2013/12/02

Il volto nascosto di Osama, Maurizio Piccirilli

di Brain_Use

Maurizio Piccirilli, caposervizio del quotidiano Il Tempo, pubblica nel 2011 questo saggio, dedicato alla ricostruzione della figura di Osama bin Laden, così come emerge dalla cronaca e dalla storia.

La ricostruzione di Piccirilli parte a ritroso, dal giorno in cui, dopo anni di ricerche e di investigazioni, si arriva finalmente al nascondiglio di Osama, in Pakistan, ad Abbottabad, a cento chilometri da Islamabad.

"Geronimo EKIA". Due parole nello slang militare dei Navy Seals hanno messo fine alla vita di Osama bin Laden, Lo Sceicco del Terrore, il capo di Al-Qaeda, il terrorista che ha colpito al cuore l'America è morto.

Così scrive Piccirilli nel primo capitolo, non a caso intitolato "La fine".

Il saggio è poco più di un compendio della vita di Osama, ma contiene parecchi dettagli sulla sua vita privata, sui suoi gusti, sulle sue passioni, fino a scendere a raccontare della sua "vena poetica". Dettagli davvero poco conosciuti e proprio per questo interessanti.

Significativo, pur se fin troppo conciso, il capitolo finale dedicato da Piccirilli a ricostruire la galassia del terrorismo islamico che ruotava e ruota tuttora attorno ad al-Qaeda. Interessante anche il breve compendio dei discorsi di Osama, la cui lettura è fortemente consigliata a tutti coloro che ancora credono che non avesse nulla a che fare con gli attentati dell'11 settembre.

Manca, ed è una carenza non trascurabile per un saggio, quasi del tutto ogni riferimento bibliografico e le note non brillano certo per estensione ed esaustività.

L'autore non sposa in alcun modo le tesi cospirazioniste: Osama bin Laden viene tratteggiato per la sua figura storica e umana, ma non si mette minimamente in discussione il suo ruolo di guida carismatica di al-Qaeda, né quello di ispiratore degli attentati dell'11 settembre e neppure, com'è à la page presso i complottisti di oggi, la ricostruzione degli eventi che hanno portato alla sua morte durante il blitz dei Navy Seals ad Abbottabad.

È stato il fondatore, la guida, l'ispiratore di Al Qaeda. Bin Laden ha seminato terrore per decenni in tutte le parti del mondo; è lui la mente che ha progettato l’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle in cui sono morte quasi tremila persone.
Un genio del male ucciso nel corso di un blitz durato appena quaranta minuti.

Non si capisce bene perciò la scelta di affidare la prefazione a Franco Cardini, storico medievalista ben noto per l'approccio complottista ai fatti dell'11 settembre, che infatti non perde l'occasione per infilare un paio di notevoli imprecisioni e altrettante illazioni di stampo prettamente cospirazionista.

Tant'è che già a pagina 7, che è poi la pagina 3 della sua prefazione, Cardini sottolinea che:
non sono in grado di avallare [...] nulla di quanto in esso è affermato.

Così, poco oltre, giunge a sostenere che:
il celebre messaggio del 6 dicembre 2001, quello che [...] conteneva la prova definitiva, sotto forma di esplicita rivendicazione, della responsabilità diretta nell'attentato dell'11 settembre 2001, si rivelò alla fine appunto come una falsificazione. [...] a tutt'oggi quel video taroccato continua ad essere l'unica prova certa che Usama sia stato l'unico e diretto mandante [...]
Inutile ricordare a Cardini che a ritenerlo falso sono sempre e solo i soliti complottisti che, per sostenere quest'ennesima bufala, usano sempre e solo i soliti frammenti sgranati del video, come ben chiarito già a suo tempo. Inutile anche ricordargli che il famoso "video di Kandahar" è tuttaltro che la sola rivendicazione di al-Qaeda.

Cardini non perde neanche l'occasione di lanciare gli strali abituali ad eventi storici del tutto fuori contesto, comprensibili solo nell'ottica di approccio basato sul solo antiamericanismo, né di insinuare, usando le tecniche retoriche cui ci hanno abituato gli autori cospirazionisti, potenziali convergenze d'intento fra Osama bin Laden e i vertici dell'establishment statunitense.

E' un peccato, perché la prefazione contiene pure alcune note culturalmente significative.

Ed è ancor più un peccato perché vizia un saggio per altri versi interessante: un condensato, un compendio, quasi un bigino, sulla vita e sulla morte di un uomo che ha contribuito a cambiare la Storia e le abitudini quotidiane del mondo intero.

2013/10/03

Réponses aux questions de Massimo Mazzucco di Jérôme Quirant

di Brain_use

Massimo Mazzucco, redattore del sito Luogocomune e noto cospirazionista, utilizza da tempo per il lancio dei suoi prodotti la tecnica promozionale della "sfida" ad alcuni dei più noti debunker a livello internazionale.

Sono ben note le sue provocazioni a Paolo Attivissimo, redattore di Undicisettembre, ma non si fa mancare il tentativo di coinvolgere altri debunker nel tentativo di promuovere i propri prodotti attraverso la bagarre dialettica.

In questo post su Luogocomune, per esempio, Mazzucco presenta la versione in francese del suo ultimo video, "11 settembre, la nuova Pearl Harbor", e sfrutta l'occasione per tentare di coinvolgere il noto debunker d'oltralpe Jerome Quirant, redattore del sito di debunking bastison.net: Attentats du 11/09 : Mythes et Légendes.

Nella propria opera Mazzucco ripropone i consueti quesiti stantii, che hanno trovato risposta ormai da anni. Se Mazzucco volesse davvero delle risposte, potrebbe rivolgersi agli oltre 2000 architetti e ingegneri vantati da Richard Gage di AE911 e ottenere da loro, finalmente, una perizia tecnica dettagliata. Ma si sa: una delle basi del metodo cospirazionista è ignorare sistematicamente le risposte e riproporre le medesime domande ad libitum, magari cambiando le didascalie e il titolo di testa.

Jerome, tuttavia, raccoglie la sfida e pubblica sul proprio sito un articolato documento di risposta e di debunking. È in francese, naturalmente, ma non si fatica a comprenderne i contenuti.

Trattandosi di un riconfezionamento delle solite domande già esaurite da tempo, Undicisettembre non ritiene sia necessario regalare tempo a questo nuovo tentativo di attirare l'attenzione e invita chiunque sia interessato a leggere direttamente le risposte esaurienti di Quirant.

Su una cosa comunque ci sentiamo di concordare con la presentazione di Mazzucco: l'opera dei cosiddetti truther è

"una semplice questione dialettica".

2013/09/23

Abbottabad Report: anche il Pakistan smentisce i complottisti

di Hammer. L'articolo è stato corretto dopo la pubblicazione iniziale.

Nel luglio del 2013 Al Jazeera ha pubblicato il testo integrale dell'Abbottabad Report, rapporto di una commissione indipendente istituita dal governo pakistano per chiarire le modalità con cui si è svolto il raid dei Navy SEALs che nel maggio del 2011 ha portato all'uccisione di Osama bin Laden. La commissione, denominata Abbottabad Commission, ha intervistato più di 200 persone tra cui ufficiali militari, personale della polizia locale, il sindaco di Abbottabad e le tre mogli di Osama.

Cio che emerge principalmente dalla lettura del documento è il doppio fallimento nazionale Pakistano; l'intelligence di Islamabad non è infatti stata in grado di rilevare la presenza di Osama bin Laden sul territorio nazionale per oltre sei anni e nemmeno di impedire l'operazione militare statunitense avvenuta senza la collaborazione del governo locale e definita "act of war", ovvero un "atto di guerra".

Il documento, lungo 337 pagine, è ricchissimo di dettagli sull'ultimo periodo di vita di Osama bin Laden e porta alla luce aspetti poco noti in precedenza, come il fatto che lo "sceicco del terrore" fosse ossessionato dalla sicurezza e indossava un cappello da cowboy quando usciva dall'edificio per evitare di essere riconosciuto dall'alto e che aveva espresso l'intenzione di far abbattere gli alberi circostanti per evitare che potessero fungere da nascondiglio per eventuali spie.

Il rapporto dedica un'ampia parte anche al progetto della CIA di avviare, con la complicità del medico Shakeel Afridi, una campagna di vaccinazione contro l'epatite-B che avrebbe permesso di prelevare campioni di sangue da tutti i bambini della zona tra cui i figli di Osama, in modo da poterlo confrontare con i campioni di DNA dello stesso bin Laden in loro possesso e confermare così la sua presenza nella zona. Il piano fallì in quanto al medico non fu concesso di entrare nel compound.

Le conclusioni tratte dalla commissione sono molto critiche nei confronti dell'intelligence e della polizia Pakistana accusandole in più di una occasione di gravi negligenze. Per lunghi anni infatti nessuno si è accorto che la costruzione del compound era abusiva e che non veniva pagata nessuna bolletta per il consumo di gas e corrente elettrica.

La pubblicazione del documento è stata, come ovvio, ignorata dai siti complottisti in quanto costituisce una smentita indipendente e autorevole delle teorie del complotto sulla morte di Osama bin Laden. Infatti attraverso le oltre 200 interviste viene confermata la versione dei fatti diffusa dalle fonti statunitensi, pertanto se esistesse un complotto dovrebbero farne parte anche il governo pakistano e le tre mogli di Osama bin Laden. Il rapporto riconosce inoltre l'autenticità della conferma da parte di Al Qaeda della morte del proprio leader. A pagina 243 la Commissione si chiede inoltre se fosse stato ragionevole ritenere che Osama bin Laden fosse morto prima del 2011 (come tuttora sostenuto da molti complottisti tra cui gli italiani Chiesa e Mazzucco) e la risposta a cui giunge è negativa in quanto nel gennaio dello stesso anno era stato diffuso un messaggio audio attribuito a bin Laden che era stato verificato, con il riconoscimento vocale, essere autentico.

Il rapporto non potrà comunque essere accusato dai complottisti di essere una velina creata ad arte dal governo americano poiché il documento stesso mette in dubbio un aspetto cruciale della vicenda, ovvero la sepoltura in mare del cadavere di Osama in quanto la sepoltura in mare di chi è morto sulla terra sarebbe vietata dalle usanze islamiche e perché non è stata mostrata nessuna foto della salma nemmeno al governo pakistano.

2013/09/10

Pentagon: Interview with Steven Mondul, Virginia DOT Emergency Manager

by Hammer. An Italian translation is available here.

