2012/12/16

World Trade Center: intervista al sopravvissuto italiano Ruggero De Rossi

di Hammer

Nelle Torri Gemelle lavoravano quotidianamente numerosi cittadini italiani i cui racconti sono particolarmente vividi in quanto non mediati dalla traduzione.

Ruggero De Rossi aveva i propri uffici nella Torre Sud e riuscì a scampare al disastro appena in tempo. Ruggero ha accettato di concedere a Undicisettembre un'intervista orale, trascritta qui sotto, dalla quale emergono le emozioni di chi si trovò a pochi passi dalle Torri in fiamme e che chiarisce con quali sentimenti vengano percepite a New York e negli USA le tesi di complotto.

Ringraziamo Ruggero per la sua cortesia e disponibilità.


Undicisettembre: Ci puoi raccontare la tua giornata dell'11/9? Cosa ricordi in generale di quel giorno?

Ruggero De Rossi: Quel giorno ero rimasto a lavorare un po' di più a casa perché stavo scrivendo a mio figlio che vive a Milano. Poi sono sceso e come ogni mattina ho preso l'autobus che parte dall'Upper East Side di Manhattan e che andava fino al World Trade Center. Era una giornata bellissima con un cielo azzurro come solo a New York si vede, l'aria era fresca e pulita. Arrivato downtown sono salito per le scale che percorrevo ogni giorno e che portavano alla piazza alla base delle Torri. Attraversai la piazza. Erano le 8:40, quindi la maggior parte della gente era già dentro gli uffici, quindi non c'era molta gente nella piazza. Passai di fianco alla Torre Nord e poi accanto a The Sphere e pensai a quanto erano alte e belle le torri.

Ero molto contento della vita. Io ho studiato a Roma, dove non c'era lavoro se uno non aveva raccomandazioni, non era un'Italia che desse aiuto a un neolaureato, specialmente uno come me, determinato a realizzare i propri sogni. Io sono uno che quando si mette in testa una cosa e la vuole fare, la fa. Quindi ho dovuto emigrare, andare all'estero; ho dovuto lasciare gli amici, ho lasciato i miei genitori e la mia famiglia. Non è stato facile. Però poi ho fatto una bella carriera, lavorando prima a Londra e poi a New York. Nel 2001 avevo avuto un bambino da poco e mia moglie stava aspettando il secondo, mancavano pochi mesi. Al lavoro gestivo uno dei fondi più grandi del mondo, ero primo nelle classifiche mondiali della gestione dei fondi. Ero arrivato al picco della mia carriera e mi sentivo soddisfatto della vita.

Guardavo le Torri, che per me simboleggiavano questo momento. Ricordo di aver guardato anche The Sphere passando lì accanto con molta tranquillità, ignaro di quello che poi sarebbe successo. È stata una delle poche volte, con il lavoro che faccio, che potevo fermarmi “to smell the roses”, come si dice in inglese, cioè a “odorare le rose” nel senso di potermi fermare per guardarmi intorno e apprezzare la vita.

Poi sono andato verso la Torre Sud, sono entrato dalla porta scorrevole e stavo prendendo le scale mobili. Mentre ero per le scale ho sentito questa forte esplosione e all'inizio chiedevo cosa fosse successo, ma la mia prima reazione, visto che l'esplosione era molto forte, fu che si trattasse di un attacco terroristico di qualche genere. Veniva da fuori e io sentii il terreno vibrare da sopra, non da sotto; già questo dimostra, nell'ottica delle teorie cospiratorie, che non ci furono esplosivi.

Comunque la mia prima reazione fu quella di pensare a un attentato terroristico perché, avendo io vissuto a Londra per molti anni, di attentati ne ho visti più di una volta anche a poche centinaia di metri da me. Lavoravo nella City e ovviamente i centri della finanza sono un grosso obiettivo per i terroristi. Anche lì una volta riuscii a sopravvivere per poco a uno degli attacchi.

Chiesi conferma alle guardie della sicurezza, ma nessuno sapeva niente. Mi dissero: “No, no, tranquillo. Salga pure in ufficio.” Io mi sono fidato a salire e c'era gente che entrava dalla piazza; ho chiesto e mi hanno detto di aver visto un aereo che colpiva il palazzo. Però a quel punto si pensava che fosse un aereo piccolo che per sbaglio ci fosse andato a sbattere, comunque era successo in passato che un aereo piccolo per un'avaria o per un altro motivo andasse a sbattere contro un palazzo.

Intanto altre persone erano corse dentro in completo panico; considera che dopo che l'aereo colpì la Torre Nord veniva giù di tutto. C'era una pioggia di detriti e pezzi di palazzo. Io quando più tardi uscii dalla Torre raccolsi da terra un pezzo di carta e c'era scritto “Piano 102”, quindi per strada c'erano proprio oggetti che stavano negli uffici là in alto. Questo ancora senza neanche sapere esattamente cosa fosse successo.

Alcune persone dicevano che era un piccolo aereo, altre correvano dentro nel panico. La mia prima reazione istintiva fu di mettermi al riparo da qualche parte. Io pensavo che ci fosse stato un attacco terroristico sulla piazza, magari con bombe o mitragliatrici, come oggi se ne vedono frequentemente nelle scuole o dovunque ci sia qualche pazzo che inizia a sparare alla gente. Però poi ho pensato che avrei fatto la fine del topo in trappola se invece fosse crollato il palazzo.

Quindi tentai di uscire, ma la Polizia teneva la gente dentro al palazzo per via delle macerie che cadevano. Non facevano uscire, ma a un certo punto decisi: “Io scappo” e uscii, e mentre attraversavo la strada sentii il rumore di un aereo che si avvicinava, mi girai e vidi il secondo aereo sopra la mia testa. Iniziai a correre più forte che potevo e così fecero altre persone intorno a me. Mentre correvamo sentimmo la fortissima esplosione del secondo schianto.

Alcuni miei colleghi erano scesi per le scale dopo il primo impatto ed erano per strada al momento del secondo. In seguito mi hanno raccontato di aver visto proprio gente colpita da pezzi di palazzo e ammazzata lì sul posto. Una ragazza, in particolare, mi raccontò che una trave caduta da una delle Torri ha completamente schiacciato, quasi fatto scomparire, una persona accanto a lei: una scena da film dell'orrore. Io correvo, non mi sono mai girato. Sapevo che potevo essere colpito dalle macerie.

Camminai per tre ore verso casa. La prima parte della camminata fu molto dura, perché mi voltavo e vedevo il palazzo in fiamme e non sapevo se i miei colleghi erano scappati, non sapevo a quali piani c'era l'incendio. Non sapevo niente, è stato terribile. Sapevo che il fuoco si stava diffondendo e che c'era una grossa parte di palazzo sopra alle fiamme, quindi sapevamo che c'era gente che stava morendo bruciata viva. Vedere e sapere che c'erano migliaia di persone che stavano morendo bruciate vive è stata l'esperienza più brutta della mia vita. E non potevo fare niente. Neanche i vigili del fuoco potevano fare niente, perché c'erano fiamme più grandi del palazzo, cosa potevano fare? Era impossibile fermare l'incendio e salvare quelle persone.

È stato terribile. Così come lo è stato capire che c'era gente che si buttava dalla finestra. C'era gente così disperata che non aveva altra possibilità che buttarsi dalla finestra per non rimanere bruciata viva.

Ricordo distintamente che a circa duecento metri di lontananza dalle Torri Gemelle ho iniziato a lanciare improperi a Bill Clinton. Il mio lavoro comporta anche lo studio delle geopolitica, del mercato del petrolio e di quali sono le motivazioni che regolano le economie mondiali; questo comporta anche la conoscenza dei rischi che esistono a livello mondiale, tra cui quello del terrorismo. Quindi io avevo studiato approfonditamente i vari rapporti e le investigazioni del Congresso relativi al terrorismo e una delle cose che avevo notato era che Osama bin Laden e Al Qaeda erano sul “radar screen” già da anni; ma anche che alcuni paesi, come Iran, Iraq e Corea del Nord, erano additati come pericolosi, perché ospitavano molti campi di addestramento del terrorismo.

Clinton aveva sottovalutato la minaccia e aveva lasciato la sicurezza nazionale in un completo abbandono, almeno per quanto riguarda la lotta al terrorismo. Aveva incontrato solo una volta in un anno il capo della CIA, la spesa per il controterrorismo era diminuita e non c'erano più spie che parlassero arabo. Clinton era stato molto assorbito dalle sue vicende personali negli ultimi anni; poi, quando Bush è stato eletto, come succede in tutte le amministrazioni, gli ci è voluto un anno o un anno e mezzo prima di poter ricostruire certe istituzioni e cambiare i vertici delle organizzazioni. Bush ha pagato lo scotto del fatto che queste istituzioni sono state abbandonate nella disorganizzazione.

Quindi la mia prima reazione fu di pensare a Clinton e che era tutta colpa sua, perché era proprio tutta colpa sua. La sua amministrazione aveva fatto sì che Osama bin Laden non venisse preso e questo in seguito è emerso perché in America è tutto trasparente, ci sono le interrogazioni parlamentari e tutto viene divulgato. Fu presa la decisione di non attaccare una casa in cui si rifugiava Osama bin Laden per il rischio di danni collaterali e di morti civili. Questa fu una pecca dell'amministrazione Clinton e un punto a favore di Obama, che quando ha avuto l'opportunità decise di attaccare anche prendendosi il rischio di sbagliare, rischiando che i propri soldati cadessero in brutte mani e anche di causare danni collaterali. Quindi Obama ha preso decisioni che Clinton avrebbe potuto prendere dieci anni prima ed evitare tutto questo.

