliario di polizia giudiziaria, criminalista, consulente tecnico d'ufficio e consulente tecnico di parte;
  • Seminarista periodico su “Esplosivi ed Esplosioni” presso l'Università di Parma, facoltà di Giurisprudenza;
  • Titolare della SIAG srl di Parma;
  • Presidente dell'Istituto Ricerche Esplosivistiche.

Nell'intervista che è risultata dall'incontro con Coppe, l'esperto ha smentito definitivamente la possibilità che quanto sostenuto dai complottisti sia avvenuto e ha spiegato perché è insensato credere che il complesso del World Trade Center sia stato demolito mediante esplosivi o sostanze come termite, nanotermite o supertermite.

Probabilmente gli irriducibili continueranno a cercare altre scuse per sostenere le proprie argomentazioni, ma abbiamo la certezza che quest'intervista sarà sufficiente a togliere ogni dubbio a chi si confronta razionalmente con le tesi alternative.

Ringraziamo Danilo Coppe per la sua cortesia e disponibilità e precisiamo che il testo dell'intervista che segue è basato sulla trascrizione di una registrazione audio ed è stato riveduto per chiarezza e approvato da Coppe stesso.


Undicisettembre: Sgomberiamo il campo da ogni dubbio. Ti chiediamo innanzitutto: tu pensi che quello che è successo alle Torri Gemelle e al World Trade Center 7 sia o non sia una demolizione controllata?

Danilo Coppe: Assolutamente non è una demolizione controllata.


Undicisettembre: Quali sono le caratteristiche visibili dall'esterno che distinguono il crollo delle Torri Gemelle da una demolizione controllata?

Danilo Coppe: In realtà le note caratteristiche visive non sono poi tanto dissimili, nel senso che quando noi vogliamo fare una demolizione controllata attuiamo quello che poi accidentalmente è successo l'11 settembre, quindi c'è analogia. Si eliminano dei punti di appoggio, tanto da determinare il collasso della struttura. Quello che fa la differenza sono le modalità con cui si ottiene questo scopo, che sicuramente non erano cose fattibili così come sono state ipotizzate nelle varie teorie del complotto.


Undicisettembre: Per quanto riguarda invece la Torre 7, che è oggetto di molte polemiche, quali sono state le caratteristiche che ti consentono di escludere che si tratti di una demolizione controllata?

Danilo Coppe: Ho esaminato molte fotografie – anche inedite, perché i complottisti hanno cercato di convincermi e quindi mi hanno mandato anche foto non pubblicate – dove si vede che i crolli delle due Torri Gemelle hanno gravemente lesionato la struttura del WTC7 prima che questo crollasse. Ci sono foto fatte dall’alto e si vedono chiaramente le gravissime lesioni che ha subito il WTC7. Inoltre la struttura del WTC7 era molto stretta e alta, che è la tipologia ideale di manufatto da demolire, perché basta eliminare pochi appoggi e questo crolla. Nel caso particolare, le macerie e i grossi blocchi che si sono staccati dalle Twin Towers, durante il loro crollo, hanno invaso la base perimetrale del WTC7 stesso e l'hanno colpito con pezzi anche ai piani intermedi, determinando lo stesso fenomeno accaduto alle Twin Towers, cioè la rottura di tiranti e puntoni di una struttura reticolare, che quindi non aveva più i presupposti per stare in equilibrio.


Undicisettembre: Se tu avessi avuto l'incarico di demolire le Torri Gemelle, che tipo di esplosivo avresti utilizzato?

Danilo Coppe: Sicuramente avrei utilizzato delle cariche cave lineari a base di RDX o di Pentrite, che sono due esplosivi molto veloci. Certamente un'operazione del genere avrebbe richiesto settimane e settimane di posizionamento delle cariche, con grovigli di fili elettrici per decine e decine di chilometri di collegamenti e anche con la certezza matematica di rompere i vetri di tutto il quartiere, perché avrebbero determinato un'onda sonora elevatissima. Sarebbe stato l'unico modo per tagliare quelle strutture portanti in acciaio.


Undicisettembre: Quanti uomini sarebbero necessari per preparare due edifici come le Torri Gemelle, o anche come il World Trade Center 7, a una demolizione controllata e quanto tempo sarebbe necessario?

Danilo Coppe: Decine e decine di tecnici molto preparati per almeno una settimana per ogni manufatto.


Undicisettembre: Quindi sarebbe stato impossibile che nessuno degli occupanti degli edifici si accorgesse che qualcuno stava venendo a porre queste cariche esplosive in tutto questo tempo?

Danilo Coppe: È categoricamente impossibile perché, tra l'altro, queste orditure in acciaio sono spesso ricoperte da cartongesso o laterizio leggero, che serve tra l'altro come sistema di fissaggio dei servizi quali tubi dell'acqua o cavi elettrici, che vengono così fissati alle putrelle ed alle altre orditure in acciaio. Quindi un eventuale demolitore avrebbe dovuto levare tutti questi materiali, posizionare le cariche, rifare tutte le tappezzerie e tutti i pannellamenti che ricoprivano le orditure. È un'operazione che richiederebbe mesi e mesi di padronanza totale della struttura.


Undicisettembre: Sarebbe possibile azionare l'esplosivo per una demolizione controllata via radio? Quali sono i principali problemi di questa pratica?

Danilo Coppe: Mentre in Italia un'operazione del genere non sarebbe possibile per il caos delle frequenze che abbiamo, negli Stati Uniti teoricamente sarebbe anche possibile farlo, perché c'è molto rigore nell'attribuzione delle frequenze. Certamente il comando via radio dovrebbe essere dato al solo innesco principale, per poi creare un sistema di esplosioni secondarie attivate da onde d'urto trasmesse via cavo a tutto il resto delle cariche [nelle micce detonanti, che sono corde con anima riempita d'esplosivo, l'onda d'urto o onda di detonazione si propaga molto rapidamente lungo il cavo man mano che il cavo detona, N.d.R.]. In poche parole si attiva una prima carica e questa ne attiverebbe altre centinaia. In ogni caso tutte le cariche andrebbero collegate via cavo e quindi ritorniamo al problema di prima. È certo anche questo: con quello che stava succedendo al World Trade Center c'era una miriade di portanti di emergenza, di ogni genere, di privati e istituzionali che avrebbero potuto disturbare il segnale oppure a sua volta attivare le cariche prima del tempo.


Undicisettembre: Il crollo delle Torri Gemelle inizia dall'alto, proprio dove sono state colpite dall'aeroplano. Se fosse stata una demolizione controllata, gli esplosivi sarebbero stati piazzati proprio lì: in alto. Avrebbe senso nel caso delle Torri Gemelle? Dove dovrebbero essere piazzati gli esplosivi?

Danilo Coppe: Assolutamente sarebbero stati piazzati alla base con la maggior concentrazione, poi distribuiti per tutto lo sviluppo a intervalli di 3, 4 o 5 piani uno dall'altro. Il problema è che in un caso l'aereo ha colpito la torre in un punto tale da lasciare sopra di sé circa 17 piani e nell'altro caso c’erano sopra 32 piani. Quindi avevamo dei manufatti in un caso di 17 piani e nell'altro di 32 piani che stavano sopra un varco di circa 3 piani di altezza con le strutture portanti compromesse; quasi nove metri in cui il Boeing 767 ha asportato gli appoggi principali e quindi questi due grossi complessi hanno ceduto in quelle zone per motivi di peso. Tra l'altro è crollato prima l'edificio che è stato colpito per secondo, proprio perché c'erano 32 piani che gravavano sul varco, sullo squarcio. Mentre l'altro edificio ha tenuto di più perché c'erano “solo” 17 piani. Immaginate un palazzo di 17 piani che cade da 9 metri di altezza: è ovvio che distruggerebbe in maniera coassiale tutto ciò che vi sta sotto.


Undicisettembre: La maggior parte dei complottisti ha sostenuto che le Torri Gemelle e l'edificio 7 siano stati demoliti con la termite, poi sono passati alla supertermite o nanotermite. È possibile demolire dei grattacieli con queste sostanze?

Danilo Coppe: La termite non è un esplosivo: la termite è una sostanza chimica molto semplice da reperire perché è ossido di ferro e alluminio. Viene utilizzata per fare le saldature nella cosiddetta alluminotecnica: è un primer che si attiva a fronte di temperature di innesco di almeno sei, settecento gradi e solo allora si innesca questa mescola che produce un effetto “fusione”; non certamente un effetto “esplosivo”. Anche in questo caso collocare dei sacchi di termite e dei dispositivi che possano dare simultaneamente o anche gradualmente sei, settecento gradi in ogni punto in cui viene posizionata la termite è assolutamente impossibile. Anche se parliamo di supertermite è la stessa cosa; la supertermite o nanotermite è ancora ossido di ferro più alluminio, ma con l'aggiunta di silice. Non cambia nulla.