The attack on the Pentagon is one of the events of 9/11 that has most fired the imagination of conspiracy theorists. At first their prevailing theory alleged that the building had been hit by a missile or a fighter plane, but in recent years the most popular theory appears to be that an airliner did actually hit the Pentagon, but its path was different from the commonly accepted one.

Leaving aside the ease with which conspiracy theorists change their opinions, Undicisettembre presents here further confirmation that thir theories are only the product of excessively imaginative minds: the account of Steven Mondul, who on 9/11 was the State Emergency Manager for the Virginia Department of Transportation. His words are another refutation of these absurd theories.

We would like to thank Steven Mondul (quoted with his permission) for his kindness and willingness to help.

Undicisettembre: What do you recall, generally speaking, of 9/11? Can you give us an account of your experience?

Steven Mondul: On 9/11 I was traveling from Richmond, VA, to Fort Eustis (in Newport News) to accompany the Secretary of Transportation while she made a speech. As the only retired career military office in VDOT, I served as unofficial liaison to the military, being able to do “Military speak”. We first heard of an aircraft flying into a building in New York. At that time I was thinking mainly of deploying support forces to NY if needed, but was not too concerned since I was aware of the huge resources available within NY. A little later I heard of a second aircraft crash and the reports of an event at the Pentagon. While nothing was yet confirmed, we made the decision to get back to Richmond ASAP with State Police escort.

While en route we received confirmation of an attack as well as requests to return immediately to take charge of response issues. Upon arrival at the Richmond VDOT EOC, I did assume overall coordination of response and recovery for VDOT. For the first day or so, that consisted mainly of authorizing appropriate activity by the Traffic Control Center, including its use by DOD personnel and as the temporary child care center for the Pentagon, and making appropriate changes to traffic patterns to facilitate partial evacuation of Washington DC and emergency activities at the Pentagon.


Undicisettembre: What happened the next days? How long did it take before the situation got back to normalcy?

Steven Mondul: We continued ongoing activities around the Pentagon and attempting to normalize traffic flow in and out of Washington, coordinating with federal authorities and Maryland DOT. There was also pretty intensive interviewing of VDOT personnel by various federal agencies seeking witness information about the incident. Flight activities were suspended for nearly a week, so this threw a heavier load on surface traffic.

The incident also prompted a complete review of VDOT security, which I was put in charge of, and several urgent upgrades to our security were put in place in conjunction with the State Police. To this day things remain different than they were pre-9/11, and I suspect they will always remain so. One would have to redefine “Normalcy” in light of this, but we were back to more-or-less routine operations within the new paradigm in a month or so.


Undicisettembre: Can you please give us some more details? What are the main differences between the current situation and how it was before 9/11?

Steven Mondul: The entire culture around privacy and security has changed. The passage of the “Patriot Act” has enabled a much more rigorous approach to security, particularly in transportation but also infrastructure and even generally, than was ever possible before 9/11. I believe that this change is probably permanent, though some features of it may be modified around the edges.


Undicisettembre: There's an account of yours on the Internet in which you stated that the plane flew over the Smart Traffic Center of the Virginia Department of Transportation on the Columbia Pike. How can you be so sure it was the route that it went? Would you like to elaborate?

Steven Mondul: I personally interviewed several VDOT employees who saw the aircraft go overhead en route the Pentagon. Their statements to me were corroborated by exhaustive inquiries by several federal agencies of many other witnesses in addition to the VDOT employees.


Undicisettembre: Most of the conspiracy theorists, at least in Italy, now seem to believe that an airplane hit the Pentagon but it didn't fly the route the official version says it followed, but flew further north. Based on your experience, I guess you can rule out this crazy idea, right?

Steven Mondul: Right!


Undicisettembre: Based on what your colleagues said, I guess you can also rule out all those ideas according to which the Pentagon wasn't hit by an airplane but by a fighter jet or a missile or whatever else, right?

Steven Mondul: Yes. All of the eyewitnesses reported an “airliner”, or similar descriptive language, flying overhead. Furthermore there was distinctive wreckage on the ground at the Pentagon which absolutely was from an airliner. Assertions to the contrary are completely unfounded.


Undicisettembre: What's your opinion on the many conspiracy theories regarding 9/11 and specifically the Pentagon incident?

Steven Mondul: I suppose people will always think up conspiracy theories about anything. Look at the JFK assassination! My opinion—well-grounded in facts—is that the official account of events is correct. There was no conspiracy except among the hijackers and their enablers.


Undicisettembre: Have you met any conspiracy theorists and tried to debate them?

Steven Mondul: No. Though I had to step on some overzealous imaginations during the first few days after 9/11.


Undicisettembre: That's striking, because as far as we know conspiracy theories started to spread in 2002 with the book by Thierry Meyssan. What kind of theories did you step on during that few days?

Steven Mondul: I basically had to rein in uninformed speculation about what had happened among VDOT employees. It was very important to allow the investigation to proceed and gather evidence without a cloud of speculation clogging up the process. It was, of course, pretty evident what had happened almost immediately; but it was still necessary not to have speculation from what might be seen as official sources get in the way of the investigation and its results. As you well know, there were bound to be enough unhinged theories flying around under the best of circumstances.


Undicisettembre: The VDOT had traffic monitoring cameras that had a good view of the impact area at the Pentagon; however, according to news reports these cameras weren't attached to recording equipment for legal reasons and therefore they could not provide a visual record of the crash. However, we were wondering if anyone was looking at the output of those cameras at the time and witnessed the crash through them. To your knowledge, did this happen to anyone at the VDOT or elsewhere?

Steven Mondul: The media reports you refer to were incomplete. The facts are that VDOT traffic cameras were and are attached to (Optical Disk) recording equipment. By policy the data from the recordings are not released except as the result of a subpoena or a request by appropriate authorities. The cameras are normally focused on specific areas of the highway system so as to permit monitoring of traffic conditions. This was the case on 9/11; so naturally they did not capture any images of the aircraft on its way into the Pentagon.

Immediately after the event we did instruct the Traffic Control Center to focus on the Pentagon, but by that time all we could see was the fire, response activities etc. The same applies to security cameras at the Traffic Control Center itself, which were focused at likely security risk areas. I am not aware of anyone viewing the actual crash event through any camera footage from VDOT, and we did look very carefully for such. I do believe there was some very brief and fragmentary camera coverage from a Pentagon camera.


Undicisettembre: Have you seen the recordings of the VDOT and/or TCC cameras at or around the time of the impact, or do you know what they show? While it is clear from what you say that they show no images of the aircraft itself, we were wondering whether they show anything significant, such as the plane's shadow or the reflected glare from the fireball or even the car drivers' reactions, if any, that might provide further visual confirmation of the events.

It would also be very significant if the recordings showed the debris field and/or the full extent of the breach before rescue services arrived and the fire hose jets obscured the view

Steven Mondul: The cameras were focused on the roadway (that was their purpose) at the time of the incident, and thus did not have a view of the flyover. There is a small ridge in between the cameras and the impact point at the Pentagon, thus there was only a view of the smoke plume from the incident recorded after the fact when the cameras were turned towards the Pentagon.. Appropriate authorities (FBI etc.) made copies of the recorded images and studied them exhaustively, with negative useful information resulting therefrom.


Undicisettembre: Since 9/11 security on airplanes has been ramped up. What do you think about these recent security measures? Are they helpful or too intrusive and annoying?

Steven Mondul: I think in general the security is necessary. No person will ever hijack a US airplane again due to the rules for air crew being changed, so I am not convinced that a lot of the TSA scrutiny at gates is entirely justified. I do believe we ought to be doing more “Profiling” to sort out suspicious from innocent travelers for increased scrutiny, rather than treat everyone like they are a maximum potential threat.


Undicisettembre: Are there any conspiracy theorists, or people who have doubts about 9/11, among your colleagues?

Steven Mondul: None of which I am aware.

Pentagono: intervista a Steven Mondul, responsabile per le emergenze del Dipartimento dei Trasporti della Virginia

di Hammer. L'originale inglese è disponibile qui.

L'attacco al Pentagono è uno degli aspetti dell'11/9 che maggiormente ha stimolato la fantasia dei complottisti. Dapprima hanno sostenuto che l'edificio fosse stato colpito da un missile o da un caccia;  negli ultimi anni alcuni hanno cambiato parere e ora sostengono che un aereo di linea abbia effettivamente colpito il Pentagono ma percorrendo una rotta diversa rispetto a quella comunemente accettata.

Tralasciando la disinvoltura con cui i complottisti cambiano parere, allo scopo di confermare nuovamente che le versioni complottiste sono solo frutto di menti troppi fervide Undicisettembre ha raccolto la testimonianza diretta di Steven Mondul, che al tempo degli attacchi ricopriva il ruolo di State Emergency Manager (responsabile statale per le emergenze) per il Virginia Department of Transportation (Dipartimento dei Trasporti della Virginia) e che ci ha fornito una nuova smentita di queste assurde teorie.

Ringraziamo Steven Mondul (citato con il suo permesso) per la sua cortesia e disponibilità.


Undicisettembre: Cosa ricordi in generale dell'11/9? Puoi farci un racconto della tua esperienza?

Steven Mondul: L'11/9 mi stavo spostando da Richmond, Virginia, verso Fort Eustis (a Newport News) per accompagnare la Segretaria del Dipartimento dei Trasporti, che doveva tenere un discorso. Essendo l'unico ex militare di carriera nel VDOT [Virginia Department of Transportation, NdR], facevo informalmente da collegamento con mondo militare, essendo io in grado di usare il gergo “militarese”. Inizialmente sentimmo di un aereo che era finito contro un edificio a New York. In quella fase stavo pensando principalmente di mandare personale in aiuto a New York se fosse stato necessario, ma non ero troppo preoccupato, perché sapevo che a New York c'erano enormi risorse disponibili. Poco dopo sentii di un secondo schianto aereo e mi fu riportato che qualcosa era successo anche al Pentagono. Anche se non c'era nulla di confermato, decidemmo di tornare a Richmond prima possibile, scortati dalla Polizia di Stato.

