2011/06/03

Pentagono: intervista a Daniel Nimrod, responsabile dei primi soccorsi

di Hammer. L'originale inglese è disponibile qui.

A quasi dieci anni di distanza dagli attentati dell'11 settembre 2001, il loro ricordo rischia di scivolare via dalla mente di molti. Per evitare che si perda la memoria di quanto è successo, il gruppo Undicisettembre continua la serie di interviste a sopravvissuti e testimoni oculari, che al contrario conservano un ricordo vivido e spesso fonte di incubi.

In questa occasione presentiamo ai lettori il racconto personale di un responsabile del servizio medico del Pentagono che si trovava nell'edificio al momento dell'attacco e che ha prestato la propria opera di soccorso in seguito al disastro. Il suo nome, citato con il suo permesso, è Daniel Nimrod.

Viene da chiedersi per quale motivo siano sempre i debunker a presentare racconti inediti di chi ha assistito con i propri occhi alla tragedia. La risposta più ovvia è che racconti come quello di Daniel Nimrod smontano un pezzo alla volta ogni teoria cospirazionista, e riportarli non rientra negli interessi di chi si arricchisce vendendo libri e DVD lucrando sulla morte di quasi 3000 persone.

Ringraziamo Daniel Nimrod per la sua cortesia e disponibilità.


Undicisettembre: Cosa ricordi, in generale, di quel giorno? Ci puoi fare un breve racconto della tua esperienza?

Daniel Nimrod: La clinica DiLorenzo Tricare Health si trova all'interno del Corridoio 8 del Pentagono, appena oltre l'ingresso. La clinica DTH è vicina all'uscita che porta all'area del Parcheggio Nord. L'aereo si schiantò sul lato sud del Pentagono, che è proprio dall'altra parte rispetto a dove lavoravo.

Lavoravo nella clinica come Assistente Supervisore della Clinica di Primo Soccorso. I miei altri incarichi includevano il ruolo di "location trainer" [persona incaricata di formare il personale sulle caratteristiche del palazzo e delle aree sede di lavoro e sui relativi sistemi di sicurezza, N.d.T.] di tutto il nuovo personale militare della clinica per via del fatto che prestavamo servizio medico anche a tutto il Pentagono e ai suoi dipendenti civili così come ai militari. Un altro dei miei incarichi includeva il ruolo di Capo Squadra delle Squadre di Risposta alle Emergenze. Quest'ultimo incarico è il motivo per cui sono rientrato nel Pentagono più volte in cerca di personale in fin di vita o disperso.

Giusto per darti un'idea di quanto sia grande l'edificio: il Pentagono ha oltre 28 chilometri di corridoi ed è strutturato come un labirinto. Se non sai dove stai andando, ti perderai sicuramente. Se potessi prendere i cavi telefonici che stanno dentro al Pentagono ci potresti fare 7 volte il giro del mondo. Se potessi costruire un muro alto 60 centimetri con i mattoni del Pentagono potresti fare una volta il giro del mondo. Ha un suo codice postale dedicato e ospita più di 27.000 persone che ci lavorano ogni giorno.

Le scale sono l'aspetto peggiore. Su un piano puoi trovare una rampa di scale che sale di un piano solo o che scende di un piano solo. Mentre un'altra va su solo per un po' e poi devi cercarne un'altra per completare il tuo tragitto, lo stesso si applica alle scale che scendono. Come vedi, se non sai dove andare all'interno del Pentagono in una situazione come l'11/9, con i corridoi pieni di fumo attraverso il quale non si vede nulla, è un incubo già di suo. La formazione sulla struttura all'interno del Pentagono era una necessità per i nostri nuovi soldati che non avevano dimestichezza con le differenti aree di intervento.