Comunque questo è stato il mio primo pensiero, mentre camminavo per allontanarmi. Poi ci fu una lunghissima camminata insieme a gente tutta sporca di polvere; anche io lo ero. Camminavamo, alcune persone erano più nervose e impaurite di altre, alcuni piangevano, alcuni urlavano. La camminata durò due o tre ore e c'erano varie voci che si rincorrevano. La più ricorrente era che ci fossero vari aerei ancora in aria in tutta la nazione che stavano attaccando molte città. Ci siamo sentiti in guerra, sotto attacco. Pensavamo alle nostre famiglie e non c'era modo di comunicare perché i telefoni non funzionavano. Pensavo a mia moglie con un figlio piccolo, di un anno, e incinta di un altro.

Dopo questa lunghissima camminata sono arrivato a casa e mia moglie non poté credere ai propri occhi vedendomi vivo, perché quando si era svegliata la prima immagine che aveva visto in televisione era il World Trade Center che crollava, quindi pensava che io fossi morto. Pensava che il padre dei suoi figli fosse morto. Sapeva che lavoravo là, che in quel momento dovevo essere in ufficio. La stessa cosa successe a mia madre. La sua segretaria le aveva detto: “Signora, ha visto che è crollato il World Trade Center?”, mia madre ha risposto “Ma il World Trade Center è dove lavora mio figlio.” ed è svenuta. E così fu per tutte le persone che conoscevo e che sapevano che io lavoravo lì; per fortuna tante persone che conosco, anche in Italia, non sapevano con precisione che lavoravo al World Trade Center ma solo vagamente vicino a Wall Street.

Da lì è iniziato un lungo calvario, anche psicologico, perché la città era come in guerra con le sirene di ambulanze e polizia che si sentivano passare in continuazione. C'era una puzza! C'era odore di bruciato, sinceramente c'era odore di cadavere bruciato. Io ero all'Upper East Side e lo sentivo da là, quindi da 8 o 9 chilometri di distanza, specialmente quando il vento soffiava da sud verso nord.

Ricordo di aver passato notti intere insonni, dapprima preoccupato della possibilità di altri attacchi, perché a livello psicologico la prima cosa che pensi è che possa succedere ancora. Pensavo a cosa avrei potuto fare per mettere al riparo la mia famiglia: rifugiarsi nella nostra casa di campagna, prendere soldi per avere contanti in caso di razionamento delle provviste. Poi cominciai a sperare che venissero tirate fuori altre persone vive e giorno dopo giorno non veniva estratta neanche una persona. Fu una cosa allucinante: erano tutti morti.

C'erano vigili del fuoco, poliziotti che rimasero mesi sotto le macerie, ci furono anche cani da soccorso con le zampe bruciate: ho visto un eroismo che si vede solo in queste situazioni. Non posso dire che si veda solo in America, perché io quando avevo 17 anni andai come soccorritore volontario ad aiutare per il terremoto in Irpinia e tiravamo fuori cadaveri dalle macerie, quindi anche in Italia ci fu una forte risposta a un evento catastrofico. Però devo dire che la solidarietà che si è vista anche tra i newyorkesi, cioè tra quegli stessi newyorkesi che se cadi per strada quasi ti calpestano perché vanno ognuno per la propria strada e sono tutti stressati in una città in costante competizione, fu eccezionale. C'erano file di persone per donare il sangue. Hanno raccolto talmente tanto sangue che non sapevano cosa farne, perché hanno tirato fuori pochissimi feriti che avessero bisogno di una trasfusione. Arrivarono aiuti da tutti gli Stati Uniti, ci furono camion dei Vigili del Fuoco che arrivavano dal sud degli USA e si sono fatti tutta la traversata per venire qua ad aiutare.


Undicisettembre: Un dettaglio che non ho capito dal tuo racconto è se hai visto i due crolli dalla strada.

Ruggero De Rossi: Ho visto un crollo dalla strada, il secondo non l'ho visto. Vidi il primo crollo, lo vidi da molto lontano. Non vidi il secondo perché i palazzi mi bloccavano la visuale.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui le Torri Gemelle sarebbero state demolite con esplosivi in un autoattentato organizzato dal Governo Americano.?

Ruggero De Rossi: Io di queste teorie non capisco la meccanica. Non capisco come avrebbero potuto far cadere quei palazzi con esplosioni da sotto, quando io ero esattamente lì e sotto i miei piedi non c'è stato nulla. Io l'esplosione l'ho sentita arrivare dall'alto. Se dovessi fare io una teoria cospiratoria, direi che c'è stata un'esplosione interna al settantesimo piano. Di sicuro non c'è stato nulla da sotto, perché l'avrei sentita: questo non è successo ed è un dato di fatto. Quindi quelli che credono alle teorie del complotto sarebbe meglio che facessero qualcos'altro e dedicassero il proprio tempo a qualcosa di più utile.

Come dicevo, al massimo potrebbero dire che c'è stata un'esplosione ai piani alti, ma io in alto ho visto entrare un aeroplano. Quindi se c'è un complotto, anche io faccio parte del complotto, e insieme a me altre cinquantamila persone che erano lì.

La versione corretta che io ho letto è che la temperatura era talmente alta che ha indebolito i pilastri in acciaio e il palazzo è collassato. Mi sembra che la spiegazione abbia senso ed è coerente con quello che ho visto e sentito. Di certo non c'è stata un esplosione da sotto, su questo non ci sono dubbi.

Inoltre l'America è il paese più democratico e dalle istituzioni più solide che esista al mondo, quindi questa gente che crede alle teorie del complotto parla degli Stati Uniti da ignorante. Questa gente è ignorante perché non conosce la Costituzione degli Stati Uniti, non conosce come funzionano i vari emendamenti alla Costituzione e non conosce i meccanismi che sono stati messi in piedi affinché i complotti non avvengano. Quindi le teorie della cospirazione si basano sull'ignoranza, perché non tengono conto della Costituzione degli Stati Uniti e che negli Stati Uniti quando ci sono eventi sovversivi questi emergono perché ci sono registrazioni di tutto quanto, a partire da qualunque conversazione che il Presidente tiene con chiunque. Per esempio, se il Presidente ha una conversazione con qualcuno, deve mettere il tutto per iscritto. Se vuole esprimere dissenso, anche verso una persona che gli lavora accanto, lo deve mettere per iscritto.

Le istituzioni seguono un sistema definito “checks and balances” che vuol dire “controlli ed equilibri”. Questo significa che se uno degli apparati dello stato tende da una parte sbagliata, ce n'è un'altro pronto a dibattere a e controllare.

Quindi, principalmente è una questione di ignoranza della Costituzione e di come funzionano gli Stati Uniti. Poi c'è un discorso molto più pratico: immaginiamo per ipotesi che ci fossero delle correnti più interventiste, più propense ad attaccare stati nemici e che volessero proteggere la lobby del petrolio (e non nego che ci siano correnti politiche che lavorano affinché gli interessi di pochi vengano protetti; succede in tutti i paesi del mondo), in America queste avrebbero agito nel modo corretto e alla luce del sole. Perché in America avviene tutto alla luce del sole. Questa trasparenza pervade gli Stati Uniti in tutti i settori ed è uno dei cardini della democrazia che in America esiste e viene rispettata. Questa è una democrazia troppo forte perché ci possano essere dei complotti di questo tipo.

In ultimo, sempre nell'ipotesi che ci sia una corrente politica che voglia spingere alla guerra contro Afghanistan, Iraq o altri stati, io non credo in alcun modo che queste correnti possano decidere la morte di migliaia di persone per perseguire questa causa. Questo perché le persone più interventiste sono anche patriottiche e nazionaliste e i patrioti e i nazionalisti non ammazzano i propri cittadini. È completamente inconsistente intellettualmente.

Quindi, in sintesi, la mia opinione è che le teorie del complotto sono ignoranti e inconsistenti.


Undicisettembre: Immagino che tu conosca molti, magari tuoi colleghi, che come te sono sopravvissuti all'attacco. Tra questi le teorie del complotto sono diffuse, come sostengono i complottisti, o anche loro la pensano come te?

Ruggero De Rossi: Tra i newyorkesi le teorie del complotto sono considerate un insulto. Ti posso assicurare che se dici una cosa del genere a un newyorkese ti caccia di casa. È veramente un insulto: un insulto ai cittadini americani, allo stato americano e alla trasparenza di un paese che dovrebbe essere di esempio a tutta la civiltà.

Detto ciò, ci sono persone che pensano che l'evidenza nel caso dell'Iraq sia stata plasmata per poter andare in guerra e avere influenza strategica in un paese che ha una delle più grandi riserve mondiali di petrolio. Specialmente a sinistra ci sono varie correnti che sostengono che la verità sia stata forzata, che siano state create ad arte della prove per andare in guerra contro l'Iraq e che la decisione finale sia stata presa con leggerezza e con finalità strategiche e geopolitiche di lungo termine. Però molte di queste persone ammettono anche che è importante avere un'alleanza con un paese che ha molti milioni di musulmani e che sia democratico. Quindi se l'obiettivo era di portare la democrazia in un paese islamico che poteva essere una delle culle del terrorismo internazionale, questo obiettivo ha raccolto il favore di molte persone in America che credono che il Presidente abbia agito per creare stabilità e non con mire espansionistiche. La cosa poi è stata dimostrata, perché l'America è andata in Iraq, l'ha invaso, ha creato istituzioni democratiche e poi se n'è andata. Non si è presa i pozzi di petrolio. È un'ulteriore prova del fatto che l'America prova a diffondere la democrazia.

Si può disquisire se sia giusto che l'America lo faccia, perché magari anche la Cina potrebbe decidere di cominciare a esportare e imporre il comunismo a tutti. Ma bisogna sempre essere attenti ad attribuire falsi obiettivi o false motivazioni a un paese che comunque è democratico e risponde alle aspettative del cittadino votante. Le teorie del complotto non capiscono il fatto che la democrazia americana è talmente grande che esprime sempre la volontà dei cittadini. Quando è stato invaso l'Iraq, la maggior parte della popolazione si era convinta che questo avrebbe portato un beneficio alla sicurezza nazionale, perché avrebbe portato l'eliminazione delle basi terroristiche in Iraq. La spinta veniva dal popolo, dal Congresso, dalla democrazia. Forse gli Stati Uniti sono più interventisti di altri stati, ma comunque questo è frutto di un processo democratico.


