2011/04/18

"On September 11th": il racconto del vigile del fuoco Frank Occhiogrosso

di Frank Occhiogrosso

Nota di Undicisettembre: Pubblichiamo di seguito un testo scritto da un pompiere in servizio l'11 settembre 2001 che intervenne sulla scena del disastro dopo il crollo di entrambe le Torri. Riteniamo che preziose testimonianze come questa, ricca di dolore e di senso di impotenza, aiutino a diffondere il ricordo di ciò che accadde quel giorno affinché non se ne perda la memoria. Ringraziamo Frank Occhiogrosso, l'autore del testo citato con il suo permesso, per la sua cortesia e disponibilità. La versione originale è pubblicata qui.

Sono nell'FDNY dal 1981. Fui promosso tenente nel 1994. L'11 settembre 2001 ero appena stato promosso capitano con vent'anni di esperienza nel Fire Department. Da neo promossi, gli ufficiali coprono una qualunque posizione vacante prima di essere assegnati definitivamente a un reparto. Poco prima dell'11 settembre mi fu ordinato di supplire all'assenza per vacanza di un capitano (circa tre settimane) in una squadra motorizzata di Harlem. Ero felice di avere un posto dove appendere il mio cappello per un po'.

Il mio primo giorno ad Harlem fu la mattina dell'11/9. Un pompiere corse nel mio ufficio e mi disse che un aereo si era appena schiantato contro una delle torri del World Trade Center. Accesi immediatamente la televisione e vidi l'orribile immagine della torre in fiamme. Guardammo in televisione l'incendio e il crollo mentre ascoltavamo la radio del Fire Department. Era il caos. Diversi allarmi furono inviati da ciascuna torre. Molte squadre e centinaia di pompieri furono mandati in loco e attendevamo di essere inviati anche noi in qualunque momento.

Mentre guardavo avevo un tragico presentimento incredibilmente forte. Le mie ginocchia tremarono quando il secondo aereo colpì l'altro palazzo e vederle crollare mi fece quasi cadere mentre me ne stavo, lontano dalla scena, in piedi nel mio ufficio. Era tristemente chiaro che avevamo avuto tremende perdite umane. Immediatamente diedi ordine di preparare uno dei camion di riserva con tutto il materiale disponibile e le torce che avevamo a portata di mano. Lo feci per due motivi; ricordavo dall'attacco al World Trade Center del 1993 che le torce erano state utilissime per aiutare l'evacuazione, ma, principalmente, volevo tenere tutti occupati a fare qualcosa. Essere impegnati ci impediva di considerere gli orrori che i nostri fratelli avevano sofferto e quelli che ancora aspettavano noi.

Quando le Torri crollarono, la maggior parte dei responsabili che conducevano le operazioni fu uccisa o ferita. Sentivamo le trasmissioni radio che cercavano continuamente di entrare in contatto con loro ma l'intero comando era stato spazzato via. Il silenzio radio era assordante.

Il richiamo di tutti i pompieri fu ordinato in tutta la città, il che significa che tutto il personale non in servizio doveva presentarsi al lavoro e rimanere disponibile fino a ulteriori istruzioni. La stazione si riempì di pompieri angosciati e arrabbiati. Le ore passavano. Guardavamo le immagini in televisione, ascoltavamo la radio del dipartimento, e tenevamo d'occhio la nuvola di fumo che aumentava costantemente e che vedevamo guardando verso sud. Anche se le unità regolarmente in servizio in sede ricevettero precisi ordini di non rispondere alla chiamate da downtown, il dipartimento chiese che i camion di riserva di ciascun quartier generale fossero inviati sulla scena. Radunammo quanti pompieri potevano stare sul quel furgone con tutto l'equipaggiamento che trovammo e lo spedimmo downtown. Agli uomini in servizio fu ordinato di restare con le compagnie a cui erano regolarmente assegnati in sede. "Non rispondete al Trade Center in assenza di ordini specifici" fu ripetuto più e più volte dagli addetti alle comunicazioni dal sistema di diffusione degli annunci del dipartimento. Chi tra noi non poteva rispondere subito alle chiamate che provenivano dalla scena era sopraffatto dal senso di rabbia e impotenza, ma io dovevo per ruolo rimarcare l'ordine di rimanere in sede. Era il mio primo giorno in questa stazione e sapevo che gli uomini non erano contenti di questo sconosciuto che li obbligava a non recarsi downtown a salvare i loro fratelli.