Undicisettembre: Quindi la termite o la supertermite non fa un botto, non fa un rumore come di un esplosivo quando agisce?

Danilo Coppe: Nessun rumore. Nel momento in cui si attiva il sistema di innesco, che può essere al plasma o a elettrodo, si sviluppa questa temperatura nel silenzio più assoluto e si fonde il materiale che gli sta a contatto.


Undicisettembre: Quindi è possibile demolire edifici come le Torri Gemelle e il World Trade Center 7 con queste sostanze?

Danilo Coppe: Assolutamente impossibile. Non si potrebbe mai nemmeno calcolare in che tempi la reazione completa il suo percorso di fusione dell'acciaio che le sta a fianco.


Undicisettembre: Quindi non avrebbe nessun senso utilizzare una sostanza del genere?

Danilo Coppe: Nessun senso, infatti.


Undicisettembre: Nel 2007 Massimo Mazzucco ha portato come prova a suo dire “incontrovertibile” che il WTC7 sia stato demolito con esplosivo un video in cui si sente un'esplosione avvenuta sette ore prima del crollo e ha giustificato il fatto con la seguente frase:

“L'orario in cui la frase è stata pronunciata fa ben poca differenza: come mi ha spiegato lo stesso Coppe, quando l'ho intervistato, più un edificio è solido (ridondante) più bisogna ‘ammorbidirlo’ in anticipo, con cariche individuali, prima di piazzare la serie finale. Altrimenti non viene giù, oppure rischia di restare a metà, che è peggio ancora.

Nelle stesse demolizioni ‘regolari’, se ci fate caso, prima della scarica finale parte una serie più o meno fitta di singole esplosioni, intese a portare la struttura vicino ai limiti di carico. Solo a quel punto si da [sic] il via alla serie definitiva, con le esplosioni in simultanea. Altrimenti ci vorrebbero ogni volta tonnellate di esplosivo, per fare tutto in un colpo solo, e di ‘controllato’ a quel punto resterebbe molto poco.”

È corretto che le demolizioni di grossi edifici avvengono “a rate” e che l'esplosivo viene fatto esplodere anche a distanza di ore?

Danilo Coppe: Negativo. La prima parte di ciò che dice Mazzucco può essere corretta, nel senso che a volte si devono fare dei cicli di demolizione preventiva. La seconda parte delle affermazioni è sbagliata, nel senso che non si può andare dentro a un edificio dopo che gli sono già stati dati un certo numero di colpi, quindi i tempi si riducono sempre a pochi istanti tra le varie esplosioni. Quindi si fa magari prima una serie di cariche di indebolimento, ma a ruota seguono le altre; parliamo di secondi, non certo di ore. Chi è il pazzo che entrerebbe in un fabbricato dopo che è già stato indebolito con delle cariche esplosive? Non sarebbe assolutamente sensato.


Undicisettembre: È vero che nelle demolizioni controllate solitamente vengono tolte le finestre prima di demolire l'edificio?

Danilo Coppe: No, il vetro è un materiale inerte che può stare comodamente dentro le macerie e nelle demolizioni controllate, per quanto si calchi la mano, difficilmente i vetri volano lontani; vengono frantumati in fase di collasso della struttura, quindi direi che è quasi indifferente toglierli o lasciarli.


Undicisettembre: Tornano all'ipotesi di una demolizione controllata delle Torri Gemelle, lasciando in posizione tutti i vetri l'aumento di pressione interna al momento delle detonazioni sarebbe sufficiente a proiettarli in fuori o almeno romperli? Prima hai parlato di “certezza matematica di rompere i vetri di tutto il quartiere, perché avrebbero determinato un'onda sonora elevatissima”. La stessa onda sonora avrebbe rotto anche i vetri dell'edificio in demolizione?

Danilo Coppe: Ovviamente sì.


Undicisettembre: È possibile distinguere un crollo spontaneo da una demolizione controllata in base al tempo di crollo? In caso di demolizione controllata il crollo è più rapido che in caso di crollo spontaneo o no?

Danilo Coppe: È possibile distinguerlo anzitutto perché se è un cedimento strutturale di strutture tradizionali non si sentono i rumori delle esplosioni che altrimenti si sentirebbero. Si possono sentire dei tonfi che possono sembrare delle esplosioni, cioè dei momenti molto rumorosi come in effetti sono stati percepiti alle Twin Towers per il cosiddetto effetto pancake, cioè un solaio che cade sul successivo. Oppure i pilastri caricati di punta, come si dice tecnicamente, nel momento in cui cedono, possono dare strappi o rumori riconducibili a una certa distanza a urti quasi esplosivi. Per cui la prima distinzione è di natura fonometrica.

Per il resto i crolli spontanei non hanno quelle simmetrie che hanno di solito gli abbattimenti controllati. Nel caso delle Twin Towers, essendo una struttura lunga ma relativamente piccola di sezione, l'aver tolto anche pochi appoggi ha determinato un crollo abbastanza simmetrico, anche se osservando bene le immagini si vede che la struttura partiva storta e poi si raddrizzava, ma quello è un problema di baricentro: cioè il baricentro di una struttura che viene forzata a convergere in una direzione per la mancanza di appoggi tutti su un lato tende tanto più a raddrizzarsi quanto più il suo baricentro è basso.

Per quanto riguarda invece il tempo di crollo, nel caso delle Twin Towers è stato impiegato lo stesso tempo che se fosse stato un crollo voluto o una demolizione controllata. In altri casi ci possono essere, a seconda della tipologia costruttiva del manufatto, piccole differenze; ma alla fine l'energia di caduta, cioè massa per accelerazione di gravità, fa sì che bene o male la velocità sia la stessa.


Undicisettembre: È vero che le demolizioni controllate lasciano al suolo pozze di metallo fuso?

Danilo Coppe: Io ho fatto seicento demolizioni controllate e ho assistito allo “smarino” (cioè l'eliminazione delle macerie) delle stesse e non ho mai riscontrato pozze di materiale fuso o in fusione, nemmeno quando ho utilizzato cariche cave come quelle che ho menzionato prima.


Undicisettembre: Quindi la presenza di queste pozze non potrebbe essere attribuita a una demolizione controllata o alla presenza di esplosivi?

Danilo Coppe: No, no, assolutamente. L'esplosivo di per sé non fa nessun effetto di questo genere. L'unica cosa che fa pozze di materiale fuso è appunto la termite; però vi ricordo che la termite è ossido di ferro e alluminio, e l'alluminio era molto presente all'interno del manufatto, nei sistemi di separazione di ambienti, uffici e cose del genere, perché l'edificio era molto pannellato; quindi l'alluminio, di fronte a un incendio di notevole entità, avendo un punto di fusione molto basso, può aver effettivamente creato queste pozze. Ma questo è un problema legato alla grande quantità di aviocarburante che era presente ed al successivo incendio che si è sviluppato.


Undicisettembre: Tu conosci qualche collega che faccia la tua stessa attività e che abbia la tua pari esperienza, anche all'estero, che abbia un'opinione diversa su quello che è successo alle Torri Gemelle e che quindi dica “Sì, secondo me è stata una demolizione controllata”?

Danilo Coppe: No, non ne conosco e quando feci notare che il 99% degli intervistati erano falegnami, veterinari, e non esperti di demolizioni l'unica cosa che mi sorprese fu uno stralcio di un'intervista fatta al mio collega americano Loizeaux [nell'immagine a fianco, N.d.R.], il quale disse che le demolizioni controllate e i crolli delle Torri Gemelle si assomigliavano, ma nella stessa maniera che ho descritto io. Cioè il crollo, il collasso, assomiglia a un abbattimento controllato; non vuol dire che lo sia. Però non conosco nessuno che abbia un'opinione contraria alla mia.


Undicisettembre: Infatti, ricordo che in occasione di un seminario tu dicesti “Non è tanto il crollo delle Twin Towers che assomiglia a una demolizione controllata, ma la demolizione controllata ricrea le condizioni uguali a quelle che hanno determinato il crollo delle Twin Towers”. Questa affermazione è stata un po' strumentalizzata dai complottisti, che hanno detto che Danilo Coppe quindi sostiene che ci fu una demolizione controllata al World Trade Center. Hai qualcosa da dire a riguardo?

Danilo Coppe: Io ho sempre detto che effettivamente era possibile che agli occhi di un profano ci fosse questa similitudine e continuo a confermare questa cosa. Il non addetto ai lavori le può confondere, l'addetto ai lavori invece no. Però di addetti ai lavori ne sono stati consultati molto pochi.


Undicisettembre: Hai visto le repliche che ha fatto Mazzucco alla tua intervista? Ritieni opportuno replicare a qualcuno dei suoi punti?