Undicisettembre: Come si vive a New York 11 anni dopo l'accaduto?

Ruggero De Rossi: New York rimane la città dove realizzare i propri sogni: sia nella finanza, sia nella medicina, sia nella legge, sia nell'economia, sia a Broadway. È una città estremamente competitiva ed entusiasmante. Lo era prima e lo è adesso. Resta nel mio pensiero che New York non sarà più ricordata come un posto idilliaco ma rimane l'amarezza di quel bruttissimo evento che non se ne andrà mai. La natura e lo stato d'animo dei newyorkesi è comunque lo stesso, anche se dovessero attaccare New York cento volte. Il terrorismo non vince mai, non vince perché dieci anni dopo la città è sempre la stessa.

La seconda riflessione è che dal 2001 l'economia americana è cambiata. Dopo il 2001 c'è stato un forte segnale di ripresa, ma l'economia americana non si è mai ripresa del tutto da allora.

La spesa per l'intervento militare in Iraq e per la consolidazione della democrazia in Iraq potrebbe risolvere la crisi dell'Eurozona. Altri soldi sono stati spesi per migliorare i sistemi di sicurezza durante gli eventi pubblici o negli aeroporti. Sono tutti soldi sottratti alla spesa per l'economia.

È anche vero che la spesa militare porta miglioramenti tecnologici di cui poi l'economia beneficia, ma la realtà è che oggi ci troviamo con un grosso debito causato proprio da ciò che è successo dopo l'11 settembre. Questo ha cambiato la nazione per sempre.

2012/10/30

WTC3: An Interview with Survivor Patrick Anderson

by Hammer. An Italian translation in available here.

On 9/11/2001, the last day of the annual NABE conference was scheduled to take place at World Trade Center 3, the hotel between the Twin Towers; the participants came from all over the USA and even from foreign countries.

Patrick Anderson, CEO of Michigan-based Anderson Economic Group, was in New York to attend the conference, and so became a witness to the most terrible terrorist attack in history. Anderson agreed to tell his story to Undicisettembre to keep the memory of what happened alive.

We offer to our readers the interview that Patrick Anderson, who we would like to thank for his kindness and willingness to help, gave us.


Undicisettembre: Can you give us a brief account of what you saw and experienced? What do you remember, generally speaking?

Patrick Anderson: I was in New York for a conference of economists. We had a group of people from around the country and the conference was held at the World Trade Center Marriott, the hotel in between the two giant towers. It was a skyscraper by itself, but obviously it was dwarfed by the Towers. We were a low budget convention, so had our meetings at one of the lower floors, and as far as I know everyone who was at our conference came out alive.

Anyway, the day before 9/11 I had a wonderful dinner with a friend of mine and I came back at about midnight. I remember thinking: “What a beautiful day and what a beautiful night”, lights were on and I was in New York City. I had also been to Little Italy on Saturday night, we walked down the streets and I really enjoyed the Italian-American culture there. Somehow I felt hungry and I though to myself: “How can you feel hungry after this big meal you had?”, but since it was New York City even if it was midnight I could go out to get something to eat. The morning after, normally, I would have gone to breakfast and then to work out on the top floor of World Trade Center 3, but since I ate at midnight I wasn't hungry so I went to work out first. And it was that decision that put me to the top floor before the plane hit, and down below after. If it had been the reverse, I probably wouldn't be having this conversation with you right now.

So I went up and I did a workout on the last floor, the 22nd, and I was having this beautiful view of New York and the harbor. I could hear people talking about what a beautiful day it was, it was just a gorgeous day: sunlight, the harbor, Statue of Liberty. New York City is just beautiful! I remember being up there, working out and then looking for the stairs because I said to myself: “Why should I look for an elevator while I'm trying to exercise?” But I couldn't find the stairs, so I took the elevator down at 8:30. So about 15 or 20 minutes before the plane hit I came down from the top floor.

I went in my room, I took a shower and all of a sudden the whole building moved. And there was this terrible sound like dozens of file cabinets full of china plates falling, that's what it sounded like. The whole building moved and I thought: “What could that possibly be?” I had a bad, bad feeling. I went and I looked outside and I saw that there were already dead bodies and cars that were smashed and there were things falling, like pieces of buildings. I looked down and I could not figure out why there was this burning debris on the ground, and I was trying to figure what had happened. I saw people on the ground looking up with their mouths open and they had this horror on their faces. I didn't know what it was, and if you think about it, before that day we had no history of planes flying into buildings, so my mind went to: 'Maybe there is a construction crane that fell, maybe something different happened.'” but I'd never have thought of a plane.

Then I started to get dressed, but I wasn't in a hurry because I didn't quite know what had happened. They made an announcement: “Please, stay in your room.” It actually made sense to me because I knew there were dead people outside and things were falling and it seemed safer to stay in your room. So I got dressed and I had this feeling of doom, something very, very bad. I called my house and I left this message saying: “Something bad happened, I don't know what. I'll call back later.” That was the last phone call I was able to make for hours, because after the South Tower came down no one was able to make phone calls for a while. It was maybe ten minutes to nine.

Someone came running screaming down the hallway: “Everybody out! Everybody out!” I remember looking out of the door and saying: “Everybody out? I thought it was 'Everybody in'!” I had this feeling like: “I have to go!”, I didn't even have my shoes on. I looked around the room and thought: “What here in this room is worth risking your life for?” because I had a laptop and I had bought presents. It was the only time in my life I've ever bought Christmas presents in September, they were already wrapped. I'm a man, so I don't usually buy Christmas presents that early!

I looked and I said again “I have to leave now, what here is worth risking my life to take?” because any second that I spent I was delaying my escape. I decided there was nothing in the room that I wanted to take, other than what I needed to just live on the street for the next 24 hours, if I needed to, so I took my wallet, my cell phone and my pocket knife.

So I started to put my shoes on and tie them and I felt a touch on my shoulder like from an angel and I thought: “That means I need to run right now”. So I ran out of the door with just one shoe on and I got down in the stairway and there were all these people coming down but no one knew what had happened, they were all confused.

People had reports of what had happened: “A small plane ran into the Tower”, “You mean a Cessna?”, “Yes, a Cessna ran into the Tower”. We were all going down the stairways, and we reached the second floor where there was a merging of people coming from the three buildings. There was a circular staircase going down, and I remember there was this lady who had a white suitcase, and she was hyperventilating. I though she was going to fall over dead, right there. I took the suitcase from her hand and I said: “Come on, let's just walk out of here, I'll carry this for you.” I didn't know how bad it was yet. When we arrived downstairs I gave her the suitcase back, and then I saw the scene. It was like the deck of the Titanic when it starts to sink. There were people dead, you knew people were dying because you saw things falling outside. There were firemen there who were yelling at us and telling to go south. Now I realize that they told us to go south because if we had gone north we would have been more likely to be hit by people falling or debris.

There was a very tall guy, and a woman fell over, right on the ground; the guy picked her right over his shoulder and yelled: “Gangway!” and carried her out, then he came back. I think I know who the guy was and he didn't make it out alive.

We all massed to get out at the south end, and there was this incredible scene, because things were falling, and when it was your turn to run you wouldn't know whether anything might hit you. When it was my turn to run, it was about six minutes to nine, I started running south but we still didn't know how bad it was, and I said to myself not to look back until I was some 25 yards away. Then I looked back and I saw this enormous hole in the World Trade Center with flames coming out. I said: “Oh my God, this is not a Cessna. This is a disaster. This is terrible.” Then I heard this sound and I looked up and it was the second plane, it was coming right over my head. I said: “How can that plane be right there? That plane will go right into the building!” I had this moment of horror that everyone else had when we realized they were trying to fly that plane into the building. That it was on purpose, that they were trying to murder all these people.

It was shocking, just the idea of trying to kill yourself and everyone on the plane and everyone in the building and everybody else around. The shock hit me and I went in full survival mode. I calculated that the building would fall over and if it fell over I'd be dead. There was nothing I could do from where I was. I decided I would turn right and I figured I had five seconds before the debris from the plane hitting the building hit the ground. I ran across West Highway. I counted in my head five seconds and I arrived at a garbage truck. I went under the truck, and underneath that truck there were two other guys, I think they were the people running the truck. The truck was on, the engine was on and we were huddled under the truck. Across the street debris was falling. I starting praying for myself and for the two other guys, I didn't know who they were. I prayed one whole “Our Father” and I remember saying: “God, save me and these other two guys too.”

Then I thought: “If the building had fallen I'd be dead now. So it hadn't fallen yet and I had better run.” I didn't know the building was going to fall, but I was convinced it was. So I got up and ran, and I got to the Plaza on the other side of the World Financial Center, and that's where I stopped. It was, like, five minutes after nine. And all this horror has occurred in less than twenty minutes. All the people coming out of the buildings and the subway tunnel gathered there, and they saw what you'd have seen on TV, except that it was right in front of us: buildings on fire, and the most awful thing was seeing people jumping down of it.

I was looking at this all and I said: “Oh, my God. The world has changed. This is a moment of evil that is hard to comprehend.”

Some of the Port Authority policemen said: “Come on, you have to get out of here.” and we did, because if the building had came down debris would have covered the whole area. So I started walking north and I remember, after walking a few blocks, that I heard this rumble and the first tower came down. It was just awful, because you knew all those people in that moment were dying. Right after that I was passing by Stuyvesant High School, and a security guard motioned for us to come inside, and I think that's how I missed the dust cloud. In the school it was senior picture day, and there were still people three or four blocks away from the World Trade Center having a picture taken. It was just surreal. I was a refugee, I wasn't covered with dust because I had escaped but I must have had shock on my face. I leaned against the wall and thought about how bad the world was, and that my family probably thought I was dead.