Durante il tragitto ricevemmo la conferma che c'era stato un attacco e la richiesta di rientrare immediatamente per assumere il comando della gestione dell'emergenza. Arrivato al Richmond VDOT EOC [Emergency Operations Center, Centro Operativo per le Emergenze, NdT], assunsi il ruolo di coordinatore generale della gestione della situazione per il VDOT. Per il primo giorno circa si trattò principalmente di autorizzare le attività opportune per il Traffic Control Center [Centro di Controllo del Traffico, NdT], tra cui il suo utilizzo da parte di personale del DOD [Department of Defense, Dipartimento della Difesa, NdT] come centro temporaneo di accoglienza per bambini per il Pentagono, e di mettere in atto le opportune modifiche ai flussi di traffico per facilitare l'evacuazione parziale di Washington e le attività di emergenza al Pentagono.


Undicisettembre: Cosa successe nei giorni seguenti? Quanto ci volle prima che la situazione tornasse alla normalità?

Steven Mondul: Proseguimmo le attività in corso intorno al Pentagono, cercando di ripristinare il flusso del traffico in ingresso e in uscita da Washington, coordinandoci con le autorità federali e il DOT del Maryland. Varie agenzie federali che cercavano informazioni sull'incidente dai testimoni condussero molte audizioni del personale del VDOT. Le attività di volo furono sospese per circa una settimana; questo comportò un aumento del volume del traffico stradale.

L'incidente spinse inoltre a una revisione globale della sicurezza del VDOT, di cui io fui nominato responsabile, e furono messi in atto molti aggiornamenti urgenti alla nostra sicurezza insieme alla Polizia di Stato. Ancora oggi, la situazione è diversa rispetto a com'era prima dell'11/9 e temo che lo rimarrà per sempre. Dovremmo ridefinire il concetto di “normalità” in base a queste modifiche, ma comunque tornammo più o meno a un'attività routinaria, con il nuovo paradigma, in circa un mese.


Undicisettembre: Puoi darci maggiori dettagli? Quali sono le principali differenze tra la situazione attuale e com'era prima dell'11/9?

Steven Mondul: L'intera cultura sulla privacy e sulla sicurezza è cambiata. L'approvazione del “Patriot Act” ha consentito un approccio molto più rigoroso alla sicurezza, specialmente nei trasporti ma anche nelle infrastrutture in generale, di quanto sarebbe mai stato possibile prima dell'11/9. Credo che questo cambiamento sia probabilmente definitivo, anche se alcuni dettagli di contorno potranno essere rifiniti.


Undicisettembre: In Rete c'è una tua testimonianza in cui dichiari che l'aereo volò sopra lo Smart Traffic Center del Virginia Department of Transportation, sulla Columbia Pike. Come puoi esserne così sicuro? Potresti darci maggiori dettagli?

Steven Mondul: Ho intervistato personalmente diversi dipendenti del VDOT che videro l'aereo sorvolarli, dirigendosi verso il Pentagono. I loro racconti che ho raccolto sono confermati dalle interrogazioni esaustive effettuate da varie agenzie federali a molti altri testimoni oltre che ai dipendenti del VDOT.


Undicisettembre: La maggior parte dei sostenitori delle teorie del complotto, almeno in Italia, adesso sembra credere che un aereo abbia davvero colpito il Pentagono ma che non abbia percorso la rotta sostenuta dalla versione ufficiale, ma una più a nord. Basandoti sulla tua esperienza credo che tu possa spazzare via questa folle idea, giusto?

Steven Mondul: Esatto!


Undicisettembre: Basandoti su ciò che hanno detto i tuoi colleghi credo che tu possa anche spazzare via le teorie secondo le quali il Pentagono non sarebbe stato colpito da un aereo di linea ma da un caccia o da un missile o da qualunque altra cosa, giusto?

Steven Mondul: Sì. Tutti I testimoni oculari hanno parlato del sorvolo di un “aereo di linea” o hanno usato una descrizione simile. Inoltre c'erano rottami riconoscibili a terra al Pentagono, che provenivano sicuramente da un aereo di linea. Affermazioni del contrario sono completamente infondate.


Undicisettembre: Cosa pensi delle molte teorie del complotto sull'11/9 e nello specifico sull'incidente al Pentagono?

Steven Mondul: Credo che la gente creerà sempre teorie del complotto su qualunque cosa. Guarda l'assassinio di JFK! La mia opinione, ben basata sui fatti, è che la ricostruzione ufficiale degli eventi sia corretta. Non ci fu alcun complotto, se non quello dei dirottatori e di chi li ha messi in condizione di compiere gli attacchi.


Undicisettembre: Hai mai incontrato dei complottisti e provato a discutere con loro?

Steven Mondul: No. Anche se ho dovuto frenare alcune fantasie troppo fertili nei primi giorni dopo l'11/9.


Undicisettembre: Questo mi stupisce, perché per quanto ne sappiamo le teorie del complotto hanno iniziato a diffondersi nel 2002 con il libro di Thierry Meyssan. Che tipo di teorie hai incontrato in quei pochi giorni?

Steven Mondul: Sostanzialmente ho dovuto moderare, tra i dipendenti del VDOT, congetture malinformate su ciò che era successo. Era molto importante consentire che le indagini proseguissero e raccogliessero evidenze senza che il fumo delle congetture offuscasse il processo. Ovviamente quello che era successo era piuttosto evidente fin da subito, ma era comunque necessario che non ci fossero congetture, da parte di fonti che potevano essere interpretate come ufficiali, che ostacolassero le indagini e i loro risultati. Come ben sapete, era inevitabile che anche nelle condizioni migliori sarebbero circolate teorie sgangherate in abbondanza.


Undicisettembre: Il VDOT aveva delle telecamere che riprendevano il traffico e che avevano una buona visuale dell'aerea d'impatto al Pentagono; eppure, secondo i racconti giornalistici queste telecamere non erano collegate ad apparecchiature per la registrazione per motivi legali e pertanto non possono fornire una registrazione dello schianto. Ci chiedevamo comunque se qualcuno stava monitorando ciò che veniva ripreso da queste telecamere in quel momento e se avesse così visto lo schianto. Che tu sappia questo è successo al VDOT o altrove?

Steven Mondul: I racconti giornalistici a cui ti riferisci sono incompleti. I fatti sono che le telecamere del VDOT che riprendono il traffico erano e sono connesse a dispositivi di registrazione (dischi ottici). Per prassi, i dati delle registrazioni non vengono rilasciati se non a seguito di una citazione in giudizio o di una richiesta da parte delle autorità appropriate. Le telecamere di norma inquadrano zone specifiche della rete autostradale così da consentire il monitoraggio delle condizioni del traffico. Fu così l'11/9; e quindi ovviamente non ripresero immagini dell'aereo che si dirigeva verso il Pentagono.

Subito dopo l'evento ordinammo al Traffic Control Center di dirigere le telecamere verso il Pentagono, ma a quel punto tutto ciò che vedemmo fu l'incendio e le attività di soccorso. Lo stesso si può dire delle telecamere di sicurezza del Traffic Control Center stesso, che erano puntate su aree ad alto rischio per la sicurezza. Che io sappia, nessuno ha visto lo schianto vero e proprio tramite le telecamere del VDOT, e abbiamo cercato molto attentamente. Credo che ci furono delle riprese brevi e frammentarie da parte di una telecamera del Pentagaono.


Undicisettembre: Hai avuto modo di vedere le registrazioni delle telecamere del VDOT o del TCC intorno all'orario dell impatto o sai cosa mostrano? Dalle tue parole è chiaro che non mostrano l'aereo in sé, ci chiedevamo se mostrano altro di significativo, come l'ombra dell'aereo o il riflesso della palla di fuoco o le reazioni degli automobilisti, se ce ne sono state, che possano dare un'ulteriore conferma visiva degli eventi.

Sarebbe anche molto importante se le registrazioni mostrassero i frammenti dell'aereo o l'estensione totale della breccia prima che arrivassero i soccorsi e che i getti degli idranti ne coprissero la visuale.

Steven Mondul: Le telecamere erano puntate sulla strada (questo era il loro scopo) al tempo dell'incidente e quindi non ripresero il sorvolo. C'è un piccolo dosso tra le telecamere e il punto d'impatto al Pentagono, fu ripresa solo la nube di fumo dell'incidente quando dopo lo schianto le telecamere furono dirette verso il Pentagono. Le autorità opportuno (come l'FBI) fecero delle copie delle immagini acquisite e le studiarono in dettaglio, ma non trovarono informazioni utili.


Undicisettembre: Dopo l'11/9 la sicurezza sugli aerei è stata aumentata. Cosa pensi delle recenti misure di sicurezza? Sono utili o troppo invadenti e fastidiose?

Steven Mondul: In generale credo che la sicurezza sia necessaria. Nessuno dirotterà mai più un aereo statunitense, perché sono cambiate le norme per gli equipaggi, ma non sono altrettanto convinto che molti dei controlli della TSA [Transportation Safety Administration, NdT] agli imbarchi siano pienamente giustificati. Credo che ci dovrebbe essere una maggiore opera di “Profilazione” per distinguere i viaggiatori innocui da quelli sospetti, invece di trattare tutti come se fossero una potenziale minaccia massima.


Undicisettembre: Ci sono sostenitori delle teorie del complotto, o persone che hanno dubbi sull'11/9, tra i tuoi colleghi?

Steven Mondul: Non che io sappia.

2013/09/01

Quanti architetti e ingegneri dichiarano dubbi sulla “versione ufficiale”? Meno dello 0,1%

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Spesso i sostenitori delle tesi alternative si fanno forti dell'esistenza di un'associazione di ingegneri e architetti, Architects and Engineers for 9/11 Truth (AE911truth.org), che promuove queste tesi.

AE911 dichiara di avere attualmente ben 2008 architetti e ingegneri sottoscrittori (elencati qui). Sembrano tanti; abbastanza da poter dire che ci sono dubbi diffusi anche fra i professionisti del settore.

Ma confrontiamo i sottoscrittori di AE911 con il numero complessivo degli architetti e ingegneri statunitensi: sono rispettivamente circa 233.000 e 2.495.000, secondo Numberof.com su dati del 2010 Statistical Abstract of the US Census Bureau (1, 2). In totale sono circa 2.728.000 persone.

Il che significa che i sottoscrittori di AE911 sono soltanto lo 0,07% degli ingegneri e architetti statunitensi. Il sostegno attivo al cospirazionismo fra gli addetti ai lavori è insomma tutt'altro che diffuso.

La prossima volta che qualcuno si vanta che in AE911 ci sono un sacco di architetti e ingegneri che sostengono le tesi alternative, tenete presente che AE911 rappresenta lo 0,07% degli architetti e ingegneri statunitensi.