Danilo Coppe: Le ho viste a suo tempo e mi faceva sorridere il fatto che è difficile convincere una persona quando ha fatto una fede di certe argomentazioni, per cui qualunque cosa uno gli dica trova sempre il modo di contrastare. Io ricordo sempre che gli unici dubbi che ebbi con Mazzucco erano derivanti dal non avere a disposizione i diagrammi dei sismografi della stazione sismica di New York, in cui i complottisti sostenevano che fossero chiare le esplosioni e dissi “Se me le fate vedere, io vi faccio vedere che le frequenze delle esplosioni sono a centinaia di hertz mentre le frequenze degli urti sono ad unità o decine di hertz, per cui si distingue qual è un'esplosione e qual è un urto”. Siccome di fronte a queste mie osservazioni non mi veniva presentato questo famigerato diagramma, ho sempre risposto che non potevo essere così preciso su una risposta del genere. Poi se uno stralcia solo la parte dove dico che non posso rispondere, sembro incerto, dubitante o titubante: in realtà avevo già sufficienti elementi per non andare a cercare ulteriori approfondimenti sull'argomento.


Undicisettembre: C'era a tal proposito una domanda a cui tu hai risposto che la velocità di crollo nelle demolizioni controllate e quelle spontanee sostanzialmente è identica e la replica di Mazzucco è stata “Questa è un'affermazione davvero sorprendente, oltre che apparentemente in contrasto con una delle più note leggi della Fisica.”

Danilo Coppe: Qual è questa legge della fisica? Io resto sempre dell'idea che un corpo cade in base alla massa e all'accelerazione di gravità, per cui se io tolgo 9 metri di appoggi con una demolizione controllata o con un aereo, la velocità di caduta è esattamente la stessa. Può essere più lenta la demolizione controllata se ci sono una marea di orditure da abbattere con piccole cariche e si distanzia molto l'attivazione di una carica rispetto a un'altra, che è una scelta del demolitore che a volte può essere premiante, a volte può essere negativa. Però sicuramente in un caso violento come è stato alle Twin Towers, dove tanti appoggi sono stati eliminati tutti insieme, se avessi fatto la stessa cosa con gli esplosivi avremmo due velocità perfettamente identiche.


Undicisettembre: Confermi a tal proposito di aver notato quel famoso “meteorite” che molto spesso viene mostrato dai complottisti? In che casi hai verificato la presenza di questi massi, di questi grovigli che loro sostengono essere del metallo fuso?

Danilo Coppe: Quando brucia un'autovettura, senza esplosione, si deve andare a guardare quali pezzi vengono trovati conficcati nel fondo stradale, perché l'asfalto è una mescola bituminosa che si fonde e poi si solidifica, quindi bisogna staccare il massello dell'asfalto e poi rifarlo completamente perché le parti meccaniche vanno a incastrarsi con questi materiali inerti. Certamente il cemento ha una resistenza maggiore a questo tipo di coesione con metalli allo stato fuso. Però non dimentichiamoci anche che in questo caso le macerie stesse che hanno creato questa enorme montagna a Ground Zero hanno anche creato un effetto refrattario, cioè il calore si è dissipato con maggiori difficoltà, soprattutto nelle parti più basse che erano quelle a contatto con il fondo e con le strutture in cemento che stavano nei seminterrati. Quindi questo effetto refrattario ha mantenuto certe temperature (attivate dal carburante dell'aereo) in concomitanza con tanto alluminio, che può aver creato queste pozze famose, le quali possono aver fatto interagire i metalli con anche i laterizi.


Undicisettembre: Quindi il famoso “meteorite” si potrebbe trovare in qualsiasi crollo spontaneo?

Danilo Coppe: Se il crollo è avvenuto accompagnato da un incendio, allora sicuramente sì. D’altra parte anche se il crollo è avvenuto “a secco”, cioè senza incendio, allora potremmo avere un fenomeno simile al funzionamento di una sparachiodi che riesce a conficcare per diversi centimetri un chiodo nel cemento a secco e a freddo, rendendoli coesi in maniera inscindibile.


Undicisettembre: I complottisti spesso chiedono un'indagine indipendente, tra l'altro non si sa bene da parte di chi. Che parcella richiederebbe la perizia di un tecnico esperto su un argomento così importante e complesso? Chi potrebbe sostenere tali costi?

Danilo Coppe: Le parcelle di un perito sono molto variabili anche a seconda della luna del perito. Io ho visto in Italia fare perizie, e io ho stesso ne ho fatte, in cui non ci si vuole lucrare (come recentemente il caso di Piazza Loggia, in cui uno deve chiedere solo il rimborso delle spese sostenute). Quando non c'è questa riluttanza morale nello sparare cifre elevate, nulla vieta che il perito chieda una cifra a seconda delle sue aspettative. In questo caso non credo che ci sarebbero state difficoltà nel reperire qualche perito a buon mercato, pur competente, negli Stati Uniti, che facesse questo tipo di analisi.

Sicuramente qualche errore è stato fatto, ma sono convinto della buona fede nella superficialità delle indagini preliminari, perché quando c'è la chiarezza del cinematismo di un evento come quello che è accaduto alle Twin Towers non si sta a pensare “Devo repertare qualcosa per cercare eventuali residui di esplosivo”. Al massimo ci si può chiedere se sull'aereo ci fosse esplosivo, ma anche in questo caso avrebbe agito esclusivamente nella zona del varco, non avrebbe certo agito in altre zone, tantomeno nel WTC7. Quindi francamente era uno scrupolo che si poteva evitare. Dobbiamo anche pensare alle priorità che si davano in quel momento, che erano di tirare fuori persone ancora vive e soprattutto di dare un nome alle frattaglie umane sparse in un mucchio di macerie senza precedenti.


Video: Danilo Coppe spiega il crollo delle Torri Gemelle




Nota tecnica: Nel video Coppe parla di 17 e 50 piani soprastanti anziché di 17 e 32, ma chiaramente questa differenza non inficia i principi della sua spiegazione.

2011/01/03

World Trade Center, intervista a un sopravvissuto dell'hotel Marriott (WTC 3)

di Hammer. L'originale inglese è disponibile qui.

Ogni testimonianza dei sopravvissuti dell'11 settembre ha qualche particolare che la rende unica e meritevole di essere raccontata, e sentire le dirette parole di chi ha vissuto un evento epocale è sempre il modo migliore per tramandarne la memoria. A tal fine il gruppo Undicisettembre pubblica in questa occasione l'intervista che ci ha concesso uno dei sopravvissuti, che ha da raccontare una storia davvero toccante.

Hans Kunnen, questo è il nome del testimone, citato con il suo permesso, è un cittadino australiano che l'11 settembre era in viaggio di lavoro negli USA e si è ritrovato da solo in un paese straniero con pochissimi effetti personali e impossibilitato a fare ritorno a casa per diversi giorni.

Anche la sua storia serve a smentire, se ancora ce ne fosse bisogno, le deliranti teorie del complotto riguardo l'11 settembre; in particolare, essendo stato testimone oculare dello schianto del volo United Airlines 175 contro la Torre Sud del World Trade Center, la sua testimonianza sgombera definitivamente il campo dalle tesi "no plane".

Ringraziamo Hans Kunnen per la sua cortesia e disponibilità.


Undicisettembre: Cosa ricordi, in generale, di quel giorno? Ci puoi fare un breve racconto della tua esperienza?

Hans Kunnen: Era una normale giornata di New York, con bel tempo e cielo azzurro. Era l'ultima giornata di una conferenza del NABE [National Association for Business Economics, Nabe.com] che stavo seguendo. Ero nell'hotel Marriott del WTC, a una colazione di lavoro e stavamo ascoltando un relatore della Morgan Stanley. Quando il primo aereo colpì, sentimmo un rumore sordo e distante, come un'esplosione. Le luci, i lampadari e i tavoli tremarono. La gente iniziò a gridare, abbandonò i propri effetti personali e scappò verso l'uscita. Io rimasi seduto, perché non sembrava esserci pericolo imminente. Non pensai a un attacco terroristico perché mi ero dimenticato dell'attacco al World Trade Center avvenuto negli anni Novanta.

Nel giro di un paio di minuti, rimasero solo tre di noi nella stanza. Uscimmo a vedere cosa fosse successo. La gente entrava dalla Plaza per sfuggire alle macerie che cadevano e – così sembrava – al carburante d'aereo che bruciava. Tentai di salire nella mia stanza per prendere le mie valigie, così che sarei stato nella condizione di riprendere l'aereo nel pomeriggio. Non mi fu permesso di risalire. Ci fu detto di uscire dall'hotel dal lato più lontano, attraverso il Tall Ship Bar and Grill, in modo da evitare le macerie.