Then came the principal of the school and said “We are closing the school.” There were rumors that there were snipers and that there were bombs, and finally they decided to evacuate the school.

So we started walking North, and there was a sea of people walking, and all the buildings started emptying out the people. Folks were standing by, they would open the doors and turn on the radios, that's how we heard about the plane which ran into the Pentagon, and the one that went down in Pennsylvania.

People were comparing it with Pearl Harbor. It was a terrible moment. We kept walking to midtown, and I went into a building where there were other people who were working for a photographer's studio. No one said anything, I walked in and it was like I was a ghost. If you were coming from the World Trade Center you were like a ghost. I tried to call my house but phones were not working.

It was 14:15 when I got a phone which worked. I left a message from my mother to tell her I was alive. I didn't even know if my mother had an idea what was going on.

I called my office and my secretary said: “God laid it on my heart that you were alive, so I made arrangements for you.” She told me where to go, she told me to go to a friend's office.

He was there, he greeted me. There was a coworker of mine who was in the building, and I was supposed to meet him at nine. I didn't know if he was alive or not. Fortunately he was there, so we greeted each other. Then, eventually, I was able to talk to my wife, to tell her I was alive. She hadn't known if I was alive or dead for five hours. That was terrible.

After that my friend took me and my coworker to his house, out of the city, and we stayed there for three days. I remember we got on a train from Grand Central Station and went out and no one spoke.

We arrived in Rye, New York, that was where we were staying for the night. People would come out on the side of the streets, waiting for their loved ones to come back, and already some of them knew someone who wasn’t coming back. That was really tough to watch.

The next day I went for a walk in Rye, and I was barefoot, because I only had the shoes I had with me, and I almost had blisters from walking so much. I just had the clothes I was wearing, and I went to a store and bought some Birkenstocks, that I still have. I went to an optometrist and I bought some contact lenses, I also bought all that I needed to remain there for the rest of the week.

It was Friday when I found a car to rent, and I was able to get home, and I eventually saw my family. Since then I think about it every day, in particular I think about the people that sacrificed themselves, like the policemen and the firemen who were in the lobbies of the building to make sure everyone got out, and the building came down on them. I feel very indebted to them.

My coworker who was there with me and I, together with another friend, founded a memorial foundation that remembers people: "Michigan Remember 9/11". Even if Michigan is not close to New York, we had more than twenty people dead on that day, and we had a lot of volunteers who went there to help. Last year for the tenth anniversary we had a special ceremony at the State Capitol and I was able to speak about the courage of these people that saved us, and about the fact that the terrorists didn't win. They killed a lot of people, but they didn't win. We are still here, we didn't give up our values.

I hope it's something people around the world won't forget, and I'm happy that you in Italy are remembering that, and recording it for history, because I don't want people ten or twenty years from now to confuse what happened with something else. What happened is that these people thought they could make America or the Western World cower by killing people. They succeeded in killing people and that is terrible. But the Free World weren’t cowed: we fought back. We didn't give up, and reasserted what we believed in. And that makes me very happy.


Undicisettembre: There's a small detail in your story that I'd like to stress. You said you had a pocket knife with you. Since you went to New York from Michigan by plane, did you take your pocket knife with you on the plane?

Patrick Anderson: Yes, it was in my pocket. I used to be a boy scout, an eagle scout actually, so I still have that “be prepared” spirit, and I always bring with me my folding pocket knife. I also have it with me now, in my pocket. It's pretty small, like a pinky finger folded.


Undicisettembre: This is very interesting, because it shows that back in 2001 security on airplanes in the US wasn't as strict as it is now.

Patrick Anderson: I think back then the standard practice, if you had a hijacking, was not to try to fight with the hijackers, and that's what happened on the first three planes. On the contrary, the people on the fourth plane heard what had happened, and they said: “We are not going to die as part of a missile aimed at killing others. If we have to die, we'll die fighting.” So they fought back against the hijackers, but then they all died on the plane. And those are heroes too.


Undicisettembre: How did 9/11 affect your everyday life?

Patrick Anderson: It had affected every single day since then. There is not a day that goes by that I don't think about that. It has definitely changed me. It's a lot easier for me to be happy with friends, family and people I love. It's also easier for me to cherish things that are valuable and longstanding. It's easier for me to understand you should have values in your life, and that you should live to a moral code. You should have a reason, it's more than just having money and success. You should also value other people and the time you have with your kids, your family and your friends. And that means so much more than just having some money.

I'm not saying I'm a perfect individual, I wasn't then and I'm not now. But facing death that way is something - I'm not going to say that I'm thankful for it - but it's something that gave me a lesson I'm thankful for. I don't wish that experience on anyone, and I wish it never happened to the world, and to the USA, but people who were there gained a level of understanding about life, or at least they had a chance to.

Certainly I feel like I look at life in a better way now that I did before.


Undicisettembre: What do you think about conspiracy theories that claim 9/11 was an inside job?

Patrick Anderson: If you were there, you knew there's no conspiracy. We know exactly what happened: there was a group of terrorists that though they could twist Islam in a way to make people fly planes into buildings to kill the great Satan, or something like that. Osama bin Laden and his group were the head of that, and we know that. We know the names of the people who did it, where they are from. If you look back you understand it's a part of something that goes back to the bombing in the World Trade Center in 1993, and the attack on the USS Cole, and afterwards also the bombings in Madrid, and London. There are people who want to use terror and are willing to kill people, and somehow they think it's a glorious thing. They were the perpetrators of this.

Believing there were explosives is just ridiculous. America is a free country and I'm glad people can express their ideas, it doesn't mean I have to believe them.


Undicisettembre: Do you feel like the nation is still living in fear, or has it regained its standing in the world?

Patrick Anderson: There's definitely some fear about terrorism in the United States, and elsewhere too. But I don't feel like the USA ever lost their standing in the world. I think the rest of the world admired and felt sympathy for the USA, the same way as we feel sympathy when others face misfortune. America was challenged; 3000 people died in a few hours; buildings came down, and it was terrible. It exposed all the flaws in our security system, we allowed these people to train right in the United States. But America was not cowed, America stood tall and took on the terrorists.

You can of course question if we used the best strategy, and if we took the right decisions over the last ten years, but the biggest decision taken was to confront evil. Not give in. We did not say: “Okay, you are going to hold us hostage forever.” Once you do that, you give up God-given freedom. But you should never give it up, not to terrorists, not to despots, not to tyrants, not to laziness. You should never, never, never give up freedom.


Undicisettembre: Would you like to tell us something more about your organization “Michigan Remembers 9/11”?

Patrick Anderson: “Michigan Remembers 9/11” was started by me with one other survivor, and another of our friends here at Andersen Economic Group, and our goal is to remember people that died, and remember heroes. We have a website: michiganremembers.org

We also highlight events where people are remembering. With the money we received from donations, last year we were able to organize a number of events in and around Michigan. We did some this year too.

Anyway, as I said, we have a website where people can go to learn about our organization, and it's my hope that what we do, like what you do in Italy, will help people have an idea what that event meant at the time to the people that were there. It will be harder in the future for people to twist what happened because we are speaking frankly and simultaneously about what we did and why.

WTC3: Intervista con il sopravvissuto Patrick Anderson

di Hammer. L'originale inglese è diponibile qui.

L'11/9 del 2001 avrebbe dovuto svolgersi nel World Trade Center 3, l'hotel che si trovava in mezzo alle due Torri Gemelle, l'ultima giornata della conferenza annuale del NABE, National Association for Business Economics, i cui partecipanti provenivano da ogni zona degli Stati Uniti e anche da nazioni straniere.

Patrick Anderson, Amministratore Delegato della Anderson Econimic Group con sede nel Michigan, si trovava a New York proprio per partecipare alla conferenza e fu testimone del più terribile attentato della storia. Anderson ha accettato di raccontare la propria storia a Undicisettembre affinché resti viva la memoria di quanto accaduto l'11/9/2001.

Offriamo di seguito ai nostri lettori l'intervista rilasciataci da Patrick Anderson, che ringraziamo per la sua cortesia e disponibilità.


Undicisettembre: Puoi farci un breve racconto della tua esperienza? Cosa ricordi in generale?

Patrick Anderson: Ero a New York per una conferenza di economisti. Avevamo un gruppo di persone che venivano da tutto il paese e la conferenza si teneva al World Trade Center Marriott, l'hotel che stava in mezzo alle due Torri gigantesche. Di suo era un grattacielo, ma sembrava piccolo rispetto alle Torri. Eravamo a una conferenza con budget basso, quindi i nostri incontri si tenevano ai piani inferiori, e per quanto ne so tutti i partecipanti sono sopravvissuti.

Comunque, il giorno precedente all'11/9 avevo avuto una bella cena con un amico ed ero tornato verso mezzanotte. Ricordo di aver pensato: “Che bella giornata e che bella serata”, c'erano le luci accese ed ero a New York City. Ero anche stato a Little Italy sabato sera, avevamo fatto una passeggiata e mi piacque molto la cultura Italo-Americana del luogo. Per qualche motivo sentii fame e pensai: “Come puoi aver fame dopo l'abbondante pasto che hai fatto?”, ma poiché eravamo a New York anche se era mezzanotte potevo uscire a cercare qualcosa da mangiare. La mattina seguente, di norma, sarei andato a fare colazione e dopo a fare allenamento al piano più alto del World Trade Center 3, ma avendo mangiato a mezzanotte non avevo fame e quindi sono andato a fare allenamento come prima cosa. E questa fu la decisione che mi portò all'ultimo piano prima che l'aereo colpisse e ai piani bassi dopo. Se fosse successo al contrario, probabilmente adesso non starei parlando con te.