Aggiornamento (2013/08/02). Visti i commenti, si rende a quanto pare opportuno un chiarimento che pensavo fosse superfluo e che era già da tempo nelle FAQ di Undicisettembre (sezione 6.2.1): il fatto che siano pochi o tanti gli esperti sostenitori di una tesi non implica di per sé che la tesi sia sbagliata o giusta. In campo scientifico e tecnico, i fatti non vengono determinati per maggioranza, ma dimostrati con prove che superino il vaglio e la verifica degli esperti: una cosa che finora i sostenitori delle tesi alternative, compresi gli architetti e ingegneri di AE911, non sono riusciti a fare. Tuttora, dopo oltre dieci anni, non c'è neppure un articolo pro-tesi di complotto nelle riviste tecniche di settore.

Aggiornamento (2013/08/03). Sfogliando l'elenco degli architetti e ingegneri sottoscrittori ho trovato per caso un esempio molto eloquente della solidità delle argomentazioni di questi addetti ai lavori.

Adrian Brunner, che si qualifica come "dipl. Architekt ETHZ" di Zurigo, afferma che

1) The hole in the fassade was not big enough for the named type of Boeing plane.
2) The main structure of WTC would have supported a plane crash.
3) WTC 1,2, & 7 buildings where clearly a professional demolitions, in my opinion.
4) Pentagon crash was not the officially named type of civil Boeing plane. the damages look like being caused by a hawk or some similar flying object.

In traduzione (l'inglese originale non è molto corretto):

1) Il foro nella facciata non era grande abbastanza per il tipo nominato di aereo Boeing.
2) La struttura principale del WTC avrebbe sopportato un impatto di un aereo.
3) Gli edifici WTC 1,2, e 7 furono chiaramente demolizioni professionali, secondo la mia opinione.
4) Lo schianto al Pentagono non fu il tipo nominato ufficialmente di aereo Boeing. I danni sembrano causati da un falco o da un oggetto volante simile.


In altre parole, fra gli architetti e ingegneri di AE911 c'è chi non solo sostiene la teoria dell'aereo fantasma al Pentagono (punto 4, nel quale si presume che hawk non sia il volatile ma un velivolo-drone Global Hawk), che è stata ormai screditata anche da molti esponenti del cospirazionismo e non è nemmeno sostenuta da AE911, ma afferma anche che le Torri Gemelle non furono colpite da aerei di linea (punto 1, dato che non risultano altri aerei di linea dispersi l'11/9 a parte due Boeing 767 e due Boeing 757). È un altro dato sul quale riflettere.

2013/07/21

Opinioni esperte sul crollo delle Torri Gemelle: Matthys Levy

di Paolo Attivissimo

Durante il mio recente dibattito video con un sostenitore delle tesi alternative, Massimo Mazzucco, ho segnalato e mostrato il libro Why Buildings Fall Down, di Matthys Levy e Mario Salvadori, come esempio di esperti in strutture che non trovano nulla di anomalo nella dinamica dei crolli delle Torri Gemelle e confermano quella che viene impropriamente definita “versione ufficiale”.

Mario Salvadori (1907-1997) era ingegnere strutturista e professore d'ingegneria civile e architettura presso la Columbia University. Autore di dieci libri sulle strutture architettoniche e di cinque testi di matematica applicata (per esempio Structural Design in Architecture, 1967, e Numerical Methods in Engineering, 1953), aveva lavorato per la società d'ingegneria Weidlinger Associates, Inc. come consulente, diventandone poi membro e infine presidente onorario. Era stato insignito del Founders Award della National Academy of Engineering nel 1997 e della Hoover Medal da parte della American Society of Civil Engineers (ASCE) nel 1993.

Matthys Levy è da oltre cinquant'anni ingegnere civile e consulente in strutture; attualmente è anche presidente onorario della medesima Weidlinger Associates. Fra i suoi numerosi riconoscimenti professionali si può citare il premio Innovation in Civil Engineering dell'ASCE (1994). Levy ha anche pubblicato due articoli tecnici sul crollo delle torri: The Anatomy of the World Trade Center Collapses, A Structural Engineering Investigation, con N. Abboud et al., (Proc. Of the Third Forensic Engineering Congress, ASCE, San Diego, ottobre 2003) e Anatomy of a Disaster: A Structural Investigation of the World Trade Center Collapses (SFPE-SEI Proc. Conference on Designing Structures for Fire, Baltimore, settembre 2003). È progettista di grandi strutture come il Georgia Dome Stadium di Atlanta (70.000 posti coperti da quella che fino al 1999 è stata la cupola più grande del mondo), il Rose Center for Earth and Space a New York e lo stadio La Plata in Argentina.

Why Buildings Fall Down, scritto originariamente nel 1992 per esaminare i grandi crolli di edifici nella storia antica e contemporanea, è stato aggiornato ed ampliato da Matthys Levy dopo la morte di Salvadori per includere gli eventi dell'11/9. Questa è la trascrizione della parte saliente della sezione dedicata all'11/9 nel libro (da pagina 263 a pagina 268), specificamente nella sua edizione del 2002 (ISBN 0-393-311525).

Qualora vi fosse interesse sufficiente in una traduzione in italiano di questo brano, Undicisettembre si adopererà per fornirla.

As the towers fell, the piston effect of the collapse hurled debris and flaming embers violently against adjacent buildings, damaging many and causing some to burn and collapse. The roof of a subway tunnel directly under the complex collapsed under the weight of the debris, as did some of the Trade Center's underground levels. In all, 12 million sq. ft. (1.1 million m²) of the magnificent Center were reduced to 1.2 million tons of debris: ash, rubble, and twisted steel. Entombed in this rubble were more than three thousand people who either had been trapped on the floors above the impact or did not have sufficient time to escape the inferno before the towers collapsed. It was the most devastating event ever witnessed and the greatest domestic tragedy since the Galveston flood of 1900, but unlike that natural event, this one was the direct result of terrorism – the destruction of a symbol of America and the city of New York.

The two planes that smashed into the World Trade Center had been hijacked by a group of terrorists that also hijacked two other planes. One of these dove into the Pentagon, the headquarters of the United States military establishment and symbol of American military might. The fully fueled plane, a Boeing 757, flying diagonal to one face of the building at an estimated 345 mph (550 km/hr), destroyed a large section of one corner. The force of the impact demolished the plane, sending parts penetrating through three outer rings of the structure. The building, a reinforced concrete structure built at the start of the Second World War, had recently been partly renovated, reinforcing the two foot (600 mm) thick concrete and masonry outer wall with a grid of steel members. Windows had also been made blast resistant and a layer of Kevlar was introduced on the inner face of the outer wall to catch debris. All these measures, which were virtually complete in the affected section of the building, contributed to the survival of the structure for a half hour before it collapsed, allowing survivors time to escape. The major damage to the adjacent sections of the complex was caused by the ensuing fire, smoke, and water used to extinguish the fire. In spite of it all, the Pentagon stayed open and the affected section of the building was soon stabilized and isolated.

The fourth plane crashed in a field in Pennsylvania, apparently as a result of passengers overwhelming the terrorists. A total of nineteen terrorists, some of whom were trained as pilots, undertook this coordinated attack. It is believed that these perpetrators were connected with and financed by Osama bin Laden, who had also directed the early attacks on the U.S. embassies in Africa and on the U.S. cruiser Cole in the port of Aden.

After the fall

How could two such seemingly sturdy and powerful structures collapse? The 110-story towers, which were completed in the 1970s, consisted of a steel column-supported core housing elevators and services surrounded by a clear span office space supported along the perimeter by a ring of closely spaced steel columns. These perimeter columns were rigidly joined to short and deep steel beams, thus forming a stiff tubular structure designed to resist the effect of wind and giving the buildings their characteristic lace-like appearance. Floors consisted of concrete topped light steel trusses spanning between the core and exterior. The building's structural engineer, Leslie Robertson, had developed a unique device using a viscoelastic material to connect the trusses to the columns. This device responded like soft rubber to slowly applied loads and like hard rubber to rapidly applied loads. In this way, the connector was able to damp-out uncomfortable vibrations due to the lateral sway of the slender towers under wind while not supporting loads from the floors.

The plane's momentum, when it struck a tower, carried it into the building, with parts penetrating the core and some parts exiting out the other side (see Chapter 2). The force of the collision was less than one-quarter of the towers wind-resisting capability, which is why it was able to survive the impact. The plane spilled its fuel, resulting in a fireball that enveloped several floors in the impact zone. The temperature of the fire was estimated to be 1000-2000°F (550-1100°C). It can be surmised that as the plane penetrated the structure, it scraped and destroyed much of the fireproofing material that protects steel from the damaging effects of heat. The steel columns in the core were then intensely heated; as they reached temperatures of 1100°F (600°C) they had lost half their strength and began to flow and buckle (Fig. 18.3). Floors in the impact zone also undoubtedly failed, pulling against the weakened columns and further hastening their tendency to buckle. The weight of the floors above the impact zone then caused the columns to fail, dropping the undamaged upper structure onto the lower one (Fig. 18.4). This impact force, estimated to have been thirty times the weight of the upper structure, caused the lower floors to fail in rapid sequence, dropping the tower vertically (similar to what happened at L'Ambiance Plaza [see Chapter 12]). This analysis assumes that the perimeter columns did not initially fail due to the fire because of the ventilating effect of wind on the exterior face of the building and only peeled off the tower as it fell. The second tower to be hit, which was the first to fail, actually tilted above the impact zone as it began to crumble, but then continued to drop vertically. This initial tilt was undoubtedly due to the fact that this tower suffered substantial damage on one face near a corner when the plane struck. Although the towers were designed and built as structurally efficient buildings and complied with existing regulations, they could not survive such an unanticipated, horrendous attack.

Other failure scenarios will undoubtedly be proposed and debated as investigations into the catastrophe take place over many years. Yet we believe that the basic outline of the failure is clear.

Can skyscrapers be designed to safely survive another such terrorist attack? The answer to this question is necessarily guarded. In both cases of planes crashing against skyscrapers – the Empire State building and the World Trade Center – the structure survived the initial impact. The redundancy in the rigidly joined beam and column outer tube of the World Trade Center served it well by redistributing column loads away from the damaged region. What doomed it was the fire. A more robust core structure, perhaps of reinforced concrete or an as yet undeveloped material and a more advanced fire suppression system might provide a more terrorist-resistant structure. But even the masonry and concrete wall of the Pentagon could not prevent a plane from penetrating the building. Heavy concrete bunkers can be designed to survive also almost any explosive event, but we do not want to live and work in such oppressive bunkers. A compromise between the bunker and the glass box will have to be accepted to reduce with the risk of future catastrophic structural collapses.