Fortunatamente un capitano maggiore che era regolarmente assegnato ad Harlem da molti anni radunò tutti e affrontò la situazione. Disse agli uomini che era d'accordo con il fatto che il Dipartimento tenesse alcune unità di riserva. Aveva senso. Queste squadre avevano una fiera tradizione di difesa di Harlem dagli incendi e non potevano abbandonare il quartiere ora. Una chiamata avrebbe potuto arrivare ogni momento per un incendio proprio nella nostra area. Era esattamente ciò che avevamo bisogno di sentire e fu di grande aiuto per allentare la pressione della situazione. Sarò eternamente grato per l'aiuto di quel capitano e per la sua leadership che ha portato la calma in quel momento cruciale. Fu una lezione e un'esperienza che da allora ho ricordato diverse volte.

Mentre il giorno sfumava nella sera il mio turno regolare terminò, comunque rimasi in sede per via del richiamo. L'ordine di non rispondere al Trade Center veniva ancora ripetuto e il capo del battaglione in servizio ce lo ricordò personalmente, quanto ci sentimmo incredibilmente frustrati! Quella sera verso le 21:30 sentii un frastuono proveniente dall'autorimessa e scesi a vedere cosa stesse succedendo. C'era un gruppo di circa 15 pompieri richiamati che non riuscivano più ad aspettare. Stavano per dirigersi al Trade Center, con o senza ordini. Ero dilaniato. Il cuore mi diceva di seguirli ma il cervello mi diceva "segui gli ordini e rimani in sede". Alla fine convinsi il mio cervello che aveva senso andare. In primo luogo, la compagnia a cui ero assegnato ora aveva una nuova squadra e un nuovo capo in servizio. Secondo, non c'erano altri ufficiali in questo gruppo di ribelli e forse potevo impedire che qualcuno si facesse male dando una supervisione. Vestiti con la tenuta d'intervento completa, camminammo lungo l'isolato fino alla avenue e fermammo con un cenno un regolare autobus di linea. Dicemmo all'autista di portarci al Trade Center e con mia sopresa fu d'accordo! In quelle circostanze l'autista fu più che felice di essere dirottato.

La scena al Trade center era del tutto devastante. Era nottte e ancora ricordo la gigantesca griglia di travi a doppia T contorte che si ergeva dalla pila fumante di detriti, tutta illuminata lugubremente dalle luci di emergenza disposte lungo il perimetro. C'erano ancora sacche di incendi diffuse per tutta l'area in cui le carcasse di automezzi distrutti e di equipaggiamenti dei pompieri erano sparpagliate per lo scenario. Ore dopo, il dipartimento non aveva ancora recuperato abbastanza autorità da avere il controllo di questo immane disastro. Le squadre di pompieri di tutta la regione avevano inviato uomini, automezzi ed equipaggiamenti per aiutarci ad uscirne e stavano lavorando per tutto il sito. Nonostante le loro migliori intenzioni eravamo infuriati per il fatto che ci era stato impedito di rispondere per tutto il giorno, mentre questi uomini che venivano da fuori città stavano operando a loro piacimento. Senza che nessuno ci dicesse di fare altrimenti, passammo le ore successive facendo tutto ciò che era in nostro potere. Spegnevamo gli incendi con gli idranti che trovammo sulla scena. Cercammo vittime dovunque potevamo. Quando il sole sorse il 12 di settembre, ci trovammo alla fine di una lunga catena di pompieri, poliziotti e altri che passavano i rottami di mano in mano dalla pila grande a una pila più piccola. Quelli che erano in testa alla fila stavano estraendo dalle macerie l'unico sopravvissuto che fu estratto quella notte. Vedere quel sopravvissuto ferito tirato fuori dalle macerie diede a tutti noi sollievo e un senso di utilità. Urla di approvazione si alzarono da quel gruppo di soccorritori sconvolti ed esausti.

Poco dopo fummo riportati ad Harlem da un camion dei pompieri di Wayne, New Jersey. Nei giorni e nelle settimane seguenti tornai molte volte nel luogo del Trade Center mentre il FDNY ritrovò la propria posizione e prese il controllo, ma la maggior parte dei miei ricordi è di quella prima notte in cui arrivai lì su un autobus dirottato e fui testimone dell'inizio di uno dei più grandi dispiegamenti di forza lavoro, equipaggiamenti e determinazione che abbia mai visto in vita mia.