Quindi andai su e feci allenamento all'ultimo piano, il ventiduesimo, e avevo una bellissima visuale di New York e del porto. Sentivo la gente che commentava quanto fosse bella la giornata, era una giornata semplicemente splendida: il sole, il porto, la Statua della Libertà. New York è bellissima. Ricordo che ero là in alto, mi allenai e poi cercai le scale perché pensai: “Perché dovrei cercare l'ascensore quando sto cercando di fare esercizio?” Ma non le trovai, quindi presi l'ascensore per scendere alle 8:30. Quindi 15 o 20 minuti prima che l'aereo colpisse, scesi dall'ultimo piano.

Tornai in stanza, feci una doccia e improvvisamente tutto il palazzo si mosse. Ci fu questo suono orribile come dozzine di scaffali pieni di piatti di ceramica che cadono, fu un rumore del genere. L'intero palazzo fu scosso e pensai: “Cosa può essere?” Avevo una brutta, brutta sensazione. Andai a guardare fuori e vidi che c'erano già cadaveri e automobili schiacciate e c'erano oggetti che cadevano, pezzi di palazzo. Guardai giù e non capivo perché ci fossero macerie incendiate a terra, cercavo di capire cosa fosse successo. Vedevo le persone per strada con la bocca aperta e con uno sguardo terrorizzato. Non sapevo cosa fosse successo, se ci pensi, prima di quel giorno non ci sono casi di aerei che si siano schiantati contro dei palazzi, quindi pensai: “Magari è crollata una gru da costruzione o è successo qualcosa di diverso.'” ma non avrei mai immaginato che fosse un aereo.

Quindi iniziai a vestirmi, ma non avevo fretta perché non sapevo bene cosa fosse successo. Diedero un annuncio: “Per favore, rimanete nelle vostre stanze.” Effettivamente per me aveva senso perché sapevo che c’erano persone morte fuori e c’erano oggetti che cadevano e sembrava più sicuro rimanere nella propria stanza. Quindi mi vestii e avevo un tragico presentimento, qualcosa di molto molto brutto. Chiamai a casa e lasciai un messaggio dicendo: “E’ successo qualcosa di brutto, non so cosa. Chiamerò più tardi.” Fu l’ultima chiamata che potei fare per ore, perché dopo il crollo della Torre Sud non fu più possibile telefonare per un po’. Erano circa le nove meno dieci.

Qualcuno passò correndo per il corridoio urlando: “Tutti fuori! Tutti fuori!” Ricordo di aver guardato fuori dalla porta e di aver detto: “Tutti fuori? Pensavo che fosse ‘Tutti dentro!’” Avevo una sensazione del tipo: “Devo andarmene!”, non avevo neanche messo le scarpe. Mi guardai attorno nella stanza e pensai: “Cosa c’è in questa stanza per cui valga la pena di rischiare la vita?” perché avevo il computer portatile e avevo comprato dei regali. Era la prima volta nella mia vita che compravo di regali di Natale a settembre, erano già incartati. Sono un uomo, di solito non compro i regali di Natale così presto!

Guardai e mi ripetei: “Devo andarmene adesso, qui cosa c’è per cui valga la pena di rischiare la vita?” perché ogni secondo che perdevo ritardavo la mia fuga. Decisi che nella stanza non c’era nulla che volessi prendere, oltre a ciò che mi serviva per vivere per strada per le successive 24 ore, in caso fosse stato necessario, quindi presi il portafogli, il cellulare e il mio coltellino tascabile.

Quindi iniziai a mettermi le scarpe e ad allacciarle e sentii un tocco sulla spalla come di un angelo e pensai: “Questo vuol dire che devo correre via proprio adesso.” Quindi corsi fuori dalla porta con una sola scarpa indossata e iniziai a scendere per le scale e c’era tutta la gente che scendeva ma nessuno sapeva cosa fosse successo, erano tutti confusi.

La gente sentiva racconti di ciò che era successo: “Un piccolo aereo si è schiantato contro la Torre”, “Intendi un Cessna?”, “Sì, un Cessna si è schiantato contro la Torre.” Stavamo scendendo per le scale e arrivammo al secondo piano dove si raccoglieva la gente che arrivava da tutti e tre i palazzi. C’era una scala circolare che scendeva e ricordo che c’era questa signora con una valigia bianca, ed era in iperventilazione. Pensavo che sarebbe morta proprio lì. Le presi la valigia dalle mani e le disse: “Andiamo, usciamo di qui, te la porto io.” Ancora non sapevo quanto fosse brutta la situazione. Quando arrivammo in fondo alle scale le restituii la valigia, e quindi potei vedere la scena. Era come il ponte del Titanic quando inizia ad affondare. C’erano persone morte, sapevamo che altre persone stavano morendo perché fuori c’erano oggetti che cadevano. C’erano pompieri che ci stavano urlando di andare a sud. Adesso capisco che ci dissero di andare a sud perché se fossimo andati a nord sarebbe stato più probabile che venissimo colpiti dalle persone che si erano lanciate giù o dalle macerie.

C’era un uomo molto alto e una donna cadde in terra, proprio lì, al suolo; l’uomo la prese e se la caricò in spalla e urlò: “Fate strada!” e la portò fuori, quindi tornò indietro. Credo di sapere chi fosse e non ne uscì vivo.

Ci ammassammo per uscire dalla parte sud e ci fu questa scena incredibile perché cadevano cose e quando arrivava il tuo turno per correre via non sapevi se qualcosa ti avrebbe colpito. Quando fu il mio turno per correre mancavano circa sei minuti alle nove, iniziai a correre ma ancora non sapevo quanto fosse brutta la situazione, decisi di non voltarmi fino a quando non fossi stato a circa 25 metri di distanza. Quindi mi voltai a guardare e vidi questo enorme buco nel World Trade Center con fiamme che ne uscivano. Dissi: “Oh mio Dio, questo non è un Cessna. Questo è un disastro. E’ terribile.” Quindi sentii questo rumore e guardai in altro e c’era il secondo aereo che stava arrivando proprio sopra la mia testa. Dissi: “Come può quell’aereo essere proprio lì? Quell’aereo finirà dentro al palazzo!” Ebbi un momento di orrore che ebbero anche tutti gli altri quando capimmo che stavano tentando di schiantare l’aereo contro il palazzo. Era intenzionale, volevano uccidere tutte quelle persone.

Era sconvolgente, anche solo l’idea di volersi uccidere insieme a tutte le persone sull’aereo e tutti nel palazzo e tutti gli altri attorno. Fui schockato ed entrai nella modalità di sopravvivenza. Valutai che il palazzo sarebbe caduto lateralmente e se fosse successo io sarei morto. Non c’era nulla che potessi fare da dove mi trovavo. Decisi di correre verso destra e capii di avere cinque secondi prima che le macerie dell’aereo che aveva colpito il palazzo cadessero al suolo. Attraversai West Highway di corsa. Contai mentalmente cinque secondi e arrivai a un furgone della nettezza urbana. Mi infilai sotto il furgone e sotto c’erano due altri uomini, credo che fossero le persone che guidavano il furgone. Il furgone era acceso, il motore era acceso e noi eravamo rannicchiati sotto al furgone. Dall’altra parte della strada cadevano macerie. Cominciai a pregare per me e per gli altri due uomini, non sapevo chi fossero. Recitai per intero un “Padre Nostro” e ricordo di aver detto: “Dio, salva me e anche questi altri due uomini.”.

Quindi pensai: “Se il palazzo fosse crollato io ora sarei morto. Quindi non è ancora crollato ed è meglio che io corra via.” Non sapevo con certezza che il palazzo sarebbe crollato ma ero convinto che sarebbe successo. Quindi mi alzai e corsi, e arrivati alla Plaza sull’altro lato del World Financial Center e fu lì che mi fermai. Erano circa le nove e cinque. Tutto questo orrore era accaduto in meno di venti minuti. Tutte le persone che uscivano dai palazzi e dalla metropolitana si stavano raccogliendo lì e videro ciò che si vide anche in televisione con la differenza che era proprio davanti a noi: palazzi incendiati e la cosa peggiore fu vedere persone che si buttavano giù.

Stavo guardando tutto questo e dissi: “Oh, mio Dio. Il mondo è cambiato. Questo è un momento di malvagità che è difficile da capire.”

Alcuni agenti di polizia della Port Authority dissero: “Andiamo, dovete venire via da qui” e così facemmo perché se il palazzo fosse crollato le macerie avrebbero ricoperto tutta l’area. Quindi iniziai a camminare verso nord e ricordo, dopo aver percorso alcuni isolati, di aver sentito un frastuono e la prima torre crollò. Fu terribile, perché sapevo che tutta quella gente in quel momento stava morendo. Subito dopo stavo passando davanti alla Stuyvesant High School e una guardia mi fece segno di entrare, e credo che sia così che ho evitato la nube di polvere. Nella scuola era il giorno delle foto per gli studenti dell’ultimo anno e c’erano ancora persone a tre o quattro isolati di distanza dal World Trade Center che si stavano facendo fotografare. Era surreale. Ero un rifugiato, non ero ricoperto di polvere perché ero scappato ma portavo lo shock sul viso. Mi appoggiai al muro e pensai a quanto il mondo fosse malvagio, probabilmente la mia famiglia pensava che fossi morto.

Quindi arrivò il preside della scuola e disse: “Stiamo chiudendo la scuola”. Giravano voci che ci fossero cecchini e bombe e quindi decisero di evacuare la scuola.

Cominciammo a camminare verso nord, e c’era una marea di gente che camminava, tutti i palazzi cominciarono a fare uscire le persone. La gente era per strada, apriva la porta e accendeva la radio, fu così che venimmo a sapere dell’aereo che si era schiantato sul Pentagono e di quello caduto in Pennsylvania.

La gente faceva paragoni con Pearl Harbor. Fu un momento terribile. Continuammo a camminare verso midtown [la zona centrale di Manhattan, NdR] ed entrai in un palazzo dove c’erano altre persone che lavoravano per uno studio fotografico. Nessuno diceva nulla, entrai ed ero come un fantasma. Se arrivavi dal World Trade Center eri come un fantasma. Provai a chiamare casa ma i telefoni non funzionavano.