2013/07/11

Pentagon: an interview with survivor Dan Holdridge

by Hammer. An Italian translation is available here. Una traduzione in italiano è disponibile qui.

Undicisettembre has recently collected the account of a Pentagon survivor, Dan Holdridge (name quoted with his permission), who used to work in the building as a contractor.

Holdridge is also the author of a very interesting and touching book in which he gives a detailed account of his experience. The title of the book is Surviving September 11th and we highly recommend it to anyone who wants to have a better knowledge of what happened that day.

We would like to thank Dan Holdridge for his kindness and willingness to help.


Undicisettembre: What do you recall, generally speaking? Can you give us an account of your experience?

Dan Holdridge: September 11 2001 was a beautiful day, I was at work and it was a normal day. I got a phone call that would delay me and later I found out that delay was going to save my life; we usually had that conference call every single Wednesday, but for some reason we had it on Tuesday that week. When I hung up the phone to the woman I was talking to she called me back and said: “Dan, did you hear what happened in New York?” I said: “No” and she said: “There's a plane that went into the Trade Center in New York.” I grew up in the state just next to New York, in Connecticut. I thought “Oh, my God, what a terrible accident!”. We started chatting about New York and then she said: “Dan, wait a minute, a second plane just went into the other Tower!” I asked: “A small plane or a big one?”; she said: “It looks like a big one.”

At that time I was inside the Pentagon working as a contractor. I said: “Let me hang up with you”, and I did what everyone else probably did, I called home, talked to my dad, and said: “Dad, it looks like our nation is at war”. He said: “What??”. I said: “Yes, two planes went into the Twin Towers in New York. But don't worry, I'm in the Pentagon.” Then I called my colleague Bobby Shelby and with him I went down to the Naval Command Center, which was on the first floor. We had just spent the prior couple of weeks there setting up the computer network, because that's part of our job. We wanted to go there to figure out what was going on around the world because they have huge screens there. Bobby went ahead and said: “Danny, do you mind if I take a smoke break?” I said: “Okay, go ahead”. I had a clipboard with me, I usually don't take it with me, I opened my cellphone browser and I started reading about what was going on in New York, I could not believe it. After reading for a few minutes what was going to Bobby I said: “What's next? The Pentagon?”

And then: 3, 2, 1, BOOM!

The blast went off and it picked up Bobby and I and threw us a good distance. The building shook as if it was about to come down on us. I thought I'd die. I looked over, I could see Bobby and I knew he was injured pretty badly, I wasn't because I used the clipboard to protect my head. Anyway we were both able to get up and we ran to a pillar that was nearby, we figured it would hold up because the rest of the building was coming down around us. And when I looked towards the outside of the Pentagon we saw a big fireball that was coming in towards us. We ran towards the center of the courtyard and people started screaming: “You've been hit. You've been hit.” I didn't know what it meant, I looked down and I was covered with blood and I knew Bobby was pretty well hurt as well.

So we sat down and I realized my cellphone was knocked out of my hand, and I started reaching out, grabbing people's cellphones from off their waists, because I wanted to try and let my family know that I was alive. People kept saying: “You can have my phone, but it doesn't work.” I couldn't call out. A few moments later the Pentagon security came by to evacuate people, so we were carried out to the triage area where they were giving out ribbons around people's wrists. Green ribbon meant you were okay and you were going to survive, that's the color that I had. Yellow meant you needed treatment very soon but you were going to be alright, and that's the color that Bobby got. Red ribbon meant you would need medical treatment right away or you would die. The final one was the black ribbon for people who had perished.

While we were at the triage I could smell the burning flesh, I could hear the moans. We were part of the most horrible event of my life and of the history of my country. I could see the outside of the Pentagon, I could see where the plane had hit. There was the hole from where the plane went in and I was praying that people could make it out. They hit the wrong side of the Pentagon, it was the newly designed side, the walls were brand new and extra thick.

I started to pray for the day to slow down while paramedics kept running up and saying: “Get the hell out of here because there's a second plane coming.” I looked up in the air and I could see the fighter jets and I figured that we were safe. The doctor that was bandaging us up went back to assist others and all that I could hear was people yelling: “Where do I donate blood? Where do I donate blood?”

That's the spirit of America. No matter how bad the tragedy, there is always the opportunity for good things to happen.

As the doctor left, Bobby and I were sitting at the side of the street and a woman in a big SUV came over, rolled down her window, her name was Erin Anderson, and she told Bobby and I to get in and she'd take us to the hospital. We thought that was a miracle because there were no cars allowed to move around the Pentagon at that point and she picked us up and took us to the hospital.

I was lying next to a woman in the hospital who saw the plane coming in underneath her, on the floor underneath her. They did a very good job designing that new part of the building.

Bobby ended up getting transferred to another hospital because the wounds on his head needed special treatment. He is okay now physically, as well as I am, but emotionally and mentally, even if we are talking about twelve years ago, I'm telling you the story as if it was yesterday.


Undicisettembre: This person you mentioned, this Erin Anderson, is amazing. I guess you had a chance to ask her something like: “Why did you choose to do this? Why did you choose to put yourself in danger helping others?”

Dan Holdridge: When we got in the car I just said: “Thank you so much for picking us up.” and she turned around looked at me straight in the eyes and said: “I don't know why I'm here, I'm here to take you to the hospital” I said: “I'm okay with this. Let's get out of here.” She was like a guardian angel to me.

I kept in contact with her ever since, she's a very special woman and I can't be any more grateful for what she did. She was sitting at home and she felt she had to help somebody and I've always told to the audience I speak with that we all have an Erin Anderson within us. We all have the ability, when there's something going, to stand up and find the hero within and just go and offer help: and that's what she did! I hope the listeners of my lectures do that: we have God given talents that we can use every day. We don't need a 9/11 to find the hero within us, we just have to go out and look for people who need us.


Undicisettembre: What happened in the next few days? How was your recovery?

Dan Holdridge: I was brought back to a colleague of mine's home where I was trying to rest, but I wasn't sleeping. I didn't for several months. I would get a brief nap and then wake up thinking the second plane was coming. Being diagnosed for post traumatic stress disorder, you get a pretty healthy dose of reality that lives within you all the time. It makes you even more thankful for all the folks that are serving abroad in those countries like Iraq or Afghanistan because the post traumatic stress you get from a trauma of this magnitude lives with you forever. But the days after it was very hard, I lost the feeling on my left side because of the blast. I was trying to figure out how life was going to be, I was hoping the feeling was going to come back and I went to a hospital that was close to my parents' home.

When I went into the hospital saying I was a 9/11 survivor they thought I was from New York because it's closer to my parent’s home. So I said: “No, I'm from DC.” and that fascinated them, so I shared my story with the doctors. I knew at that point in time there was going to be a big change in my life, because people were only knowing me for being Dan, they didn't know me for being a survivor. I also had to figure out what that meant.


Undicisettembre: What are your thoughts about the firefighters, the police officers and the paramedics who risked their lives to save others?

Dan Holdridge: I think they are all heroes. I used an acronym in my book that you probably recall. It is “Help Everyone Regardless of Outcome”: H.E.R.O. I think it's so crucial for the public to thank them on a regular basis, and to show gratitude for what they do. It's one thing to say they are getting paid for doing what they do, but they are putting their lives in danger so that we can live safe in the freedom we enjoy. They made our country proud. They really represent what's great about America.


Undicisettembre: How does 9/11 affect your everyday life?

Dan Holdridge: It affects my life every day. I wake up to it and I go to bed with it. It's not as bad as it used to be. In my approach to life, to my work and to my family there's some element of 9/11 because it's based on appreciation. I appreciate every gift, every moment, every minute. I would have never done that prior to 9/11 but now I know how fast life can be taken from you. That's why I go around and I speak to audiences, I talk about it because people need to understand that all the things that life can offer have to be based on appreciation. Nothing is entitled in life, nothing at all. When people feel entitled to things in life, that's when negativity sets in and bad thing happen. Appreciating things removes all the fears from life, it removes all the things that cause you pain and focuses you on what's truly most important.

I share with audiences that for ninety minutes my family didn't know if I was alive. If in ninety minutes you are watching a great movie, they go by like nothing; but if for ninety minutes you are waiting to hear if one of your family members is alive, you can hear the tick tock of the clock. People go through this every day in hospitals and a lot of times it too late to tell people how you feel about them, it's too late to tell them what they mean to you in life. So I encourage everyone to take ninety minutes and tell the people how you feel: tell them you love them, tell them what they mean to you.

You just never know that there will be a tomorrow. We should all live our lives in that appreciation for the gifts that we have: the gifts of the time and of the moment. That how my life really changed after 9/11. You don't know what tomorrow is going to bring. When going to an obituary is too late to know how great a person is. This is what I came to when I went back to the Pentagon, I learnt about so many wonderful people who weren't around any more, and I came to the conclusion that I don't want that to happen to another person, I don't want to feel like I felt that day. And I hope in some way my sharing a message of appreciation can be helpful for others.


Undicisettembre: While at the Pentagon did you get a chance to see the hole in the facade?

Dan Holdrigde: I haven't seen it from inside, I've seen it from outside. On the inside I only saw the fireball that was coming towards us. From outside I saw what people didn't see before the news got there. I saw the hole that was there.


Undicisettembre: Did it look too small to have been done by an airplane?

Dan Holdridge: Oh, no! The fact is that the plane went into the Pentagon 530 miles per hour into a wall that was made of reinforced concrete. It had to disintegrate, but the remains of the plane were all there: wheels, pieces of fuselage. The real tragedy of that experience was the folks that said it wasn't a plane. These theories stamp on the lives of those who were lost on the plane or lost in the building. I keep praying that people who believe in conspiracy theories could use that energy and effort to go and volunteer at a soup kitchen, or to start a clothing drive for their local community, or to read at a school. That’s where their energy should be instead of coming up with this silly idea that maybe it wasn't a plane. How does it help anybody?


Undicisettembre: My next question is inevitably what you think about conspiracy theories. What are your thoughts about them?

Dan Holdridge: If they can explain how the American Airlines fuselage ended up in our work area, then I'm all ears. All the fuselage was in the parking lot of the Pentagon. I don't know how else to explain it. There were remains of the plane, where did they come from?