Come Capo Squadra delle Squadre di Risposta alle Emergenze, dovevo assicurarmi che i membri della squadra conoscessero il loro lavoro e lo conoscessero bene. Rispondevamo quotidianamente a molte emergenze mediche. Ci facevamo carico di tutto, in qualunque situazione si verificasse, in ambiente civile o militare. Gestivamo problemi di persone anziane, gravidanze, ferite, distorsioni, fratture, attacchi cardiaci, ictus, attacchi di diabete (questi ultimi quasi ogni giorno perché un impiegato idiota non si decideva a prendere l'insulina finché era troppo tardi; una volta si mangiò un intero scaffale di barrette di cioccolato tentando di ristabilire gli zuccheri prima che gli venisse un attacco, ma ovviamente fu troppo tardi). Capisci cosa intendo. Facevamo TUTTO il servizio medico per gli impiegati del Pentagono.

L'11 settembre 2001 stavo completando il mio giro della clinica per verificare che tutto il personale fosse preparato per il flusso di pazienti che avremmo ricevuto quel giorno. Avevo appena terminato il giro quando tornai nel mio ufficio e telefonai a mia moglie. Ero ancora seduto alla mia scrivania dopo la telefonata quando la signora Kelly, un assistente medico civile, entrò di corsa nel mio ufficio per dirmi che dovevo andare a vedere la televisione nell'area del lobby. Percorsi i pochi passi che mi separavano dal lobby e vidi la prima torre avvolta dalle fiamme. Tentavamo di capire se si trattava di un piccolo aereo o di uno più grande. Mentre guardavamo, vedemmo arrivare il secondo aereo. Si schiantò e penetrò nei piani superiori e fece un'esplosione enorme. Nessuno vicino a me lo definì un incidente. Lo riconoscemmo per quello che era: un attacco terroristico. Guardai verso il mio responsabile, il Sergente Maggiore Pernell, e chiesi: "Quanto vuoi scommettere che saremo noi i prossimi?" Lo dissi in tono scherzoso, ma il Sergente Maggiore Pernell mi rivolse uno sguardo che significava "Taci, dannazione!"

Fu mentre stavamo discutendo del fatto che una delle due torri pendeva leggermente che un ufficiale del Dipartimento dei Servizi di Protezione, o DPS, varcò la doppia porta che dava sul Corridoio 8 ed entrò nella nostra clinica correndo giù dallo scivolo per disabili urlando "Tutti fuori, siamo sotto attacco!"

Lasciami spiegare, eravamo più o meno dalla parte opposta rispetto alla zona dello schianto. La nostra clinica è nei piani interrati, quindi non sentimmo né udimmo alcun tipo di esplosione. Mi dispiace deluderti, ma dirò solo la verità.

L'Agente di Polizia, dopo essere riuscito a seminare il panico nella mia clinica, lasciò la clinica e tornò alla sua postazione appena fuori dalla porta doppia. Era l'area con i tornelli d'ingresso dell'Entrata Nord.

Tutti i supervisori, me compreso, iniziarono a dare ordini di mettere la clinica in sicurezza e fare in modo che tutti i pazienti uscissero in modo sicuro dalle rispettive aree. Va notato che un paio di mesi prima del disastro, la nostra clinica aveva svolto un'esercitazione proprio per questo preciso scenario che coinvolgeva un aeroplano e un gran numero di vittime. Quindi ovviamente sapevamo cosa fare. Tutto il personale doveva immediatamente prendere tutto il materiale medico, incluse le radio e le borse con gli strumenti medici e altro materiale per le emergenze, perché non conoscevamo esattamente la gravità delle ferite che avremmo visto.

Dopo aver raccolto tutti gli oggetti di cui necessitavamo, dovevamo radunarci appena fuori dall'Entrata Nord del Pentagono, dove si trovava l'asta della bandiera. Da lì avremmo dovuto ricevere ordini dal nostro Comandante su ciò che dovevamo fare in questa situazione di emergenza. Il nostro Comandante non era presente perché stava tornando al Pentagono da una riunione all'Ospedale Militare Walter Reed. Non ci avrebbe mai raggiunto in tempo.