Erano le 14:15 quando trovai un telefono funzionante. Lasciai un messaggio a mia madre per dirle che ero vivo. Non sapevo nemmeno se mia madre avesse idea di cosa stava succedendo.

Chiamai l’ufficio e la mia segreteria mi disse: “Dio mi ha fatto sapere nel mio cuore che eri vivo, quindi ti ho trovato un posto dove stare.” Mi disse dove andare, mi disse di andare nell’ufficio di un amico.

Lo trovai, mi salutò. C’era anche un mio collaboratore che era nel palazzo e avrei dovuto incontrarlo alle nove. Non sapevo se fosse vivo o no. Fortunatamente era lì, quindi ci salutammo. Quindi finalmente riuscii a parlare con mia moglie, per farle sapere che ero vivo. Per cinque ore non aveva saputo se ero vivo o morto. Fu terribile.

In seguito il mio amico portò me e il mio collaboratore a casa sua fuori città, dove rimanemmo per tre giorni. Ricordo che prendermmo il treno da Grand Central Station e uscimmo e nessuno parlava.

Arrivammo a Rye, New York, che fu dove restammo per la notte. La gente usciva sulle strade aspettando che tornassero i loro cari anche se già qualcuno di loro sapeva chi non sarebbe più tornato. Fu duro da vedere.

Il giorno seguente uscii a fare una camminata a Rye ed ero scalzo perché avevo solo le scarpe che avevo con me e avevo quasi le vesciche per aver camminato così a lungo. Avevo solo gli abiti che indossavo e andai in un negozio a comprare delle Birkenstocks, che ho tuttora. Andai da un ottico e comprai delle lenti a contatto, comprai anche tutto ciò che mi serviva per stare lì il resto della settimana.

Era venerdì quando trovai un’auto da noleggiare, e potei andare a casa e finalmente vedere la mia famiglia. Da allora ci penso tutti i giorni, in particolare penso alle persone che hanno sacrificato la propria vita, come i poliziotti e i pompieri che erano nelle lobby degli edifici per assicurarsi che tutti fossero usciti, e il palazzo crollò su di loro. Mi sento molto in debito verso di loro.

Io e il mio collaboratore che era con me, insieme ad un altro amico, abbiamo fondato un ente in memoria di quelle persone: “Michigan Remembers 9/11”. Anche se il Michigan non è vicino a New York, abbiamo avuto più di venti morti quel giorno, e poi ci sono stati molti volontari che sono andati ad aiutare. L’anno scorso per il decimo anniversario abbiamo organizzato una cerimonia al Campidoglio di Lansing e tenni un discorso sul coraggio di queste persone che ci hanno salvato e sul fatto che i terroristi non hanno vinto. Hanno ucciso molte persone, ma non hanno vinto. Siamo ancora qui e non abbiamo rinuniciato ai nostri valori.

Spero che al mondo la gente non dimentichi ciò che è successo e sono contento che voi in Italia lo stiate ricordando e che lo stiate registrando per la storia, perché non voglio che tra dieci o vent’anni la gente confonda ciò che è successo con qualcos’altro. Ciò che è successo è che queste persone pensavano di poter schiacciare l’America e il mondo occidentale uccidendo delle persone. Sono riusciti a uccidere delle persone e questo è orribile. Ma il mondo libero non è stato schiacciato: abbiamo reagito. Non ci siamo arresi e abbiamo riaffermato ciò in cui credevamo. Questo mi rende molto felice.


Undicisettembre: C’è un dettaglio nella tua storia che vorrei sottolineare. Hai detto di aver avuto un coltellino tascabile con te. Essendo tu andato a New York dal Michigan in aereo, ti sei portato il coltellino con te sull’aereo?

Patrick Anderson: Sì, l’avevo in tasca. Sono stato uno scout, uno scout aquila in realtà, quindi mantengo ancora quello spirito “sii pronto” e mi porto sempre il mio coltellino tascabile. Ce l’ho anche adesso, in tasca. E abbastanza piccolo, chiuso è grande come un mignolo.


Undicisettembre: E’ molto interessante perché dimostra che nel 2001 la sicurezza aerea negli USA non era rigida come lo è ora.

Patrick Anderson: Credo che al tempo la procedura standard in caso di dirottamente fosse non provare a resistere ai dirottatori, ed è ciò che è successo sui primi tre aerei. Al contrario, i passeggeri dei quarto aereo hanno saputo ciò che era successo e si dissero: “Non vogliamo essere parte di un missile che verrà usato per uccidere altri. Se dobbiamo morire, moriremo combattendo.” Quindi si ribellarono ai dirottatori, ma morirono tutti su quell’aereo. Anche loro sono eroi.


Undicisettembre: In che modo l’11/9 ha condizionato la tua vita quotidiana?

Patrick Anderson: Ha influito su ogni singolo giorno da allora. Non passa giorno che non ci pensi. Mi ha cambiato profondamente. E’ molto più facile per me essere felice con gli amici, la famiglia, le persone a cui voglio bene. E’ più facile per me rallegrarmi per le cose importanti e durature. E’ più facile per me capire che bisogna avere dei valori nella vita e vivere secondo un codice morale. Bisogna avere uno scopo, non è solo avere soldi e successo. Bisogna anche apprezzare le altre persone e il tempo trascorso con i figli, la famiglia e gli amici. E’ questo significa molto più che avere un po’ di soldi.

Non dico di essere perfetto, non lo ero allora e non lo sono adesso. Ma affrontare la morte è qualcosa - non voglio dire di essere grato di ciò - ma è qualcosa che mi ha lasciato una lezione di cui sono grato. Non auguro questa esperienza a nessuno, e vorrei che non fosse mai successo al mondo e agli Stati Uniti, ma le persone che erano lì hanno raggiunto un altro livello di comprensione della vita, o almeno ne hanno avuto l’occasione.

Certamente mi sento come se guardassi la vita in un modo migliore ora di quanto facessi prima.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto che sostengono che l’11/9 sia stato un autoattentato?

Patrick Anderson: Se uno era lì, sa che non ci fu alcun complotto. Sappiamo esattamente cosa è successo: c’era un gruppo di terroristi che pensavano di poter distorcere l’Islam in modo da convincere delle persone a schiantare aerei contro palazzi per uccidere il grande Satana o qualcosa del genere. Osama bin Laden e il suo gruppo erano a capo di tutto ciò, e lo sappiamo. Sappiamo i nomi delle persone che hanno fatto questo e da dove vengono. Se si guarda indietro si capisce che è qualcosa che si ricollega all’attacco al World Trade Center del 1993, e all’attacco alla USS Cole e in seguito agli attentati a Madrid e a Londa. Queste sono persone che vogliono usare il terrore e vogliono uccidere la gente e credono che sia una cosa gloriosa da fare. Loro sono stati i perpetratori di tutto questo.

Credere che ci fossero degli esplosivi è semplicemente ridicolo. L’America è la terra della libertà e sono felice che le persone possano esprimere le loro idee, questo non significa che io debba crederci.


Undicisettembre: Credi che la nazione viva ancora nella paura o che abbia ripreso la sua posizione nel mondo?

Patrick Anderson: Sicuramente c’è ancora paura del terrorismo negli Stati Uniti e anche altrove. Ma non credo che gli USA abbiano mai perso la loro posizione nel mondo. Credo che il resto del mondo abbia ammirato e avuto compassione degli USA, allo stesso modo di come noi abbiamo compassione di chi deve affrontare momenti avversi. L’America è stata sfidata; 3000 persone sono morte, i palazzi sono crollati e fu terribile. Ha evidenziato le mancanze del nostro sistema di sicurezza, abbiamo concesso a queste persone di addestrarsi negli Stati Uniti. Ma l’America non è stata schiacciata, l’America è rimasta in piedi e ha affrontato i terroristi.

Si può discutere se abbiamo usato la migliore strategia e se abbiamo preso le decisioni giuste negli ultimi dieci anni, ma la decisione più grande fu quella di affrontare il male. Non arrendersi. Non abbiamo detto: “Okay, saremo vostri ostaggi per sempre.” Se lo fai, rinunci alla libertà donata da Dio. Non dobbiamo arrenderci mai, né ai terroristi, né ai dittatori, né ai despoti, né ai tiranni, né alla pigrizia. Non dobbiamo mai, mai rinunciare alla libertà.


Undicisettembre: Vuoi dirci qualcosa di più sulla tua organizzazione “Michigan Remembers 9/11”?

Patrick Anderson: “Michigan Remember 9/11” fu fondata da me con un altro sopravvissuto e con un altro amico che lavora qui alla Andersen Economic Group, il nostro scopo è commemorare le persone che sono morte e gli eroi. Abbiamo un sito web: michiganremembers.org

Pubblicizziamo anche gli eventi di commemorazione. Con i soldi che abbiamo ricevuto dalle donazioni, l’anno scorso abbiamo organizzato alcuni eventi nel Michigan. Anche quest’anno l’abbiamo fatto.

Comunque, come ho già detto, abbiamo un sito dove la gente può leggere di cosa si occupa la nostra organizzazione e spero che ciò che facciamo, così come ciò che state facendo voi in Italia, aiuti le persone ad avere un idea di ciò che questo evento ha significato al tempo per le persone che erano lì. Sarà più difficile distorcere ciò che è successo perché parliamo chiaramente e simultaneamente di ciò che abbiamo fatto e perché.

2012/10/03

Recensione: "La face cachée de ben Laden" (canale francese M6, 2004)

di mother

"La face cachée de ben Laden" ("la faccia nascosta di Osama bin Laden"
) è un documentario francese prodotto da Christophe Brulé e Stéphane Freess, trasmesso dal canale francese M6 nel 2004 e replicato nel maggio 2011 all'interno della  trasmissione Zone Interdite.