It's really hard for me to give time to those folks who come up with those theories, they think I could even validate their theories or think that their ideas are worth my time, which they obviously aren't.


Undicisettembre: While you were there at the Pentagon was anyone having doubts about the fact that a plane had hit the Pentagon?

Dan Holdridge: No, not at all. Having colleagues of mine who were on the way when the plane came in, it was pretty evident. Really, the first time I heard about conspiracy theories was from the internet. I just hope people who believe these theories can refocus their energy in making a world a better place.

There's no benefit in those theories, they are wasting people's time.


Undicisettembre: Do you think the country is still living in fear?

Dan Holdridge: I think it probably varies from person to person. The country as a whole is stronger. We have to be grateful to people who are providing our security and safety, we have to support them and thank them for all they are doing, because thanks to them we are still safe.

Pentagono: intervista con il sopravvissuto Dan Holdridge

di Hammer. L'originale inglese è disponibile qui.

Undicisettembre ha recentemente raccolto la testimonianza di un sopravvissuto del Pentagono, Dan Holdridge (citato con il suo permesso), che lavorava nel palazzo come appaltatore.

Holdridge è anche l'autore di un interessantissimo e toccante libro in cui racconta in dettaglio la propria esperienza. Il volume si intitola Surviving September 11th e ne raccomandiamo caldamente la lettura a chiunque voglia approfondire la propria conoscenza sugli eventi di quel giorno.

Ringraziamo Dan Holdridge per la sua cortesia e disponibilità.


Undicisettembre: Cosa ricordi in generale di quella mattina? Puoi farci un breve racconto della tua esperienza?

Dan Holdridge: L'11 settembre 2001 era una giornata bellissima, ero al lavoro ed era un giornata normale. Ricevetti una telefonata che finì per ritardarmi e in seguito scoprii che quel ritardo mi avrebbe salvato la vita; di solito facevamo quella telefonata di audioconferenza ogni mercoledì, ma per qualche ragione quella settimana la facemmo di martedì. Quando riattaccai il telefono, la donna con cui stavo parlando mi richiamò e mi disse: “Dan, hai sentito cosa è successo a New York?” Risposi: “No” e lei mi disse: “C'è un aereo che si è schiantato contro il Trade Center a New York.” Io sono cresciuto nello stato adiacente a New York, il Connecticut. Pensai: “O mio Dio, che terribile incidente!” Iniziammo a parlare di New York e poi lei mi disse: “Dan, aspetta un minuto, un secondo aereo è appena finito dentro l'altra Torre!” Chiesi: “Un aereo piccolo o uno grande?”; disse: “Mi sembra uno grande.”

A quel tempo lavoravo dentro al Pentagono come appaltatore. Dissi: “Chiudiamo questa conversazione” e feci quello che probabilmente fecero tutti: chiamai casa, parlai con mio padre e dissi: “Papà, sembra che la nostra nazione sia in guerra.” Mi disse: “Cosa??” Risposi: “Sì, due aerei si sono schiantati contro le Twin Towers a New York. Ma non preoccuparti, io sono al Pentagono.” Quindi chiamai il mio collega Bobby Shelby e con lui scesi al Naval Command Center, che era al primo piano. Avevamo trascorso lì le due settimane precedenti per installare la rete informatica, perché era parte del nostro lavoro. Volevamo andare là per capire cosa stava succedendo nel mondo perché là avevano schermi immensi. Bobby andò avanti e disse: “Danny, ti spiace se mi fermo a fumare una sigaretta?” Gli dissi: “Okay, fai pure.” Avevo con me una cartelletta portablocco, di solito non la porto con me, aprii il browser sul cellulare e cominciai a leggere cosa stava succedendo a New York, non potevo crederci. Dopo aver letto per alcuni minuti a Bobby cosa stava succedendo dissi: “Quale sarà il prossimo? Il Pentagono?”

E poi: 3, 2, 1, BOOM!

Ci fu un'esplosione che prese me e Bobby e ci lanciò lontano. Il palazzo tremò come se dovesse crollarci addosso. Pensai che sarei morto. Mi guardai attorno, riuscii a vedere Bobby e capii che era gravemente ferito; io no, perché avevo usato la cartelletta per proteggermi la testa. Comunque fummo entrambi in grado di rialzarci e corremmo fino a un pilastro vicino, immaginammo che avrebbe retto visto che tutto il resto del palazzo attorno a noi stava venendo giù. Quando guardai verso l'esterno del Pentagono vidi una grossa palla di fuoco venire verso di noi. Corremmo verso il centro del cortile e la gente cominciava ad urlare: “Sei stato colpito. Sei stato colpito.” Non capivo cosa volesse dire, guardai in basso ed ero ricoperto di sangue e sapevo che anche Bob si era fatto molto male.

Così ci sedemmo e mi resi conto che il mio cellulare mi era caduto dalle mani; iniziai a cercare di afferrare i cellulari appesi alla cintola delle altre persone, perché volevo informare la mia famiglia che ero vivo. La gente diceva: “Prendi pure il mio telefono, ma non funziona.” Non riuscivo a chiamare. Alcuni istanti dopo il personale di sicurezza del Pentagono venne per far evacuare le persone, fummo portati a un'area dove venivano assegnate le priorità mettendo dei nastri al polso delle persone. Un nastro verde significava che stavi bene e che non eri in pericolo di vita; fu il colore che ricevetti io. Nastro giallo significava che necessitavi di cure rapidamente ma te la saresti cavata, e fu il colore che ricevette Bobby. Nastro rosso significava che necessitavi di cure immediate altrimenti saresti morto. L'ultimo era il nastro nero che veniva applicato a chi era morto.

Mentre eravamo in quest'area sentivo odore di carne bruciata, sentivo i lamenti. Eravamo parte del più orribile evento della mia vita e della storia della mia nazione. Vedevo l'esterno del Pentagono, vedevo dove l'aereo aveva colpito. C'era il buco da cui l'aereo era entrato e pregavo che la gente potesse uscirne viva. Colpirono il lato sbagliato del Pentagono, era il lato che era stato ristrutturato da poco, i muri erano nuovi e più spessi.

Iniziai a pregare che la giornata rallentasse mentre i paramedici continuavano a correre da noi e dicevano: “Andatavene via di qua perché sta arrivando un secondo aereo.” Guardai in cielo, vidi gli aerei caccia e capii che eravamo al sicuro. Il medico che ci stava bendando tornò ad aiutare altri e tutto ciò che sentivo era la gente che urlava: “Dove posso donare il sangue? Dove posso donare il sangue?”

Questo è lo spirito dell'America. Non importa quanto sia grave la tragedia, c'è sempre l'opportunità che succedano cose buone.

Quando il medico se ne andò, io e Bobby eravamo seduti al lato della strada e arrivò una donna con un grosso SUV. Abbassò il finestrino; si chiamava Erin Anderson, e disse a me e Bobby di salire in macchina perché ci avrebbe portati all'ospedale. Pensammo che fosse un miracolo, perché nessuna macchina era autorizzata a muoversi attorno al Pentagono in quel momento e lei ci caricò e ci portò all'ospedale.

All'ospedale avevo il letto accanto a quello di una donna che vide l'aereo arrivare sotto di lei, al piano sotto di lei. Avevano fatto davvero un buon lavoro nel ristrutturare quella parte nuova dell'edificio.

Bobby finì per essere trasferito in un altro ospedale, perché le ferite che aveva in testa necessitavano di un trattamento speciale. Fisicamente ora sta bene, e sto bene anch'io, ma emotivamente e mentalmente, anche se sono passati dodici anni, ti sto raccontando questa storia come se fosse ieri.


Undicisettembre: Questa persona che hai menzionato, questa Erin Anderson, è straordinaria. Immagino che tu abbia avuto la possibilità di chiederle: “Perché hai deciso di fare questo? Perché hai deciso di metterti in pericolo per aiutare degli altri?”

Dan Holdridge: Quando salii in macchina le dissi soltanto: “Grazie molte di averci caricato.” e lei si volse e mi guardò dritto negli occhi e disse: “Non so perché sono qui, sono qui per portarvi all'ospedale.” le dissi: “Mi va bene. Andiamo via di qui.” Fu come un angelo custode per me.

Da allora sono in contatto con lei, è una donna molto speciale e non potrei esserle maggiormente grato per ciò che ha fatto. Era seduta in casa e sentì di dover aiutare qualcuno e io dico sempre al pubblico delle mie conferenze che tutti abbiamo una Erin Anderson dentro di noi. Tutti abbiamo la capacità, quando succede qualcosa, di alzarci e di trovare l'eroe dentro di noi e offrire il nostro aiuto: e questo fu ciò che lei fece! Spero che gli spettatori delle mie conferenze facciano atrettanto: abbiamo talenti dati da Dio che possiamo usare ogni giorno. Non serve un altro 11/9 per trovare l'eroe dentro di noi, dobbiamo soltanto uscire a cercare chi ha bisogno di noi.


Undicisettembre: Cosa successe nei giorni seguenti? Come fu il tuo recupero?

Dan Holdridge: Fui portato a casa di un collega dove provai a riposare, ma non dormivo. Non ci riuscii per mesi. Facevo brevi sonni leggeri e mi svegliavo pensando che stesse arrivando il secondo aereo. Quando ti diagnosticano lo stress post traumatico, ti prendi una sana dose di realismo che vive con te costantemente. Ti rende ancora più grato per le persone che prestano servizio all'estero, in nazioni come l'Iraq o l'Afghanistan, perché lo stress post traumatico che ricevi da un trauma di questa grandezza vive con te per sempre. Ma i giorni successivi furono molto duri, persi la sensibilità dal mio lato sinistro per via dell'esplosione. Cercavo di capire come avrei vissuto, speravo che mi tornasse la sensibilità e andai in un ospedale vicino alla casa dei miei genitori.

Quando entrai nell'ospedale dicendo che ero un sopravvissuto dell'11/9 pensavano che io venissi da New York, perché è più vicino alla casa dei miei genitori. Quindi dicevo: “No, vengo dal DC.” e questo li affascinava e così raccontavo la mia storia ai medici. A quel punto sapevo che ci sarebbe stato un grosso cambiamento nella mia vita, perché la gente mi conosceva solo come Dan, non mi conoscevano come un sopravvissuto. Anche io dovetti capire cosa volesse dire.


Undicisettembre: Cosa pensi dei pompieri, dei poliziotti e dei paramedici che hanno rischiato le loro vite per salvare gli altri?