Mentre aspettavamo gli ordini ci divenne chiaro cosa stava succedendo dall'altra parte del Pentagono, per via del fumo che si stava alzando al cielo da quella direzione. Fu allora che un uomo corse verso di noi con la scatola cranica esposta sulla fronte. Aveva un pessimo aspetto e il sangue gli colava su tutto il viso e sull'uniforme. Col senno di poi, non fu la cosa peggiore che avremmo visto. Era solo l'inizio. Divenne MOLTO chiaro che dovevano mettere in atto un piano molto in fretta o avremmo rischiato di perdere parecchie vite a causa dell'inattività. Senza attendere ordini in tal senso, diedi istruzioni a un medico di assistere il paziente e dissi ad altri tre di seguirmi.

Mentre rientravamo correndo nell'Entrata Nord del Pentagono, urlavamo più forte che potevamo "Personale medico, FATE LARGO!" in quanto c'erano migliaia di persone che correvano fuori dalle porte nel panico. Una persona in uniforme dell'Aviazione ebbe una crisi di panico quando ci vide rientrare di corsa e iniziò a urlare "Fuori c'è gente pronta a spararci se usciamo dal palazzo!" Dovetti fermarmi e urlare più forte che potevo, per il suo bene e quello delle persone intorno a lui che cominciavano ad avere lo stesso sguardo terrorizzato, che era un coglione e che non stava succedendo nulla del genere fuori e di levarsi da lì, così che persone più intelligenti potessero passare e mettersi in salvo. Credo che funzionò, perché ricominciarono a uscire dirigendosi verso il Parcheggio Nord.

Di nuovo iniziammo a correre per il Corridoio 8 verso il Cortile Centrale del Pentagono. Appena arrivati nel Cortile Centrale, guardai verso l'area del Pentagono che si trova tra il quarto e il quinto Corridoio e vidi la scena peggiore fino a quel momento. La gente saltava già dal quinto piano del Pentagono e si rompeva le ossa quando arrivava a terra, alcuni non in modo serio ma altri molto gravemente. Sentivo il rumore delle ossa che si spezzavano. Immediatamente andai ad aiutare il personale medico che era già sulla scena. C'erano altre cliniche mediche dislocate in varie parti del Pentagono, ma non ci ero mai stato e non conoscevo le persone con le quali stavo lavorando in quel momento.

Presto capii che c'erano troppi pochi feriti e ustionati che venivano portati nella nostra area medica temporanea e cominciai ad avere una sensazione. Quando guardai in alto verso le porte e le scale che portavano al Corridoio 5, ebbi la folle sensazione di dover rientrare e che altri avevano bisogno di me più in quel caos che lì fuori con gli altri che erano già stati soccorsi. Mi guardai in giro e incrociai lo sguardo del Capitano Glidwell e riguardai di nuovo alle scale. Lei mi disse "Vuoi tornare all'interno, vero?" Io risposi "Non è che VOGLIO, DEVO." Annuì e mi disse di portare dell'altro personale con me. Mi guardai intorno ma non trovai nessun altro pronto a seguirmi e andai ugualmente.

Probabilmente ti stai chiedendo cosa pensavo, cosa provavo. Ci sono diversi tipi di paura: la paura da mangiarsi le unghie, la paura da chiudere gli occhi, la paura da bagnare il letto, e così via.

Questi terroristi avevano fatto il loro lavoro e lo avevano fatto bene. Ero TERRORIZZATO. Ero così dannatamente spaventato che stavo facendo l'impossibile. Ti potresti chiedere perché volessi rischiare la mia vita. Cazzo, non ne ho idea se non per il fatto che era il mio lavoro rischiarla, davvero non lo so. Sentii la necessità di andare lì e di andarci in fretta. Questo bisogno era più forte di quanto sappia descrivere ed ebbe la meglio sui pensieri negativi che stavo facendo in quel momento. Per tutto il tempo ciò che pensavo era "Sto per morire, sto per morire".