Stando all'ingresso vidi in strada automobili in fiamme e macerie. L'aria era piena di carta che bruciava. Uscii dall'hotel, attraversai Liberty Street e la percorsi verso l'attuale Pumphouse Park in Liberty Street. C'era un ponte pedonale coperto tra i due palazzi e fu lì che per la prima volta mi voltai a guardare indietro. Alzando lo sguardo vidi il fumo che usciva dalla Torre 1.

Mentre ero fermo a chiedermi cosa fosse successo, vidi un aereo che volava basso sopra la zona del porto di New York. Accelerò e si inclinò lateralmente prima di schiantarsi contro la Torre Sud. Il rumore fu fortissimo, il suono di un aereo che accelera. Fiammata arancione, fumo nero, cielo azzurro, urla di terrore, lacrime, confusione.

In quel momento mi fu chiaro che non si trattava di un incidente e che era il momento di allontanarsi in caso ce ne fossero altri in arrivo.

Decisi di dirigermi verso il traghetto per Staten Island. La mia idea era di andare a Staten Island, bussare alla porta di una chiesa e chiedere aiuto e alloggio. Quindi mi feci strada con una sensazione di determinazione, paura e ansia per circa un chilometro fino al terminal d'imbarco dei traghetti. Mentre aspettavo dentro l'edificio del terminal ci fu un rumore molto forte. L'edificio tremò, la gente urlò, ci fu il rumore di esplosioni che si susseguivano, come il boato di una bordata di una corazzata della Seconda Guerra Mondiale. Era il rumore dei piani della Torre Sud che crollavano uno sull'altro. Ci furono urla e paura tra la folla di diverse migliaia di persone che si trovavano sul terminal e attorno ad esso. Pensai che sarei morto.

Circa nello stesso momento si aprirono i cancelli d'accesso al traghetto e la gente salì a bordo. Non ci fu panico, ma la gente salì a passo spedito. Mentre salivamo sul battello, le volute di una nuvola di polvere grigio-giallognola arrivò sopra di noi. Fummo costretti a respirare attraverso fazzoletti e lembi delle camicie. Mentre ci sedevamo o prendevamo posto in piedi, la nuvola di polvere della Torre 2 ci avvolse. Questo creò un po' di paura e apprensione tra le persone intorno a noi e anch'io mi portai il lembo della camicia sulla bocca. La gente indossava i giubbotti di salvataggio mentre il battello era ancora fermo sul pontile.

Offrii il mio posto a sedere a una signora, ma lei declinò. La stessa donna tentò poi di infilarsi un giubbotto di salvataggio e fece cadere uno dei suoi orecchini. Glielo raccolsi e glielo restituii. Iniziammo a parlare. Aveva notato il mio nome sul cartellino della conferenza – Hans Kunnen, Sydney, Australia – e mi chiese dove stessi andando. Le dissi della mia idea di cercare rifugio in una chiesa e lei si offrì di ospitarmi presso la sua famiglia. La signora era Leslie Castelucci DeFreitas. Leslie era con un collega di lavoro e offrì aiuto anche all'uomo che era seduto di fianco a me.

Dopo circa 20 minuti il battello partì e dopo qualche centinaio di metri uscì dalla nuvola di polvere che aveva avvolto il terminal e gran parte del porto. Giunti a destinazione, scendemmo e prendemmo il treno verso Dogan Hills; poi proseguimmo a piedi fino a casa di Leslie in Cromwell Street. Lì tentammo di contattare mia moglie a Sydney, ma le linee non funzionavano. Dopo circa quattro ore la raggiungemmo, con gran sollievo di Suzanne: aveva visto in televisione il secondo aereo colpire le torri e sapeva che io ero proprio lì sotto. Fu un momento molto duro per lei. Alcuni amici erano andati a trovarla per starle vicino e pregare con lei.


Undicisettembre: Dopo l'11 settembre fosti costretto a restare a New York una settimana prima di poter tornare in Australia. Cosa ti accadde in quei giorni e com'erano la città e i suoi abitanti dopo la tragedia?

Hans Kunnen: Bella domanda! Rimasi a Staten Island per i primi tre giorni e in un hotel a mid-town [il quartiere centrale di Manhattan] per gli ultimi quattro (l'Hilton Hotel).

Leslie e Rod mi ospitarono presso di loro. Mi diedero da mangiare e da vestire e cercarono di mantenere più “normali” possibile le attività giornaliere. Visitammo alcuni parchi con il loro giovane figlio John, cenammo fuori a un diner – molto americano! – il King's Arms, in un parco a Staten Island. Andai a trovare Rod al lavoro – è un idraulico.

Il tempo era bello e ci sedevamo in giro a parlare delle nostre famiglie, delle nostre speranze e dei nostri sogni. Notai un risveglio del nazionalismo americano. Alcuni dei giovani per strada parlavano di arruolarsi nelle forze armate. Altri semplicemente speravano di andare al college e di trovare lavoro in futuro. Quando arrivai la prima volta a Cromwell Street, dove abitavano Leslie e Rod, c'erano forse cinque bandiere degli Stati Uniti ogni dieci case. Quando me ne andai ce n'erano da quindici a venti ogni dieci case. Venivano innalzate bandiere dappertutto. In ogni cantiere, a Manhattan, a Times Square – ovunque.

La polizia era molto nervosa. Mentro ero su un autobus per New York City da Staten Island finimmo in un ingorgo. L'autista ci disse di scendere dall'autobus perché c'era un problema. A quanto pareva, un terrorista aveva appena superato un posto di blocco e si stava dirigendo a Staten Island. Pertanto tutti i ponti da e per Staten Island erano chiusi fino a nuovo ordine. Era questo il motivo dell'ingorgo. Ero con un'amica di Leslie e ci incamminammo alla ricerca di un telefono per trovare il modo di tornare a casa. Mentre camminavamo un'automobile accelerò verso di noi seguita da un'auto e da un elicottero, entrambi della polizia. Si fermarono a 30 metri da noi. I poliziotti tirarono l'autista fuori dall'auto, estrassero le pistole, lo bloccarono contro il cofano della sua macchina e lo perquisirono. Sembrava una scena presa di peso da un poliziesco in TV. L'elicottero fece un gran baccano volando proprio sopra di noi e sollevando la polvere. Temetti che potessimo essere colpiti da una raffica di proiettili e quindi ci accucciammo dietro a una grossa Chevy. Si trattò di un innocente malinteso. L'uomo non si era accorto del posto di blocco e lo lasciarono andare. A occhio era un operaio di cantiere in pausa pranzo!

Più tardi lo stesso giorno andai alla stazione Grand Central prendendo l'autobus e il treno. Non appena si aprirono le porte del treno, un poliziotto con un megafono mi disse che c'era un allarme bomba e che io e molte altre migliaia di persone dovevamo salire le scale e uscire. Non c'era nessuna bomba, ma era meglio essere prudenti che pentiti. Un'ora dopo, lo stesso allarme bomba raggiunse l'edificio della Australian High Commission e gli allarmi si misero a suonare di nuovo – proprio mentre ero seduto appena sotto di esso a compilare un modulo.

Fummo d'accordo che sarebbe stato saggio spostarmi più vicino alla Australian High Commission [immagine qui accanto, N.d.R.], che era a mid-town, così che potessi ottenere un nuovo passaporto, procurarmi dei biglietti aerei, comprarmi vestiti e così via. Leslie fu straordinaria nel reperirmi una stanza all'Hilton Hotel e nel trovare i vari numeri di contatto. Mi trasferii all'Hilton giovedì.

Prima della conferenza economica del NABE che stavo seguendo avevo comprato molte cravatte al Metropolitan Museum of Art. Tutte erano decorate con motivi dell'artigianato americano. Mi piacevano. Le avevo riposte nella mia valigia, pronte per la fase successiva del mio viaggio. Quando crollò la Torre Sud, il mio hotel ne fu schiacciato insieme ai miei effetti personali. Ero deciso a rimpiazzare ciò che era andato perduto, e con il permesso del mio capo andai a comprare un paio di cose, tra cui delle camice di JoS A Bank! Ricomprai le cravatte del ”Met” – ora in versione 2 – e le indosso tuttora con orgoglio, anche se risentono un po' dell'usura.

Ho l'abitudine di comprare tazze da caffè nei posti che visito (questo fa impazzire mia moglie – abbiamo troppe tazze in cucina!). Ne avevo comprata una dopo essere andato in cima all'Empire State Building il primo sabato che ho trascorso a New York. Dopo essere stato al Met a comprare le cravatte andai all'Empire State Building. A quel punto la sicurezza per entrare nell'edificio era esasperata. Posi sul nastro trasportatore il mio sacchetto con gli acquisti ed entrai nel negozio, dimenticandomi completamente del sacchetto. Quando mi accorsi che non l'avevo più, crollai. Mi sedetti per terra nel negozio dell'Empire State Building e cominciai a piangere! Finalmente mi ricomoposi dopo che alcune persone mi avevano chiesto se stavo bene. Alla fine mi resi conto di cosa avevo fatto e con un certo imbarazzo ritrovai la mia borsa al controllo di sicurezza all'ingresso. Ero teso e molto fragile. Non dormivo bene e mi mancavano il conforto e la conversazione di Leslie, Rod, la loro famiglia e i loro amici. Per certi versi era stato un errore trasferirsi lontano da loro e in un hotel, ma al momento mi era sembrata una buona idea.