Dan Holdridge: Credo che siano tutti degli eroi. Ho usato un acronimo nel mio libro che probabilmente ricordi. È “Help Everyone Regardless of Outcome”: H.E.R.O. [“Aiuta tutti senza pensare alle conseguenze” NdT] Credo che sia fondamentale che il pubblico li ringrazi regolarmente, e che mostri gratitudine per ciò che fanno. Certo, sono pagati per il loro lavoro, ma mettono le proprie vite a repentaglio in modo che noi possiamo vivere al sicuro nella libertà di cui godiamo. Hanno reso fiera la nostra nazione. Rappresentano davvero ciò che l'America ha di grande.


Undicisettembre: L'11/9 come ha condizionato la tua vita quotidiana?

Dan Holdridge: Condiziona la mia vita ogni giorno. Mi ci sveglio e ci vado a dormire. Non va così male come in passato. Nel mio approccio alla vita, al lavoro e alla mia famiglia c'è un po' di 11/9 perché si basa sull'apprezzamento. Apprezzo ogni dono, ogni momento, ogni minuto. Non lo avrei mai fatto prima dell'11/9, ma adesso so quanto velocemente la vita ti può essere tolta. Per questo vado in giro a tenere conferenze, ne parlo perché la gente deve capire che tutto ciò che la vita ha da offrire deve essere basato sull'apprezzamento. Nulla è dovuto nella vita, assolutamente nulla. Quando la gente crede che qualcosa le sia dovuto, allora la negatività si insinua e succedono cose brutte. Apprezzare le cose fa sparire tutte le paure della vita, fa sparire ciò che ti causa dolore e ti focalizza su ciò che davvero è più importante.

Racconto al pubblico che per novanta minuti la mia famiglia non sapeva se fossi vivo. Se per novanta minuti stai guardando un bel film, volano come niente; ma se per novanta minuti aspetti di sapere se un tuo familiare è vivo, puoi sentire il ticchettio dell'orologio. La gente vive queste cose ogni giorno negli ospedali e molte volte è troppo tardi per dire alle persone cosa provi per loro, è troppo tardi per dire loro cosa significano nella tua vita. Quindi io spingo chiunque a ritagliarsi novanta minuti per dire alle persone cosa provi: di' loro quanto le ami, di' loro cosa significano per te.

Noi puoi mai essere sicuro che ci sia un domani. Tutti dovremmo vivere le nostre vite nell'apprezzamento di ciò che abbiamo: i doni del tempo e del momento. È in questo senso che la mia vita è veramente cambiata dopo l'11/9. Non puoi mai sapere cosa ti porterà il domani. Quando vai a un funerale è troppo tardi per riconoscere quanto una persona sia grande. Questo è ciò che capii quando tornai al Pentagono, venni a sapere di molte persone splendide che non c'erano più e giunsi alla conclusione che non voglio che questo succeda ad altri, non voglio più sentirmi come quel giorno. E spero che in qualche modo la mia condivisione di un messaggio di apprezzamento possa essere utile agli altri.


Undicisettembre: Mentre eri al Pentagono hai avuto modo di vedere il buco sulla facciata?

Dan Holdridge: Non lo vidi dall'interno, lo vidi solo dall'esterno. Dall'interno vidi solo la palla di fuoco che veniva verso di noi. Da fuori vidi ciò che la gente non vide prima che arrivasse la stampa. Vidi il buco che c'era.


Undicisettembre: Ti sembrava troppo piccolo per essere stato prodotto da un aereo di linea?

Dan Holdridge: Oh, no! Il fatto è che l'aereo si schiantò nel Pentagono a 850 chilometri orari contro un muro di cemento armato. Doveva per forza disintegrarsi, ma i rottami dell'aereo erano tutti lì: ruote, pezzi di fusoliera. La vera tragedia di quell'esperienza furono le persone che dissero che non era un aereo. Queste teorie calpestano le vite di coloro che sono morti sull'aereo o nell'edificio. Prego costantemente che le persone che credono alle teorie del complotto usino la propria energia e i propri sforzi per fare invece volontariato alle mense per i poveri, o per iniziare la raccolta dei vestiti usati della loro comunità locale, o per lavorare come lettori nelle scuole. È qui che dovrebbero investire le proprie energie invece di uscirsene con questa stupida idea che forse non era un aereo. In che modo questo è utile a qualcuno?


Undicisettembre: La mia domanda successiva è inevitabilmente sulle teorie del complotto. Cosa ne pensi?

Dan Holdridge: Se mi sanno spiegare come la fusoliera dell'American Airlines è finita nella nostra area di lavoro, sono tutt'orecchi. Tutta la fusoliera era nel parcheggio del Pentagono. Non saprei come altro spiegarlo. C'erano resti di un aereo, da dove sono arrivati?

Per me è davvero difficile dedicare del tempo a queste persone che se ne escono con queste teorie, pensano che io possa addirittura confermarle o che le loro idee valgano il mio tempo, ovviamente non è così.


Undicisettembre: Mentre eri al Pentagono qualcuno aveva dubbi sul fatto che fosse stato colpito da un aereo?

Dan Holdridge: No, assolutamente no. Avendo colleghi che si trovavano proprio sulla traiettoria da cui è arrivato l'aereo, era piuttosto evidente. In realtà la prima volta che ho sentito delle teorie del complotto è stato su internet. Spero solo che le persone che credono a queste teorie possano reindirizzare la propria energia nel rendere il mondo un posto migliore.

Non deriva nessun beneficio da queste teorie, fanno solo perdere tempo alla gente.


Undicisettembre: Pensi che la nazione viva ancora nella paura?

Dan Holdridge: Credo che vari da persona a persona. La nazione nel suo insieme è più forte. Dobbiamo essere grati per le persone che ci stanno garantendo la sicurezza, dobbiamo supportarle e ringraziarle per ciò che stanno facendo, perché è grazie a loro che siamo ancora al sicuro.

2013/07/08

Quanto sono attendibili le prime testimonianze raccolte a caldo?

di Hammer. L'articolo è stato corretto dopo la pubblicazione iniziale.

Una delle argomentazioni più ricorrenti avanzate dai sostenitori delle teorie del complotto vuole che molti dei sopravvissuti abbiano sentito esplosioni o scoppi di vario tipo durante l'evacuazione delle Torri Gemelle. Questo sarebbe, secondo i complottisti, un indizio del fatto che ci fossero esplosivi all'interno dei palazzi.

Premesso che durante le vere demolizioni controllate le detonazioni avvengono immediatamente prima del crollo (e servono proprio ad avviarlo) e non decine di minuti prima, ciò che i complottisti sembrano ignorare è che le testimonianze dirette raccolte a caldo non sono poi così attendibili e di recente l'ho sperimentato in prima persona.

Durante lo scorso venerdì pomeriggio mi trovavo per lavoro in un palazzo di nove piani della periferia milanese. Ero solo in ufficio e stavo parlando al telefono quando sentii l'allarme anticendio, un attimo dopo i responsabili della sicurezza percorsero rapidamente il corridoio invitando concitatamente tutti a lasciare il piano.

Fu chiaro a chiunque fin da subito che non si trattasse di un'esercitazione in quanto queste non si fanno in piena estate, nel tardo pomeriggio del venerdì. Appena uscito dal mio ufficio incontrai un gruppo di cinque colleghi che si trovavano nell'ufficio adiacente che asserivano con sicurezza di aver udito uno scoppio o più in generale un "botto" appena prima che suonasse l'allarme. La cosa mi stupì parecchio perché io a meno di dieci metri di distanza non avevo sentito nulla!

L'evacuazione fu ordinata, del resto le prove si fanno varie volte l'anno e fortunatamente servono. Una volta usciti nella piazza antistante e radunatici al punto di raccolta iniziavano a rincorrersi le voci più disparate. "E' esplosa una torretta di rete" diceva qualcuno, "C'è fumo al quarto piano", "No, c'è fumo al quinto piano."

Dopo circa venti minuti fu autorizzato il rientro nel palazzo. Chiesi al responsabile di sicurezza cosa fosse successo, mi rispose che a causa di un guasto uno dei ventilconvettori emetteva del fumo e che questo era stato rilevato dal sistema antincendio. Mi venne naturale chiedere cosa fosse stato il "botto" sentito dai miei colleghi e il responsabile mi rispose che si trattava delle porte anticendio antistanti gli ascensori che si chiudevano per impedire l'utilizzo degli ascensori stessi. Queste infatti sono di norma tenute aperte da elettromagneti a cui viene tolta l'alimentazione in caso di allarme così che le porte si chiudano.

Da poco ho anche appreso che al piano dove mi trovavo e a quello superiore è prevista un'attività di riparazione dell'interfono in quanto alla sirena di allarme non è seguito alcuno messaggio audio che comunicasse la necessità di abbandonare il palazzo, come di norma dovrebbe accadere. Anche questo dettaglio è degno di nota in quanto io nell'immediatezza dell'accaduto avevo anche erroneamente riferito di averlo sentito.

Questo piccolo episodio, che si è concluso senza infortuni, dovrebbe insegnare che le prime impressioni sono spesso forvianti e che queste spesso possono essere interpretate correttamente solo alla luce di informazioni più complete.

2013/06/04

La ricostruzione del World Trade Center - Prima parte

di Hammer


"Non c'è dubbio sul fatto che ricostruiremo. [...] Lo skyline sarà riempito di nuovo. [...] Siamo un popolo molto, molto forte." Rudy Giuliani, 12 settembre 2001.


"Come segno della determinazione degli Stati Uniti d'America, la mia amministrazione lavorerà con il Congresso e [George Pataki e Rudy Giuliani] per mostrare al mondo che ricostruiremo New York." George W. Bush, 20 settembre 2001.


"Sarebbe la tragedia delle tragedie non ricostruire questa parte di New York. Darebbe ai terroristi la vittoria che cercano. Questa città non è morta e non possiamo permetterle di morire. Lo dobbiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti." Larry Silverstein, 16 settembre 2001.


All'indomani degli attacchi dell'11 settembre 2001, quando il lavoro di sgombero delle macerie era appena iniziato, fu chiaro per tutti che la reazione della nazione non poteva non passare dalla ricostruzione del World Trade Center.

Avviare subito un progetto di ricostruzione rappresentava un tassello fondamentale che avrebbe contribuito a ridare fiducia al popolo e a dimostrare che il terrorismo non avrebbe sconfitto libertà e democrazia.