Andai verso la porta esterna del terzo piano del Corridoio 5 ed entrai. Il fumo era terribile ed opprimente. C'era odore di carburante avio e plastica che bruciava, misto all'odore della carne bruciata. Percorsi una breve distanza lungo il Corridoio 5 e m'imbattei in una scena orribile. C'era un uomo steso sulla schiena che agitava le mani avanti e indietro come se fosse in preda agli spasmi; fumava ancora come se fosse stato in fiamme. La pelle gli si era staccata e pendeva come nastri di una macchina per scrivere. La sua uniforme era fusa con ciò che restava della sua pelle. Era evidente che quest'uomo avesse ustioni di terzo grado su tutto il corpo. Mi avvicinai e gli chiesi come si chiamasse. Rispose "Brian" con voce tremante e piena di dolore. Notai che era un ufficiale di alto grado e che il suo grado era di Tenente Colonnello.

Gli spiegai chi ero e che si trovava in buone mani. Mi ringraziò. Gli dissi che non avevo aiuto e che ero costretto a fargli male per curarlo; mi disse che capiva e di procedere pure a fargli male. Feci per sollevarlo e la sua pelle mi si staccò tra le mani. Urlò fortissimo per il dolore. Lo rimisi giù e mi chiesi cosa potessi fare a quel punto. Subito dopo sentii i passi di due persone che correvano giù lungo le scale verso di noi. Non avrei potuto chiedere due persone migliori in tutto il mondo. Dalla scala di sinistra arrivò l'Infermiere di Volo dell'Aviazione, il Colonnello Davitt, e dalla scala destra arrivò il chirurgo della Marina.

Mi raggiunsero e mi chiesero cosa sapevo. Dissi che non sapevo nulla se non che ero da solo e volevo portare via il paziente perché non avevo aiuto. Spiegai loro il problema e decidemmo di occuparci di lui sul posto. L'unico punto in cui potevamo fargli un'endovena era nel piede e fu lì che gliela facemmo. Fu a quel punto che arrivò una delle ambulanze della nostra clinica, guidata dal Sergente Nava-Pena. Era un golf cart allungato, trasformato in ambulanza, che portava tutti i nostri apparati medici oltre a un lettino e a una barella. Mi avvicinai e presi la barella mentre il Sergente Nava-Pena prendeva il lettino. La barella rese semplice il nostro lavoro, perché dovevamo solo spostare il paziente su un fianco e riposizionarlo sulla schiena. Lo sollevammo e lo spostammo sul lettino. Prendemmo tutte le nostre attrezzature mediche, ci spostammo velocemente verso l'ingresso Nord e uscimmo.

Una volta fuori capimmo presto che non c'erano ambulanze perché si erano spostate TUTTE al luogo dell'impatto. Eravamo nel panico, a quel punto, perché non avevamo mezzi di trasporto per portare il nostro paziente gravemente ustionato in un ospedale. Fu a quel punto che diedi l'ordine di requisire un veicolo e trasportare il paziente in ospedale. Ero stato poliziotto in Louisiana tempo prima, e ricordo che mi dissero che in NESSUNA occasione si possono requisire i veicoli in nome della legge. Questa volta, però, era diverso. Era questione di vita o di morte. Diedi l'ordine e requisimmo un Ford Excursion da un Capitano della Marina che stava andandosene a casa. Sulle prime non volle accettare, fino a quando gli chiesi se voleva essere un eroe o solo un altro di quelli ai quali avevano rubato il fuoristrada l'11/9. Dopo aver dato le indicazioni per il George Town Medical Center, il Capitano si mise in moto. In seguito scoprii che il paziente che avevo mandato fu il SOLO ad essere arrivato dal Pentagono e che quindi aveva avuto una buona squadra medica a sua disposizione, che aveva contribuito a salvargli la vita. Mi fece molto piacere.