Passato inosservato alla maggior parte del pubblico non francese, il documentario descrive la vita di Osama bin Laden dalla sua gioventù in famiglia fino all'attentato dell'11 marzo 2004 di Madrid.

Nella ricostruzione della biografia di Osama bin Laden non mancano immagini di repertorio esclusive e poco note al pubblico.

Il documentario è estremamente minuzioso nella ricostruzione della vita del terrorista, tanto da trattare particolari apparentemente insignificanti come per esempio la presunta foto di Osama bin Laden con i suoi fratelli in Europa.

Inoltre la ricostruzione che appare dalle interviste è completamente contrastante con gli assunti imprescindibili dei teorici del complotto (per esempio i presunti legami fra Osama bin Laden e la CIA durante la guerra in Afghanistan contro l'URSS).

Anche questo documentario, come altri già descritti in questo blog, dà spazio a persone che hanno realmente incontrato Osama bin Laden e dà voce agli interpreti principali delle vicende storiche che hanno contraddistinto le guerre in Afghanistan o la nascita del terrorismo islamico.

Il documentario è disponibile anche agli indirizzi youtu.be e kewego.it.



Persone intervistate:
  • Jamal Khashoggi: giornalista che ha incontrato una ventina di volte Osama bin Laden, autore di numerose interviste allo sceicco del terrore;
  • Jason Burke: esperto giornalista inglese, autore di un'inchiesta su al-Qaeda, che ha intervistato decine di persone vicine a Osama bin Laden;
  • Saad al-Faghi: oppositore del regime saudita, esule in inghilterra, accusato in Arabia Saudita di sostenere il terrorismo;
  • Olvier Roy: scrittore e ricercatore specializzato nella politica dell'Afghanistan (CNRS);
  • Milton Bearden: capo dell'ufficio CIA ad Islamabad (1986-1989) in Pakistan;
  • Abdallah Anas: vecchio compagno d'armi ed amico di Osama bin Laden, condanna il terrorismo;
  • Abdul Bari Atwan: giornalista palestinese, caporedattore di Al Quds Al Arabia, che ha intervistato Osama bin Laden ed ha sempre avuto informazioni esclusive su al-Qaeda;
  • Marc Sageman: agente CIA in Pakistan (1986-1989), incaricato dei contatti con la resistenza afghana nella guerra contro l'URSS;
  • Charles Cogan: agente CIA (1981-1984), capo delle azioni nella zona dell'estremo oriente ed afghana;
  • Steve Coll: caporedattore del Washington Post, che ha pubblicato un'opera sulla CIA e su al-Qaeda relativamente al periodo della guerra in Iraq;
  • Turki al-Faysal: principe dell'Arabia Saudita, capo dei servizi segreti sauditi (1977-2001);
  • Tom Simons: ambasciatore degli Stati Uniti in Pakistan (1996-1998);
  • Yosri Fouda: giornalista egiziano, capo del servizio inchieste per al-Jazeera, il solo giornalista al mondo ad aver incontrato Khalid Sheikh Mohammed nel 2002, prima della sua cattura;
Argomenti principali del documentario:
  • Breve storia del padre Mohammed bin Laden e della madre di Osama;
  • Breve descrizione della gioventù di Osama bin Laden fatta da Saad al-Faghi;
  • Bufala della foto di Osama bin Laden in Inghilterra (Khashoggi e Saad al-Faghi);
  • Studi a Jeddah e radicalizzazione islamica al seguito di Abdallah Azzam (immagini esclusive);
  • Guerra in Afghanistan, avvicinamento fra Azzam e Osama bin Laden a Peshawar (testimonianza di Abdallah Annas, amico di Osama);
  • Critiche alla tesi secondo cui Osama bin Laden sarebbe legato agli agenti CIA durante la guerra in Afghanistan (testimonianza di Marc Sageman, di Abdallah Anas, e di Charles Cogan);
  • Formazione della "brigata di arabi" a Jaji per differenziarsi dai Mujahedeen afgani, diretta da Osama bin Laden (immagini esclusive dell'addestramento) per i problemi esistenti fra arabi e afghani dovuti ai diversi intenti;
  • Battaglie di Jaji della brigata di arabi;
  • Avvicinamento ad Aiman al-Zawahiri, esponente radicale dei Fratelli Musulmani, incriminato per aver partecipato all'assassinio di Sadat, arrivato in Afghanistan per combattere dopo un periodo di detenzione in Egitto (immagini esclusive della carcerazione);
  • Formazione di al-Qaeda, una brigata jihadista internazionale, secondo la testimonianza di Abdallah Anas (marzo o aprile 1988) a Peshawar sotto il comando di Osama bin Laden;
  • Vittoria della guerra in Afghanistan; ruolo minore giocato dalla "brigata di arabi" contro l'URSS; convinzione di Osama bin Laden di poter vincere qualsiasi esercito e rientro a Jeddah;
  • Formazione di una brigata contro Saddam Hussein, e tentativo di convincere il principe Turki al-Faysal ad intervenire contro l'Iraq che aveva invaso il Kuwait; accentuazione del radicalismo fondamentalista quando i militari americani stanziarono truppe in Arabia Saudita e vinsero contro Saddam Hussein;
  • Nuove teorie: nascita dell'idea del Califfato e teorizzazione della divisione dell'Arabia Saudita in una repubblica islamica; ricerca da parte di Osama bin Laden di teorie complottiste che dimostrassero l'illegittimità della dinastia regnante saudita; isolamento da parte di molti leader politici ed espulsione dal suo paese natale;
  • Sudan 1991-1996: relazioni con i leader religiosi locali; lavori edili, finanziamenti e investimenti (compravendita cotone e sesamo, acquisto terre); creazione di un complesso edile dove risiedeva (immagini esclusive del complesso dove passava il tempo con i suoi uomini fra attività agricole ed addestramento militare);
  • Primo attentato a Riad (13-11-1995), non organizzato da Osama bin Laden, in cui tuttavia i terroristi affermano di ispirarsi ai discorsi di Osama bin Laden;
  • Trasferimento di Osama bin Laden e dei suoi uomini, in Afghanistan (1996-2004) in una ex-cooperativa agricola russa offerta dai Talebani al leader saudita (Abdul Bari Atwan al seguito - prima Fatwah di Osama bin Laden contro gli Stati Uniti); il progetto al-Qaeda prende forma ed acquisisce nuove leve come movimento rivoluzionario terrorista grazie anche ai video di propaganda dello sceicco saudita;
  • Avvicinamento di Osama bin Laden a Mohammed Atef, siglato anche con il matrimonio fra figli delle due famiglie;
  • Interviste con giornalisti, anche occidentali e seconda Fatwah contro gli Stati uniti nel 1998;
  • Creazione di un gruppo segreto di mujahedeen afghani vicini agli Stati Uniti con il compito di ricercare Osama bin Laden in Afghanistan; piano segreto di cattura della CIA fallito;
  • Attentati di al-Qaeda in Kenya e Tanzania; rappresaglie del governo Clinton contro le presunte basi di al-Qaeda in Afghanistan (alcune immagini delle aree bombardate, diversamente dal documentario I Knew bin Ladin di al-Jazeera non vi appare lo sceicco saudita);
  • "Bin Laden come un produttore del cinema": la fama raggiunta con la propaganda ed i primi attentati faceva si che non era lui a cercare terroristi suicidi, ma erano persone volontarie che andavano a proporgli possibili attentati; lo sceicco valutava i vari progetti e decideva se meritavano il finanziamento ed il supporto di al-Qaeda;
  • Nel 1999 Khalid Sheikh Mohammed presenta il suo progetto terroristico ad Osama bin Laden (Khalid Sheikh Mohammed viene anche associato all'attentato del 1993 al World Trade Center);
  • Testimonianza di Yosri Fouda sul piano di Khalid Sheikh Mohammed e sulla sua cattura;
  • Video di Osama bin Laden in cui lo sceicco saudita commenta l'attentato terriristico dell'11 settembre 2001 (novembre 2001); inizio della guerra in Afghanistan;
  • Critiche alla "grotta di James Bond", la grotta ultratecnologica e su più livelli, presentata dal Pentagono ai media, in cui Osama bin Laden si sarebbe nascosto in Afghanistan;
  • Operazione fra agenti CIA e uomini dell'alleanza del Nord (Operation Jawbreaker) per cacciare Osama bin Laden, come piano alternativo ai bombardamenti di Tora Bora (vengono mostrate alcune immagini di militanti di al-Qaeda catturati lasciati indietro dal gruppo in fuga verso il Waziristan, uomini catturati in grotte); caccia a Osama bin Laden dei militari pakistani;
  • Attentato di Bali del 2002, finanziato da Osama bin Laden con 35 milioni di dollari (alcune scene del processo al leader organizzatore dell'attentato);
  • Analisi degli attentati post 11 settembre 2001 e della difficoltà di bloccare l'ideologia jihadista, seguita dai terroristi anche senza frequentare i campi d'addestramento di al-Qaeda in Afghanistan;
  • Madrid, attentato dell'11 marzo 2004 (immagini dell'attentato ad Atocha, ma anche della successiva esplosione degli organizzatori dell'attentato, braccati dalla polizia spagnola);

In conclusione: da anni diversi giornalisti di tutto il mondo indagano sugli attentati dell'11 settembre o sulla storia di al-Qaeda, raccogliendo fatti che confermano la ricostruzione ufficiale degli eventi. Non presenti al festival del Cinema di Roma, né premiati al festival di Cannes, vengono comunque pubblicati dai più disparati media internazionali, da al-Jazeera ai francesi M6, dalla CNN a Canal+.

Mentre il mondo complottista vive di favole inventate, spesso copiate di forum in forum dagli stessi sostenitori, la libertà di diffusione delle informazioni in Internet vacilla di fronte alla barriera creata dalle differenti lingue, dialetti, alfabeti, creando una totale asimmetria di conoscenze. Ma anche qualora queste conoscenze vengano scoperte da qualche blogger e condivise in un modo più consono, spesso vengono ignorate per anni, poiché in contrasto con il pregiudizio del complotto.