Mi comprai dei vestiti nuovi in negozi che sembravano quasi deserti. Sembrava che ci fossero poche persone nella zona di midtown.

Una cosa bella mi capitò. Dopo essermi rifiutato di pagare 200 dollari per una cintura di pelle, mi allontanai di alcuni isolati dalla Quinta Avenue e m'imbattei in un negozio della catena JoS A. Banks di abbigliamento maschile. Fanno le camicie bianche da ufficio più belle e più facili da stirare del mondo. In seguito ne comprai altre online dall'Australia!

Essendomi trasferito all'Hilton Hotel nella midtown, avevo molto tempo a disposizione. A quel punto non c'erano voli in uscita dagli Stati Uniti. In TV c'erano stati appelli per le donazioni del sangue, e così venerdì, dopo aver ritirato il mio nuovo passaporto, mi diressi al centro di raccolta di sangue più vicino, che scoprii essere l'aula magna della scuola superiore Martin Luther King Jr nell'Upper West Side di Manhattan. La raccolta e il colloquio medico avvennero sul palco, usando quello che sembrava essere equipaggiamento d'emergenza che era stato portato sul posto. Non era un normale centro per la donazione del sangue. Ciò che mi colpì di più fu la silenziosa determinazione delle persone che si presentavano a donare sangue. Erano soprattutto donne tra i 30 e i 40 anni che sembravano semplicemente desiderare di rendersi utili. Donne che facevano jogging, madri metropolitane, ragazze da palestra. Tutte volevano fare la propria parte – e la facevano. Ne fui impressionato.

Il procedimento era simile a una donazione del sangue in Australia. Aspetti il tuo turno, compili dei moduli, rispondi alle domande, ti verificano la pressione sanguigna e alcune altre cose e poi doni varie centinaia di millilitri di sangue. Dopo ti riposi mentre mangi una barretta di muesli che ti viene offerta e bevi succo d'arancia o di frutti di bosco.

Durante la procedura per la donazione del sangue ci fu detto che i donatori avrebbero avuto diritto a un accesso gratuito alla famosa e favolosa Frick Collection di opere d'arte sulla East 70th Street. All'epoca non avevo idea di cosa contenesse, ma pensai che meritava un'occhiata. Era davvero bella! C'erano opere di Constable, Gainsborough, Holbein, Rembrandt e molti altri. Fu una festa per gli occhi in un ambiente tranquillo. Gli orrori dei giorni precedenti si persero in un mare di colore e cultura. L'atmosfera alla mostra era pacata e riflessiva. Pochi parlavano. Guardavamo e meditavamo. Comprai delle cartoline come ricordo e me ne andai portando in me un ricordo di cui fare tesoro.

Vicino all'hotel c'era un negozio che attirò la mia attenzione mentre vagavo per le strade. Si chiamava American Craftsman. Scusatemi se sembro esagerato nelle mie lodi, ma i loro lavori erano davvero eccezionali. C'erano quadri, incisioni, sculture, mobili e lavori in vetro. Cercavo qualcosa da portare a casa per i miei figli e alcune “scatole” di fattura pregiata catturarono la mia attenzione. Sui coperchi erano incise della parole. Ne comprai tre. Su una era scritto “Gentilezza”, su un'altra “Coraggio” e sulla terza “Speranza”. In un certo senso riflettevano un messaggio che volevo che i miei figli recepissero dopo lo sconvolgimento dell'11 settembre. Nulla di costoso, nulla di appariscente, solo una scatola con una parola sul coperchio! Le hanno ancora sulle loro scrivanie o accanto al letto.

Passeggiai per Central Park. Sembrava che ridere fosse un delitto. La gente giocava con i bambini, ma era tutto molto malinconico. Era un posto triste in cui trovarsi. Volevamo essere normali ma eravamo tutti ancora in stato di shock e in lutto.

Avendo comprato una macchina fotografica usa-e-getta vagai per le strade. Ogni tanto passavo davanti alle stazioni dei pompieri. Era da lì che gli uomini erano corsi dentro le torri per spegnere gli incendi e salvare chi era rimasto intrappolato. Molte stazioni avevano perso degli uomini. C'erano omaggi floreali sui marciapiedi antistanti. C'erano anche foto di persone disperse, con numeri di telefono scritti sotto, così che chi li avvistava potesse telefonare a qualcuno.

Vorrei essere sincero: l'Hilton è un bellissimo albergo. Le camere sono di altissimo livello, il servizio era eccellente e la TV aveva 43 canali. Il problema ero io. Riflettendoci, ero ancora in parte sotto stress per ciò che era appena successo. Parte di me voleva parlare e interagire, ma un'altra parte di me voleva che stessi seduto da solo nella mia camera. La TV era carica di dolore. Le trasmissioni televisive mandavano in sovrimpressione messaggi di ricerca delle persone scomparse che attraversavano lo schermo nella parte più bassa. Non ricordo assolutamente che ci fossero spettacoli di intrattenimento. Avrei voluto ridere, ma non credo che ci sarebbe stato nulla che avrebbe potuto farmi ridere in quei giorni.

Nella camera c'era una Bibbia dei Gedeoni [nota associazione evangelica che distribuisce gratuitamente Bibbie negli alberghi, N.d.R.] che fu di grande conforto. Ricordo di aver meditato sul Salmo 25, dopo aver sentito George Bush citare il Salmo 23 nel suo discorso alla nazione. Ho voluto leggere ciò che c'era dopo il Salmo 23 – dopo il passaggio per la valle dell'ombra della morte [trad. Nuova Riveduta], cosa c'era? Il Salmo 25 mi diede la risposta. I versi 15- 17 dicono “Tengo i miei occhi rivolti al Signore, perché libera dal laccio il mio piede. Volgiti a me e abbi misericordia, perché sono solo ed infelice. Allevia le angosce del mio cuore, liberami dagli affanni.” Parole come laccio, solo, infelice, angosce, affanni erano parte della mia vita, e della vita di New York, in quel momento.

Prenotai un minibus dall'albergo per andare in aeroporto. Ospitava circa otto persone e i loro bagagli. Avevo visto Leslie e Rod il giorno prima per salutarli. Avevo una sacca con pochi vestiti: poche cose da far ispezionare all'aeroporto. Posso garantire che fu il viaggio più sicuro nella storia del mondo. C'erano circa 10 soldati che ci controllarono non appena salimmo a bordo dell'aereo. Tutti avevano pistole – presumibilmente cariche. Fu un bellissimo volo verso casa.

Com'era la gente di New York? Gentile, generosa, triste, determinata, ferita, confusa, arrabbiata, pragmatica. Si rimboccò le maniche quando fu attaccata e quando ne vide il bisogno. Io fui il fortunato destinatario della loro gentilezza e generosità, per le quali sarò sempre grato.


Undicisettembre: Torniamo all'11 settembre. Dopo lo schianto del primo aereo contro la Torre 1, pensasti che si trattasse di un terribile incidente o capisti subito che doveva trattarsi di un attentato terroristico? E cosa ne pensava la gente per strada?

Hans Kunnen: Sentii pronunciare la parola “aereo” mentre ero per strada e pensai “Cessna”: non mi passò neanche per la testa che potesse trattarsi di un aereo di grandi dimensioni, nonostante la grandezza dello squarcio nell'edificio e la quantità di danni. Era un pensiero irrazionale. Nei minuti successivi all'evacuazione, mentre ero circondato dalle persone che erano uscite dall'hotel, nessuno sembrava sapere nulla. Dove mi trovavo io, la sensazione era “ci penseranno i pompieri e la polizia”. C'erano molte sirene che suonavano. L'idea di un attacco terroristico semplicemente non mi passò per la testa.


Undicisettembre: So che questa è una domanda abbastanza bizzarra, ma c'è gente matta sulla Rete che sostiene che gli aerei che colpirono il Trade Center fossero finti. Sostengono che le Torri furono colpite da missili o che delle bombe esplosero all'interno e che gli aerei mostrati dalla televisioni furono soltanto ologrammi. Dato che hai visto con i tuoi occhi il secondo aereo che colpiva la Torre Sud, credo che tu possa smentire definitivamente questa follia, giusto?