Rientrai molte volte in seguito e portammo molta gente in salvo, ma non vado oltre perché farlo comporterebbe per me incubi e flashback. Mi dispiace tantissimo non poterlo fare, ma è per la mia salute mentale.

Passiamo ai matti che credono alle teorie del complotto. Ho sentito odore di carburante AEREO, non di propellente di MISSILI. Ho visto il carrello di atterraggio nel vicolo tra l'anello A e l'anello B. Che io sappia i missili non hanno un carrello di atterraggio, giusto?




Undicisettembre: Hai avuto modo di vedere bene il foro prima che quella parte dell'edificio crollasse? Se sì, quanto grande ti è parso? Secondo te era abbastanza grande per un aereo di linea?

Daniel Nimrod: Vidi questo buco dopo il crollo, perché ero all'interno a dare un mano a soccorrere il personale disperso o morente. Comunque vidi questo "buco", come lo chiamate, mentre le squadre stavano rimuovendo le macerie e anche dopo. Sì, credo che fosse abbastanza grande da essere stato prodotto da un aereo di linea.


Undicisettembre: Oltre a quelli che hai già menzionato, hai visto qualche altro rottame di aereo a terra?

Daniel Nimrod: Sì, ne ho visto pezzi e frammenti, ma mi fu detto di lasciarli dove stavano perché l'FBI stava conducendo un'indagine approfondita. Raccogliere questi frammenti avrebbe avuto conseguenze gravi e comunque non avevo tempo di farlo. Ero così impegnato a fare il mio lavoro che in quel momento non avrebbe potuto importarmene di meno.

Tuttavia più tardi, quando parcheggiai il mio automezzo nel Parcheggio Nord, notai un'area del parcheggio che era stata delimitata con il nastro affinché i rottami che erano stati portati via dall'area d'impatto fossero passati al vaglio. Quest'area era molto grande, ma sarebbe assurdo per me provare a darne le dimensioni esatte.

C'era il fetore della carne bruciata in quell'area e c'erano centinaia di gabbiani, credo perché i brandelli dei cadaveri erano diventati il loro pasto. C'erano molti rottami d'aereo che si vedevano attraverso la recinzione. Il carrello di atterraggio che ho menzionato prima era finito tra due corridoi, ma non ricordo quali fossero.

La mia memoria è stata talmente colpita da portarmi quasi ad uno stato di amnesia. Quando mi si chiede cosa ho fatto per salvare le persone che ho salvato, ricordo solo immagini in momenti e posti diversi all'interno del Pentagono di me in azione o dei molti feriti e morti. In sostanza, vidi scene così orribili di caos e morte che lo shock di quelle visioni fu immediatamente e temporaneamente cancellato dalla mia memoria. Fu molto dopo, quando cominciai ad avere gli incubi, che gli eventi si misero in ordine cronologico nella mia mente. Ora ho questi incubi almeno due volte a settimana che continuano a ricordarmi cosa successe esattamente.

Sì, c'erano rottami, ed erano rottami di un aereo passeggeri dell'American Airlines; e sì, credo che il "buco" fosse abbastanza grande da essere stato causato da un aereo passeggeri di linea.

Circa due settimane dopo l'11 settembre, stavo tornando al luogo dell'impatto a fare visita alla tenda di soccorso medico che avevamo allestito per i gruppi che stavano ancora prestando servizio nella ricerca dei dispersi, dei cadaveri e degli effetti personali. Mentre guidavo il mio golf cart convertito in ambulanza verso la destinazione, viaggiavo dietro a un autocarro e notai un pezzo di cadavere che sporgeva dalla coda del mezzo. Fermai il guidatore e lo informai del fatto. Le autorità furono informate e continuai a fare ciò che stavo facendo.


Undicisettembre: Mentre ti trovavi sul luogo dell'impatto, qualcuno aveva dubbi sul fatto che un aereo di linea si fosse appena schiantato contro il Pentagono? Qualcuno tra i primi testimoni dubitava seriamente che un aereo di linea si fosse schiantato in quel luogo?