Nota: La faccia nascosta di bin Laden, traduzione in italiano di La face cachée de ben Laden, è anche il nome di un libro scritto da Maurizio Piccirilli, con prefazione del complottista Franco Cardini e non è la traduzione italiana del documentario francese qui recensito.

2012/09/29

"No Easy Day": il racconto della missione che ha ucciso Osama bin Laden

di Hammer

In occasione dell'undicesimo anniversario degli attacchi dell'11/9 è stato pubblicato il volume No Easy Day, scritto da uno dei Navy SEAL che hanno partecipato alla missione che uccise Osama bin Laden nel maggio del 2011. Nel libro l'autore si nasconde sotto lo pseudonimo di Mark Owen, ma già prima della pubblicazione era noto il suo vero nome: Matt Bissonnette. La notizia è stata riportata da diverse testate autorevoli come Fox News e Reuters; inoltre secondo il New York Times l'identità dell'uomo sarebbe stata confermata anche da ufficiali militari e dal Department of Defense.

Dopo la pubblicazione del libro, l'autore è anche apparso a volto scoperto nella trasmissione televisiva di CBS 60 Minutes (da cui è tratto il fotogramma sottostante).

Nella prima metà del libro, che ha come sottotitolo The Autobiography of a Navy SEAL, l'autore parla della propria carriera militare raccontando episodi di diverse missioni in Afghanistan e in Iraq.

La seconda metà del volume è invece interamente dedicata alla missione che ha portato all'uccisione di Osama bin Laden e su questa rivela particolari poco noti. Bissonnette racconta, ad esempio, che le prime esercitazioni sono state condotte nel North Carolina dove era stato ricostruito a grandezza naturale il compound in cui si nascondeva bin Laden. Oppure che la prima identificazione di Osama fu più difficile del previsto per via del buio della notte a cui si aggiungeva un momentaneo blackout (non infrequente nella zona, secondo l'autore) e in quanto Osama si era tinto la barba di nero per sembrare più giovane e ingannare chi gli dava la caccia; in seguito nel compound fu trovata anche una confezione del colorante per capelli Just for Men che era stata evidentemente usata allo scopo.

Il testo di Bissonette chiarisce anche il dettaglio dell'elicottero distrutto rinvenuto nelle vicinanze del compound. Il mezzo che trasportava il primo gruppo dei Navy SEAL si schiantò al suolo all'atterraggio, ma l'equipaggio riuscì comunque a uscirne indenne a condurre la missione come previsto. L'elicottero fu quindi intenzionalmente distrutto con una carica esplosiva al termine della missione.

Come riportato più volte dalla stampa, il libro è oggetto di animate polemiche. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha manifestato più volte il proprio dissenso con due articoli pubblicati sul sito ufficiale (primo, e secondo) in cui sostiene che il libro rivelerebbe informazioni riservate.

Inoltre l'Ammiraglio McRaven, organizzatore ed esecutore della missione, ha contestato il fatto che il volume conterrebbe una grave imprecisione. Bissonnette infatti racconta che bin Laden non avrebbe fatto il minimo tentativo di difendersi, mentre gli ufficiali del Pentagono hanno sempre sostenuto che Osama tentò disperatamente di raggiungere le armi che aveva in stanza. In realtà esiste una spiegazione semplice e plausibile: Bissonnette potrebbe non aver visto Osama compiere tale gesto in quanto lo vide solo da cadavere dopo che era stato ucciso da un altro Navy SEAL che lo precedeva.

Indipendentemente dalle polemiche suscitate, e in parte proprio per queste, il libro è molto interessante e, come è ovvio, riporta un'ulteriore voce che smentisce le assurde teorie del complotto secondo cui Osama bin Laden sarebbe morto anni prima in circostanze che nessun sostenitore di tali teorie ha mai saputo spiegare.

2012/09/14

Le conseguenze sanitarie dell'11 settembre

di Salvo Di Grazia

Nota di Undicisettembre: Gli eventi dell'11 settembre 2001 hanno provocato molte vittime anche a distanza di anni dall'attentato, principalmente a causa delle polveri dei crolli delle Twin Towers, inalate dai soccorritori e dalle moltissime persone presenti nell'area.

Molte testate giornalistiche si sono occupate delle problematiche mediche insorte nella salute dei soccorritori e della popolazione di New York in genere (ad esempio qui, qui e qui il New York Times, qui il Washington Post, qui la CNN, qui e qui la BBC, qui la ABC, qui il Daily Mail ecc...).

Anche MedBunker, il blog dedicato a smascherare bufale mediche e ciarlatani gestito dal Dott. Salvo Di Grazia, ha già affrontato questa tematica in un interessante articolo pubblicato in occasione del decennale dell'attentato. 

Oggi il Dott. Di Grazia ci concede gentilmente un nuovo articolo di aggiornamento che siamo lieti di poter offrire direttamente ai lettori di Undicisettebre.

La tragedia dell’11 settembre 2001 non fu soltanto dramma istantaneo ma si è prolungato nel tempo lasciando una scia di dolore e sofferenza lungo gli anni, fino ad oggi. Il lutto per chi è scomparso giace nell’intimo di chi resta ma chi ha subìto traumi, ferite e contaminazioni in quel giorno indimenticabile ne porta le conseguenze nel fisico e spesso in maniera evidente.

C’è un lato poco conosciuto della tragedia: il pensiero va subito a chi è stato coinvolto direttamente nei crolli delle torri ma c’è stato un altro nemico insidioso e poco prevedibile, la polvere, risultato del crollo delle torri del World Trade Center che ha invaso il corpo dei soccorritori, dei lavoratori e dei passanti che invano cercavano riparo.

2753 è la cifra ufficiale delle persone che quel giorno persero la vita ma se consideriamo tutti i decessi successivi dei feriti, le morti per infortunio o per malattie contratte per motivi direttamente legati al crollo, le vittime devono essere probabilmente triplicate.

La comunità medica ha studiato in maniera ossessiva le conseguenze del "dopo 11 settembre", tanto da far diventare quel giorno il disastro storico più studiato dalla scienza. Persino The Lancet, la rivista medica più prestigiosa al mondo ha dedicato articoli e speciali all’avvenimento.

Si studia soprattutto ciò che resta dei piccolissimi granelli di cemento, amianto, vetro, idrocarburi, piombo e diossina che si sono insinuati nelle vie respiratorie e nell’organismo di chi era lì, la nube di polvere era formata per il 95% da queste sostanze che creavano un velo alcalino già da solo molto irritante per la cute. Su oltre 42000 individui controllati, il 12% ha riferito prurito, eczemi e dermatiti dopo l’esposizione alla nube di polvere.
I primi disturbi, quelli più evidenti e diagnosticabili furono relativi alle vie respiratorie. I soccorritori, quelli più vicini ai crolli, soffrirono per mesi di rinite, disturbi asmatici e bronchite ed alcuni di essi svilupparono malattie respiratorie croniche.

Per capire l’entità del problema, basti pensare che a ridosso dell’evento raddoppiarono i parti di neonati con importanti deficit di crescita, la stessa patologia che si riscontra nelle donne in gravidanza fumatrici.

Angosciante anche l’aspetto psicologico. Subito dopo l’attentato aumentarono i casi di depressione ed ansia che cominciarono a diminuire lievemente con il tempo. Stesso fenomeno per l’abuso di sostanze stupefacenti e per le intenzioni suicide. In particolare, le persone che si trovavano all’interno delle torri prima del crollo e che riuscirono a sopravvivere presentavano la percentuale più alta di individui con disturbi ansioso-depressivi: il 95,6% di essi aveva almeno un sintomo di stress post traumatico.

Innumerevoli i traumi fisici, anche gravissimi: furono tante le persone decedute non durante il crollo ma dopo, per le ferite riportate dalla caduta di detriti, suppellettili o materiali vari ed un terzo dei volontari (soccorritori, operai, in uno studio su più di 7000 persone) ha accusato un disturbo legato agli eventi mentre il 20% di essi ha riportato un trauma fisico. Tutto questo a ridosso dell’avvenimento.

A distanza di anni le autorità sanitarie statunitensi continuano a seguire la salute delle persone coinvolte nei crolli ed hanno creato un’unità apposita. Persistono, anche se in maniera molto meno marcata, i disturbi respiratori con  rischio comunque particolarmente elevato di sviluppare asma bronchiale (un individuo esposto alle polveri del WTC ha un rischio di sviluppare asma del 19% contro il 2% della popolazione normale).

Si scopre quindi che la tragedia non ha mai fine.

Quasi un quarto delle persone con esposizione ravvicinata al crollo (soccorritori, passanti, impiegati) soffre sia di disturbi respiratori che di depressione post-traumatica, anche se i sintomi respiratori più diffusi e meno gravi (tosse ed affanno) sono oggi quasi tutti risolti. Per quanto riguarda le malattie più gravi gli esperti prevedono un aumento dei casi di tumore polmonare anche se in atto non si nota alcun picco significativo di patologia tumorale negli individui esposti al crollo del WTC. Identica situazione per le malattie cardiovascolari: si è registrato un lieve aumento di patologie cardiache e vascolari ma solo in gruppi esposti per lungo tempo ed in vicinanza di Ground Zero.

Il rischio comunque di malattie cardiache è particolarmente elevato negli individui esposti più a lungo ai contaminanti. Anche il rischio di cancro, nei soccorritori e nei volontari, sembra lievemente aumentato ma i numeri non consentono di trarre conclusioni definitive perché sono troppi i fattori che confondono la statistica.

Ecco, la statistica. Tutto ciò può servire a fissare con dei numeri l’enorme tragedia immediata ed eterna di quel giorno ma nulla può farci comprendere pienamente cosa hanno vissuto gli uomini che quel giorno erano lì.