Hans Kunnen: Ho visto il secondo aereo avvicinarsi da sopra il fiume. Pensai che fosse un posto strano per volare, che forse era uno scherzo di un'università o una ripresa televisiva per la pubblicità di una compagnia aerea. Non ho mai pensato che l'aereo fosse finto. Ho viaggiato molto e ho a che fare con gli aerei da anni. Era decisamente un aereo vero. Faceva il rumore di un aereo vero. Il suono di un aereo che accelera è molto forte. Uno dei miei ricordi più persistenti è il rumore appena prima dell'esplosione. Era un aereo reale; potevo quasi scorgere le persone dietro ai finestrini. Poi si compenetrò con l'edificio e creò una palla di fuoco. Asserire che non fu un vero aereo è assurdo. Io lo vidi, lo udii e sentii le conseguenze del suo impatto.


Undicisettembre: Puoi descrivere cosa vedesti e sentisti di questo secondo impatto? Per esempio, riuscisti a vedere i loghi della United Airlines dell'aereo? Notasti qualche dettaglio della sua traiettoria? Ci sono altri aspetti che ti colpirono?

Hans Kunnen: Ero a circa 150-200 metri dalla Torre Sud, in Liberty Street. Sentii e vidi un aereo che volava basso sopra il porto. Accelerò e s'inclinò verso la Torre Sud. Il rumore era molto forte mentre accelerava. Non ne ricordo i marchi ma non ne dimenticherò mai la palla di fuoco, il rumore e il fumo nel momento in cui si fuse nella Torre Sud.


Undicisettembre: Come reagì la gente dopo il crollo della Torre Sud?

Hans Kunnen: A quel punto mi trovavo già sul terminal dei battelli per Staten Island. Ci furono urla quando l'intero terminal tremò. Pensai che si trattasse di mortai o granate o  missili Cruise che esplodevano nelle vicinanze. Quasi contemporaneamente si aprirono i cancelli del battello e potemmo salire. Il movimento fu composto ma c'era tensione. Ricordo di aver visto molte scarpe da donna abbandonate per poter camminare più velocemente. La gente urlava “Mantenete la calma, non vogliamo che si crei una calca”.


Undicisettembre: Come descriveresti la zona downtown di New York dopo il primo crollo? Dalle immagini televisive sembrava che fosse avvolta in una nube di polvere e fumo, ma credo che non fosse nulla al confronto di ciò che i testimoni videro con i loro occhi. Come ricordi la città dopo il primo crollo?

Hans Kunnen: Ero sul battello per Staten Island. Non vidi il crollo; lo udii, ma per un certo lasso di tempo non sapevo di cosa si trattasse. Sul battello la gente stava indossando i giubbotti di salvataggio quando la nuvola di polvere si rovesciò su di noi.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto che sostengono che l'11/9 fu un “inside job”? La maggior parte dei sostenitori di queste teorie asserisce che le Torri furono demolite intenzionalmente con esplosivi; alcuni sostengono addirittura, come menzionato in precedenza, che nessun aereo si sia mai schiantato contro le Torri e che tutti i video che lo dimostrano siano fasulli. Qual è la tua opinione?

Hans Kunnen: Nessuna delle teorie del complotto è plausibile. Quando due aerei carichi di carburante colpirono le torri, era inevitabile che l'impatto fosse catastrofico – e lo fu.


Undicisettembre: Per quanto ne sai, queste teorie del complotto sono diffuse in Australia?

Hans Kunnen: Le teorie del complotto sono note in Australia ma di solito vengono ignorate. La maggioranza delle gente accetta il fatto che degli aerei si schiantarono contro le torri e che il carico di carburante avio creò temperature tali da indebolire la struttura e portare al crollo. Quando parlo della mia esperienza, ogni tanto qualcuno solleva la questione delle toerie del complotto, ma sono solo una piccola minoranza.


Undicisettembre: Hai mai incontrato qualche sostentitore delle teorie di complotto e provato a discuterci?

Hans Kunnen: No. Solitamente mi hanno chiesto se ci credo e ho risposto “No”. Mi fermo a ciò di cui ho esperienza diretta. Le riprese televisive del primo aereo che ho visto indicano che era sufficientemente reale da far tremare l'edificio, come ha fatto. La vista e il suono del secondo aereo erano reali tanto quanto qualunque altro aereo che io abbia mai visto o udito.


Undicisettembre: Come ha reagito l'Australia, come nazione e come popolo, all'11 settembre? Voglio dire, essendo l'Australia uno dei più fedeli alleati degli USA, vi siete sentiti direttamente colpiti?

Hans Kunnen: Quando tornai al lavoro nella città di Sydney rimasi sbalordito ed emotivamente toccato dai tributi floreali davanti al consolato degli Stati Uniti [immagine qui accanto, N.d.R.], che era vicino a dove lavoravo. Martin Place era ricoperto di fiori. Mi fece piangere! Avevo visto tributi floreali simili fuori dalle stazioni dei pompieri di New York. Colpiti, scioccati, offesi, addolorati sono le parole che meglio descrivono i sentimenti. C'era grande solidarietà nei confronti di New York e dei suoi abitanti.


Undicisettembre: Abbiamo sentito altri sopravvissuti dire che condividere la propria storia con altri sopravvissuti li ha molto aiutati a recuperare. Vivendo tu così lontano dagli USA, immagino che tu non abbia avuto occasioni di partecipare a incontri con altri sopravvissuti dell'11/9. Come hai fatto quindi a riprenderti da un tale shock e da una tale tragedia?

Hans Kunnen: Raccontando la mia storia ad altri ho potuto condividerne il fardello. Ho tenuto incontri sulla mia esperienza – ricordando alla gente la propria mortalità e la necessità di essere pronti alla morte – soprattutto in senso spirituale. Nei mesi successivi all'11/9 mi fu chiesto continuamente di raccontare la mia storia e sono stato felice di raccontarla a chiunque avesse molto tempo a disposizione.

Ancor oggi, raccontare alcune parti della mia storia mi fa piangere. La visione di una donna che viene scagliata fuori dalla Torre Sud dall'esplosione e che attraversa la mia visuale in giravolte scomposte. L'estrema gentilezza di Leslie DeFreitas Castellucci e della sua famiglia. I vestiti che diedero a me, uno sconosciuto. La tristezza di Central Park. L'assenza di risate in televisione. I messaggi pieni di dolore che scorrevano in televisione da parte di chi cercava di contattare i propri cari. Poi i tanti funerali, ogni settimana, ai quali la gente andava. C'era stata una perdita di vite umane così grande – vite di persone che stavano semplicemente facendo le loro tranquille attività quotidiane.


Undicisettembre: L'11 settembre come ha cambiato la tua vita? Sei riuscito a tornare alla normalità?

Hans Kunnen: Sono sopravvissuto. Avevo un lavoro da fare, dei figli da crescere, uno stipendio da guadagnare, dei clienti da assistere, una chiesa di cui essere parte. Non mi trovai confrontato quotidianamente con il lutto persistente che si viveva a New York. Avevo scadenze e responsabilità da onorare e queste focalizzarono e diedero una direzione alla mia via quotidiana. Mi offrirono una distrazione positiva dai pensieri oscuri che altrimenti avrebbero potuto sopraffarmi.

Per un po' di tempo i rumori forti mi hanno innervosito. Ero un po' sulle spine. Ora prendo le esercitazioni antincendio molto seriamente. Sono molto pensieroso nelle giornate di cielo terso, quando sono attorniato da torri di uffici e un aereo mi sorvola ad alta quota. Ogni volta rivedo tutto.

An Interview with Hans Kunnen, WTC 3 Survivor, Eyewitness to Second WTC Plane

by Hammer. Italian translation is available here.

Every account of the survivors of 9/11 has something that makes it unique and worthy of being reported, and there is no better way to preserve that memory than reading the words of someone who experienced directly such an epochal event. For this reason, the Undicisettembre group is publishing an interview granted by one of those survivors, who has an especially touching story to tell: Hans Kunnen.

Mr Kunnen (quoted here with his permission) is an Australian citizen who on 9/11 was in the US on business and found himself stranded in a foreign land with few personal items and with no way to get home for several days.

His story also provides further refutation (if any is needed) of the wild conspiracy theories related to 9/11. In particular, as an eyewitness to the impact of United Airlines flight 175 against the South Tower of the World Trade Center, Kunnen's account fully dispels the so-called “no plane” theories.

We'd like to thank Hans Kunnen for his kindness and willingness to share his harrowing experience.

Undicisettembre: What do you remember, generally speaking, about that day? Can you give us a brief account of your experience?

Hans Kunnen: It was a very normal New York day, with fine weather and blue sky. It was the last day of a NABE [National Association for Business Economics, Nabe.com] conference I was attending. I was in the WTC Marriott hotel at a breakfast meeting, listening to a speaker from Morgan Stanley. When the first plane hit we heard a distant thud, like an explosion. Lights, chandeliers and tables shook. People started screaming, left all their belongings and ran for the exit. I remained seated, since there appeared to be no immediate danger. My mind was not on a terrorist attack because I had forgotten about the attack on the WTC in the 1990s.