Daniel Nimrod: Tutta la gente che era lì con me e che era arrivata con me a salvare il personale disperso o morente sapeva che si trattava di un aereo di linea. Il fatto semplice è che tutto il personale che era con me proveniva dall'Aviazione o dall'Esercito e noi TUTTI conoscevamo gli aerei per un motivo o per un altro. C'era FORTE odore di carburante di AEREI misto all'odore di carne bruciata. La risposta alla domanda è "NO", non c'erano dubbi su ciò che aveva colpito il Pentagono. Sapevamo che era effettivamente un aereo di linea. Credo che questo risponda anche alla seconda parte di questa domanda.


Undicisettembre: Qual è la tua opinione sulla molte teorie del complotto riguardanti l'11/9 e nello specifico l'attacco al Pentagono?

Daniel Nimrod: Oh mamma, davvero mi permetti di parlarne? Beh, cominciamo....

La mia opinione è questa: LORO NON ERANO LI', IO SI' e come si permettono di pensare che un evento così orrendo sia stato parte di un complotto! Sento questa gente in continuazione e mi chiedo perché non s'infila una pistola in bocca.

Quando mi chiedono queste cose di persona, non rispondo, perché per quanto mi possa impegnare a convincerli, non funzionerebbe. Questa gente ha bisogno di eventi drammatici nelle proprie vite quotidiane per continuare a vivere. Ci sono prove fotografiche dei rottami che vengono usate contro noi che non crediamo alle teorie del complotto. Effettivamente una di quelle foto è stata usata contro di me riguardo a quel carrello di atterraggio che stava, credo, tra l'anello A e il B. Questa foto mostra un buco circolare ma nessun carrello nel corridoio. Ho detto a quest'uomo che la foto in questione era di 4 o 5 giorni dopo l'11 settembre e che il carrello era già stato rimosso. Avevo una foto dello stesso buco con me che guardavo nel buco da una certa distanza perché ne usciva del fuoco. In quella foto potevi chiaramente vedere il carrello dietro di me. Non ho idea dove sia finita questa foto e vorrei averla conservata, ma tant'è.


Undicisettembre: Credi che la nazione americana e il suo popolo si siano ripresi dalla tragedia? Hai l'impressione che il paese viva ancora nella paura o che abbia ripreso il proprio ruolo nel mondo?

Daniel Nimrod: Una domanda in tre parti, eh? Okay, ecco qua.

Se credo che la mia nazione si sia ripresa dalla tragedia? Sì, lo credo, fino a un certo punto. Credo che i miei connazionali, uomini e donne, vivano negando che esista il problema e che credono che non possa più succedere sul suolo americano. Siamo una nazione fiera, ma ci sono così tante altre nazioni che ci odiano che temo sia solo questione di tempo prima che si scateni l'inferno.

I cittadini di questa nazione non sono gli stessi che combatterono nella Seconda Guerra Mondiale. C'è un grande divario tra i cittadini orgogliosi della propria nazione e quelli a cui non potrebbe importare di men, purché la loro libertà non venga limitata o tolta. La risposta alla tua prima domanda è sì, perché c'è così tanta gente che vive nell'ignoranza che non sa come avere paura di qualcosa che potrebbe succedere o no.

Se credo che la mia nazione viva ancora nella paura? No, io credo che i miei concittadini vivano nell'ignoranza, non nella paura. Nessuno che io conosca parla ancora dell'11 settembre. Pensano che questo, o qualcosa di peggio, non possa più accadere. Non solo succederà di nuovo, ma probabilmente succederà su scala maggiore.

Io di mio sono pronto al massimo delle mie possibilità a qualunque situazione. Ho una scatola di sopravvivenza pronta per l'uso in ogni momento. Non sono un paranoico che crede che il mondo stia per finire, sono solo pronto a un'emergenza in caso si verifichi. Ci sono molte parole che potrei usare per descrivere come vive la mia nazione, ma “paura” non è tra queste.