Within a minute or two, there were only three of us left in the room. We wandered out to see what had happened. People were coming in from the Plaza to escape falling debris and – apparently – burning jet fuel. I tried to go upstairs to my room to get my suitcases so I would be in a position to fly out in the afternoon. I was not allowed to go upstairs. We were told to exit the hotel at the far end – through the Tall Ships Bar and Grill – in order to avoid debris.

Standing at the door I saw cars on fire and rubble in the street. The air was filled with burning paper. I left the hotel and ran across and along Liberty Street towards what is now Pumphouse Park on Liberty Street. There was a walkway between the two buildings and that’s where I first stopped to look back. As I looked upwards I saw the smoke billowing from Tower 1.

As I stood there wondering what had happened, I saw a low-flying plane over the New York ‘harbour area’. It accelerated and banked before slamming into the south tower. The noise was extreme, the sound of an airplane accelerating. Orange flame, black smoke, blue sky, screams of terror, tears, confusion.

At that moment it became apparent to me that it was no accident and that it was time to leave in case there were more coming.

I decided to head for the Staten Island ferry. My plan was to go to Staten Island, knock on the door of a church and ask for help and shelter. So I meandered with a feeling of purpose, dread and anxiety the 1 km or so to the ferry terminal. While waiting inside the ferry terminal there was a very loud noise. The building shook, people screamed, there was the sound of ongoing explosions, like the sound of a broadside from a World War II battleship. It was the sound of the floors of the South Tower collapsing upon each other. There was screaming and fear within the crowd of several thousand in and around the ferry terminal. I thought I would die.

At roughly the same time the gates to the ferry slid open and people made their way onto the ferry. There was no panic but people did move briskly onto the ferry. As we boarded the ferry the cloud of yellow grey dust billowed over us. We had to breathe through handkerchiefs and shirt tails. As we took our seats or stood, the cloud of dust from Tower 2 swept over us. This created some fear and anxiety among those around us; I, too, put my shirt tails to my mouth. People were putting on life jackets as the ferry was still stationary at the wharf.

I offered my seat to a lady, but she declined. The same lady then tried to put on a life jacket and knocked off her earring. I picked it up and gave it back to her. We got talking. She had seen my name tag from the conference – Hans Kunnen, Sydney, Australia – and asked where I was going. I told her of my plan to seek refuge at a church and she offered to put me up with her family. The lady was Leslie Castelucci DeFreitas. Leslie had a work colleague with her and offered to assist the young man sitting next to me.

After about 20 minutes the ferry departed and after a few hundred meters it cleared the cloud of dust that had enshrouded the ferry terminal and much of the harbour. At the other end we alighted and caught the train to Dongan Hills and then walked to Leslie’s home in Cromwell Street. At Leslie’s home we tried to contact my wife in Sydney, but the lines were not working. After about 4 hours we got through, much to Suzanne’s relief – she had seen the second plane hit the towers on TV and knew I was directly underneath. It was a very bad time for her. Friends came round to sit and pray with her.


Undicisettembre: After 9/11, you had to stay one more week in New York before being able to get back to Australia. What happened to you in those days and how were the city and its citizens in the days after the tragedy?

Hans Kunnen: Good question! I was on Staten Island for the first three days and in a hotel in mid-town for the last four days (Hilton Hotel).

Leslie and Rod put me up. They fed and clothed me and tried to keep activity as ‘normal’ as possible. We visted parks with their young son John, we ate out at a diner – very USA – the King's Arms in a park on Staten Island. I visited Rod’s work – he’s a plumber.

The weather was warm and we sat around talking about our families, our hopes and our dreams. I did notice a rise in US nationalism. Some of the younger people on the street were talking about signing up for the armed forces. Others just had hopes of going to college and getting jobs in the future. When I first arrived in Cromwell Street, where Leslie and Rod lived there were maybe 5 US flags showing per 10 houses. By the time I left there were 15 to 20 flags displayed per ten houses. Flags were going up everywhere. All over construction sites, in Manhattan, at Times Square – just everywhere.

The police were very jumpy. As I was on a bus heading for New York City from Staten Island, we ran into a traffic jam. The driver told us to get off the bus as there was a problem. Apparently a terrorist had just run a road block and was heading into Staten Island. As a result all the bridges onto and off the Island were closed until further notice. Hence the traffic jam. I was with a friend of Leslie and we walked to find a phone and organise a lift home. As we walked a car sped towards us, and a police car and a police helicopter. They all stopped 30 m from where we were standing. The police pulled the driver out of the car, drew their guns, forced the male driver onto the bonnet of his car and searched him. It was straight out of a cop show. The helicopter made a terrible racket flying just overhead and spitting up dust. I thought we might get hit by a spray of gunfire so we crouched down behind a large Chevy. It was all an innocent mistake. The guy didn’t realise it was a road block, they let him go. He looked like a construction worker on a lunch break!

Later that day I did catch a bus and train into Grand Central. As the train doors pulled open a policeman with a megaphone told me there was a bomb scare and myself and several thousand other people needed to make our way upstairs and outside. There was no bomb, but better safe than sorry. An hour later that same bomb scare reached the Australian High Commission and the alarms were set off once again – as I sat immediately underneath it while filling in a form.

We agreed that it was a good idea to move closer to the Australian High Commission [pictured right] which was in mid-town, so that I could organise a new passport, airline tickets, buy clothes and so on. Leslie was exceedingly competent at getting me a room at the Hilton Hotel and finding the various contact numbers. I moved to the Hilton Hotel on Thursday.

Prior to the NABE economics conference I was attending, I had purchased several ties at the Metropolitan Museum of Art. They had American craft motifs on them. I thought they were nice. They were packed in my suitcase ready for the next stage of my journey. When the South Tower collapsed, my hotel was crushed along with my belongings. I was determined to replace what was lost – and with my boss’s permission set about buying one or two things – including shirts from Jos A Bank! I purchased my ties from the ‘Met’ – now version II – and still wear them proudly – though they are suffering a little from wear and tear.

One habit I have is to buy a coffee mug at places I visit (it drives my wife nuts – we have too many mugs in our kitchen!). I had purchased one after going to the top of the Empire State building on my first Saturday in New York. Having been to the Met to buy my ties, I went to the Empire State Building. By now the security to get in the building was extreme. I placed my bag of shopping on the conveyor belt and moved into the shop, totally forgetting about my bag. When I noticed it was missing I simply could not cope. I sat on the floor in the shop at the Empire State Building and started crying! I eventually composed myself after a few people had asked if I was OK. I eventually realised what I had done and somewhat embarrassed, found my bag at the security check in. I was on edge and very fragile. I had not been sleeping well and missed the comfort and conversation of Leslie, Rod, their family and friends. In some respects it was a mistake to have moved away from them and into the hotel – but it did seem like a good idea at the time.

I bought some new clothes at shops that seemed fairly deserted. Few people seemed to be in the mid-town area.

A good thing did happen. After refusing to pay 200 dollars for a leather belt, I moved a few blocks away from 5th Avenue and came across a JoS A. Banks men’s clothing store. They make the best, easiest to iron white business shirts on the planet. I later bought some online from Australia!

Having moved into the Hilton hotel in mid-town, I had time to kill. There were no flights leaving the US at this stage. There had been appeals on TV for blood donations, so on Friday, having picked up my new passport, I headed for the nearest blood donation centre, which turned out to be the auditorium of the Martin Luther King Jr high school on the Upper West Side of Manhattan. The collection and interviews were done on the stage using what looked like brought-in emergency equipment. This was not a regular blood donation centre. What struck me most was the quiet determination of the people who turned up to give blood. It was heavily dominated by women in their 30s who just seemed to want to help. Joggers, soccer mums, gym girls. They all wanted to play their part – and they did. I was impressed.

The process was similar to donating blood in Australia. You wait your turn, you fill out forms, you answer questions, they test your blood pressure and a few other things and then you donate several hundred mls of blood. Afterwards you rest as you munch on donated muesli bars and drink orange or berry juice.

During the donation process it was mentioned that blood donors could gain free entry to the famous and fabulous Frick Collection of artworks on East 70th Street. I had no idea at the time what it held but it was worth a look. It was really good! There were works by Constable, Gainsborough, Holbein, Rembrandt and many others. It was a feast for the eyes in a tranquil setting. The horrors of the past few days were drowned in a sea of colour and culture. The mood at the collection was restrained and reflective. Few spoke. We looked and pondered. I bought a few postcards as mementos and moved on. I had a treasured memory.

Close to the hotel was a shop that caught my eye as I wandered the streets. It was called the American Craftsman. Excuse me if I’m sounding gushing in my praise, but the works there were outstanding. There were pictures, carvings, sculptures, furniture and glasswork. I was looking for something to take home to the kids and some wonderfully crafted ‘boxes’ caught my eye. On the lids were carved words. I bought three. One said Kindness, another said Courage and the third said Hope. In a way they reflected a message I wanted my kids to grasp after the turmoil of September 11. Nothing expensive, nothing flash, a simple box with a word on the lid! They still have them on their desks or beside their beds.

I walked in Central Park. It felt like a crime to laugh. People were playing games with kids but it was very sombre. It was a sad place to be. We wanted to be normal but were all still in shock and mourning.

Having purchased a disposable camera I wandered the streets. From time to time I came across fire stations. It was from these places that men had rushed to the towers to put out fires and rescue the trapped. Many stations had lost men. There were floral tributes along the pavements outside. There were also pictures of people who were lost, with phone numbers written beneath them so that you could contact someone if you had seen them.

Let me be fair. The Hilton Hotel is a very good hotel. Its room are top notch, the service was excellent and the TV had 43 channels. The problem was me. Upon reflection I was still somewhat stressed by what had just happened. Part of me wanted to talk and interact, yet another part of me wanted to sit alone in my room. The TV was mournful. TV shows had banners running across the bottom with missing person queries. I don’t recall any comedy shows at all. I wanted to laugh but I’m not sure anything could have made me laugh in those days.

The room had a Gideon’s Bible in it, which was a great comfort. I remember reflecting on Psalm 25, having heard George Bush quote Psalm 23 in his speech to the nation. I wanted to read what was beyond Psalm 23 – after passing through the valley of the shadow of death, what was next? Psalm 25 gave me that answer. Verses 15-17 read: “My eyes are ever on the LORD, for only he will release my feet from the snare. Turn to me and be gracious to me, for I am lonely and afflicted. Relieve the troubles of my heart and free me from my anguish”. Words like snare, lonely, afflicted, troubles and anguish were part of my life and the life of New York at that time.

I booked a large people mover from the hotel to go to the airport. It seated about 8 people and their luggage. I had seen Leslie and Rod the day before to say goodbye to them. I had a duffle bag with a few clothes in it – not a lot to search at the airport. I swear it was the safest flight in the history of the world. We had maybe 10 soldiers check us over as we boarded the plane. They all carried guns – presumably with live ammunition. It was a great flight home.

How were the people of New York? Kind, helpful, sorrowful, determined, hurt, confused, angry, practical. They pulled together when under attack and when they saw need. I was the fortunate recipient of their kindness and generosity – for which I shall always remain grateful.


Undicisettembre: Let's go back to 9/11. After the first plane crashed into Tower 1, did you think it was a terrible accident, or did you realize immediately it had to be a terrorist attack? And what was the opinion of the people in the streets?

Hans Kunnen: I heard the word ‘plane’ mentioned while standing on the street and thought ‘Cessna’ – it did not cross my mind that it was a large plane, despite the size of the hole in the building and the amount of damage. It was an irrational thought. In the minutes after the evacuation, surrounded by people from the hotel, no-one seemed to know anything. The feeling where I stood was ‘the firemen and police will sort it out’. There were numerous sirens sounding. The notion of a terrorist attack simply did not cross my mind.


Undicisettembre: I know this is a pretty weird question, but some crazy people on the Internet say the planes that hit the Trade Center were fake. They claim the towers were hit by missiles or that bombs exploded inside and that the planes shown on TV were just holograms. Since you directly saw with your own eyes the second plane slam into the South Tower, I guess you can rule out this crazy idea once and for all, right?

Hans Kunnen: I saw the second plane approach from over the river. I thought it was a strange place to fly a plane. Maybe it was a university prank or a TV shoot for an airline advertisement. At no time did I think the plane was a fake. I’ve travelled a lot and been in and around planes for years. It was a very real plane. It made real plane noise. The sound of a plane accelerating is very loud. One of my enduring memories is the noise just before the explosion. It was a real plane; I could almost see the people behind the windows. It then melted into the building and created the fireball. To say that it was not a real plane is absurd. I saw it, I heard it, I felt the aftermath of its impact.


Undicisettembre: Can you describe what you saw and heard of that second impact? For example, did you notice the plane's United Airlines markings? Did you observe any details of its trajectory? Are there any other details that struck you?

Hans Kunnen: I was standing about 150-200 m from the South Tower in Liberty Street. I heard and saw a plane flying low over the harbour. It accelerated and banked towards the South Tower. The noise was very loud as the plane accelerated. I do not recall the markings but I will never forget the fireball, noise and smoke as it melted into the South Tower.


Undicisettembre: How did people react after the South Tower collapsed?

Hans Kunnen: I was at the Staten Island Ferry terminal by then. They were screams as the entire terminal shook. I thought it was mortars or shells or cruise missiles exploding nearby. At about the same time the gates to the ferry opened and we were allowed on. The movement was orderly but tense. I remember seeing lots of ladies' shoes being abandoned so they could walk more quickly. There were shouts of “Don’t panic. We don’t want a stampede”.


Undicisettembre: How would you describe downtown New York after the first collapse? Seeing the images on the TV, it looked like it was enshrouded in a cloud of dust and smoke, but we believe it was nothing compared to what the eyewitnesses saw directly. How do you recall the city after the first collapse?

Hans Kunnen: I was on the Staten Island Ferry. I did not see the collapse; I just heard it but didn’t know what it was for some time. On the ferry people were putting on life-vests as the cloud of dust spilled over us.


Undicisettembre: What do you think about conspiracy theories that claim 9/11 was an inside job? Most conspiracy theorists believe the Towers were intentionally demolished with explosives. Some of them even claim, as mentioned before, that no aircraft ever crashed into the towers and all the videos that show them are fake. What's your opinion?

Hans Kunnen: The conspiracies are all implausible. When two fuel laden planes hit the towers, the impact was always going to be catastrophic – and it was.


Undicisettembre: As far as you know, are these kinds of conspiracy theories popular in Australia?

Hans Kunnen: Conspiracy theories are well-known in Australia but are generally disregarded. Most people accept the view that planes flew into the towers and the sheer bulk of jet fuel created temperatures that weakened the frame and led to the collapse. When I give talks about my experience every now and then someone raises the conspiracy theories but they are only a small minority.


Undicisettembre: Have you met any conspiracy theorists and tried to debate them?

Hans Kunnen: No. They generally have asked if I believe in them and I reply “No”. I stick to what I directly experienced. Footage I have seen of the first plane suggests it was real enough to make the building shake like it did. The sight and sound of the second plane was as real as any aircraft I have ever seen or heard.


Undicisettembre: How did Australia as a country and as a people react to 9/11? I mean, being Australia one of the staunchest allies of the USA, did your people feel like they, too, had been attacked?

Hans Kunnen: When I returned to work in the city of Sydney I was flabbergasted and emotionally touched by the floral tributes outside the US Consulate [pictured right], which was near where I worked. Martin Place was covered in flowers. It made me cry! I had seen similar floral tributes outside fire stations in New York. Offended, shocked, outraged, hurt would best describe the feelings. There was enormous sympathy for New York and its people.


Undicisettembre: We heard from other survivors that sharing their stories with other survivors helped them a lot to recover. Since you live so far away from the US, maybe you didn't get much of a chance to hold meetings with other 9/11 survivors, so how did you recover from such a shock and tragedy?

Hans Kunnen: By sharing my story with others I was able to share the burden. I give talks to people about my experience – reminding them of their mortality and their need to be prepared for death – especially in a spiritual sense. In the months after 9/11 I was constantly asked my story and was happy to share it with anyone who had plenty of time.

Even now there are parts of the story telling that make me cry. The sight of a lady being blown out of the South Tower and cartwheeling across my line of sight. The extreme kindness of Leslie DeFreitas Castelucci and her family. The clothes given to me, a stranger. The sadness of Central Park. The lack of laughter on TV. The mournful scrolling messages on TV as people sought to contact loved ones. Later on, the many funerals each week that people attended. There was such a loss of life – people who were just going about their normal peaceful business.


Undicisettembre: How did 9/11 affect your everyday life? Did you manage to get back to normalcy?

Hans Kunnen: I survived. I had a job to do, kids to raise, income to earn, clients to serve, a church to be part of. I was not confronted daily by the ongoing grief of New York. I had deadlines and responsibilities to fulfil and these brought focus and direction to daily life. They provided a positive distraction from the dark thoughts that may otherwise have overwhelmed me.

For a while I was nervous of loud noises. I was a bit on edge. I now take fire drills very seriously. I’m very reflective on days when the sky is blue, I’m surrounded by office towers and a plane flies high overhead. I then see it all over again.