Il primo passo compiuto in questo senso da parte dello stato di New York fu l'istituzione, nel novembre del 2001, della "Lower Manhattan Development Corporation" (spesso abbreviato in LMDC): un ente preposto a coordinare la ricostruzione in ogni sua fase.

Il lavoro della LMDC fu da subito piuttosto problematico e incontrò varie avversità. Nell'aprile del 2002 la LMDC inviò a 24 studi di architettura di New York la richiesta di avanzare proposte per la ricostruzione del World Trade Center. Non ci fu alcun annuncio pubblico di questa iniziativa e agli architetti furono concessi solo dieci giorni per sviluppare le proprie proposte. Ma ancora prima di attendere la scadenza prevista, la LMDC ritirò la richiesta dopo una sola settimana decidendo quindi, senza alcuna gara d'appalto e senza consultare la cittadinanza, di incaricare la società Beyer Blinder Belle di curare la realizzazione e supervisione del piano di ricostruzione.

Da subito diverse testate locali (tra cui il "Gotham Gazette" e il "New York Times") avanzarono qualche dubbio sulla scelta, poichè la Beyer Blinder Belle era più nota per opere di restauro che non per creazioni nuove.

I timori della stampa si rivelarono fondati e la LMDC fu preso costretta a cambiare strategia. Quando le sei proposte avanzate dalla Beyer Blinder Belle furono mostrate al pubblico, nel luglio 2002, ottenero giudizi pesantemente negativi da parte dei 5000 cittadini newyorkesi che si erano recati a vederle nel Federal Hall di Wall Street.

La LMDC indì quindi una nuova gara: questa volta aperta a chiunque nel mondo volesse proporre un piano per la ricostruzione del World Trade Center. Arrivarono in poche settimane ben 406 proposte e nel mese di settembre la LMDC restrinse a sette i nomi dei semifinalisti


Foster and Partners


Una delle sette proposte semifinaliste, proveniva dallo studio Foster and Partners.

Il progetto prevedeva la presenza di un'unica torre divisa in due metà che desse l'illusione di due edifici gemelli. E' ovvio il rimando alle compiante Torri Gemelle.

Nel progetto, il grattacielo era alto 500 metri e basato su geometrie triangolari. Le due metà erano connesse da tre ponti di passaggio equidistanti in altezza, utilizzabili come punti di osservazione, come sedi di bar e ristoranti e anche come vie di fuga in caso di emergenza.

La nuova costruzione sarebbe sorta dove prima si ergevano gli edifici 4 e 5 del World Trade Center. Al posto delle Torri Gemelle il progetto prevedeva dei muri di acciaio e pietra che ne ricalcassero l'impronta e che rimanessero per sempre a creare un luogo di memoria e riflessione.

Tra il memoriale e il World Financial Center si sarebbe esteso un parco di 10 ettari che avrebbe dovuto sostituire la Plaza nella abitudini di vita dei newyorkesi.

La nuova torre rappresentava un esempio di struttura ecologica in grado di autoventilarsi grazie alle facciate multistrato traspiranti. Inoltre la presenza di tre atri alberati in ciascuna metà della torre, uno in corrispondenza di ciascun ponte, avrebbe ossigenato l'aria interna con il risultato di ottenere ingenti risparmi e riduzione degli sprechi dovuti al condizionamento d'aria.


Peterson Littenberg


Lo studio di architettura Peterson Littenberg fu creato proprio dalla LMDC nell'estate del 2002 come società di consulenza e fu invitata a partecipare alla gara con un proprio progetto.

La loro proposta fu quella di creare un nuovo distretto, chiamato New York Garden, che prendesse il posto del World Trade Center. Come dice il nome stesso, il nuovo distretto sarebbe stato un immenso parco a disposizione della città di New York e si sarebbe esteso fino a Battery Park nella punta meridionale di Manhattan.

Nell'area precedentemente occupata dalla Torre Nord era prevista la creazione di un anfiteatro per eventi pubblici di vario genere con 2797 posti a sedere, ovvero il numero delle vittime degli attentati.

Nelle fondamenta dell'anfiteatro sarebbe stato creato un museo in memoria degli eventi dell'11 settembre 2001.

Al centro della Plaza il progetto prevedeva di riporre il monumento "The Sphere" nella sua posizione originale.

Tutt'attorno alla Plaza stessa sarebbero stati costruiti una serie di palazzi di uffici di cui due, sul lato orientale, di altezza considerevole che avrebbero raggiunto i 425 metri così da creare le nuove Torri Gemelle.


Skidmore, Owings and Merrill


La società Skidmore, Owings and Merril, nota anche con l'acronimo SOM, aveva al suo attivo già nel 2001 molti degli edifici più noti del pianeta tra cui la Willis Tower di Chicago (al tempo chiamata Sears Tower). Attualmente la SOM annovera tra le sue opere anche la realizzazione del progetto architetturale del Burj Khalifa.

Il progetto proposto dallo studio Skidmore, Owings and Merril per la ricostruzione del World Trade Center era piuttosto bizzaro e prevedeva un denso intreccio verticale di palazzi che formassero un'unica griglia con alla base, laddove in precedenza sorgevano le Torri Gemelle, un'imponente vasca d'acqua che avrebbe avuto il ruolo di memoriale della tragedia. Accanto ad essa era situata una stazione per il trasporto intermodale estesa per tutta la larghezza tra Greenwich Street e Church Street.

La posizione reciproca dei diversi elementi è mostrata dalle immagini seguenti.




Daniel Libeskind


Daniel Libeskind è un architetto polacco, naturalizzato statunitense, fondatore dell'omonimo studio newyorkese.

Il progetto di Libeskind prevedeva la costruzione di 5 palazzi di altezza crescente.

Il primo dei cinque sarebbe stato costruito a sud della Plaza; altri 3 dove un tempo sorgevano il World Trade Center 4 e 5; un ultimo, più alto, al posto dell'ex World Trade Center 6. Quest'ultimo, di 541 metri, era denominato "Gardens of the World" per via delle numerose aree verdi che avrebbero trovato luogo al suo interno.

Il piano includeva anche la presenza di un memoriale dove prima sorgevano le Torri Gemelle che ne ricalcasse la base con una struttura di cemento.

Due aree pubbliche triangolari, chiamate "Park of Heroes" e "Wedge of Light", erano state disegnate in modo che l'11 settembre di ogni anno la luce del sole vi entrasse senza incontrare ostacoli tra le 8:46 (ora del primo impatto aereo contro i World Trade Center) e le 10:28 (ora del crollo della seconda torre).








United Architects


Sotto il nome di United Architects si riunirono più di sessanta studi di architettura e design di ogni parte del mondo. Il piano da loro proposto era chiamato "United Towers" e prevedeva la presenza di 5 torri di altezza variabile unite alla sommità. Una di esse, la più alta, avrebbe raggiunto l'altezza di 490 metri.

L'unione delle cinque strutture creava nella Plaza un gioco di luci e ombre che, nelle intenzioni del progettisti, ricreava l'atmosfera delle cattedrali gotiche.

La nuova costruzione prendeva il posto degli edifici del World Trade Center 3, 4, 5 e 6 così da lasciare ben visibili le basi delle Torri Gemelle che sarebbero rimaste come memoriale.

Il grattacielo risultante dall'intreccio delle singole torri avrebbe deovuto essere non solo tra i più alti ma anche tra i più sicuri al mondo. Per raggiungere questo obiettivo le scale del complesso erano progettate in modo che consentissero di raggiungere rapidamente un'altra delle torri o di abbandonare l'intera struttura.


THINK Design


Sotto il nome di THINK Design si riunirono alcuni studi associati di architetti di New York tra cui Shigeru Ban, Frederic Schwartz, Ken Smith e Rafael Viñoly. Il loro progetto prevedeva di far rinascere il World Trade Center con il nome di World Cultural Center.

Attorno all'impronta delle Twin Towers sarebbero stati costruiti due nuovi edifici gemelli reticolari aperti (similmente alla Tour Eiffel di Parigi) adibiti a luoghi di cultura con solo pochi piani abitabili.

All'interno avrebbero ospitato un memoriale, un museo sugli attentati dell'11 settembre 2001, diverse sedi per concerti o conferenze, un anfiteatro e piattaforme per osservare la metropoli dall'alto. Le due nuove torri sarebbero state collegate da diversi passaggi sopraelevati.

Il progetto collocava alla base delle torri due immense vasche d'acqua per riflettere l'immagine dei due edifici e la luce del sole.

Il piano prevedeva anche la presenza di 8 edifici più bassi, da costruire intorno alle due torri, adibiti a uffici in modo da poter soddisfare anche la domanda del mercato degli spazi di lavoro.

I progettisti avevano anche previsto l'eventualità di attacchi terroristici contro le torri del World Cultural Center. La struttura esterna reticolare dei due edifici gemelli avrebbe infatti consentito un'opportuna redistribuzione del peso in caso di rottura parziale della stessa.


The Dream Team


Con il nome "The Dream Team" si designa informalmente l'unione di quattro studi archietturali di New York. La squadra era composta da Richard Meier and Partners, Eisenman Architects, Gwathmey Siegel and Associates e Steven Holl.

Il progetto del Dream Team prevedeva di costruire nella Plaza del World Trade Center uno spazio pubblico, analogamente ad altri luoghi newyorkesi quali Union Square e il Rockefeller Center, chiamato Memorial Square.

Sul lato settentrionale e su quello orientale la piazza doveva essere delimitata da due edifici composti, rispettivamente, da due e da tre torri interconnesse dell'altezza approssimativa di 338 metri (1111 piedi, nella misura originale).

Nel progetto i due edifici simboleggiano due mani che intrecciano le proprie dita come a proteggere il popolo che vive nella Plaza. Sul lato occidentale, dove prima sorgevano le torri, sarebbero state create due vasche d'acqua in vetro quale memoriale alle vittime. Intorno alla Plaza alcuni edifici erano adibiti a luoghi di cultura come librerie, sale per concerti e teatri. Due viali alberati dalla Plaza si estendevano oltre al World Financial Center fino al fiume Hudson.


La scelta di un unico vincitore


Le varie proposte furono presentati al pubblico il 18 dicembre 2002 nel Winter Garden del World Financial Center. Nelle prime settimane del 2003, dopo che lo studio Skidmore, Owings and Merril si era già ritirato spontaneamente dalla competizione, la LMDC ridusse la lista dei contendenti a due soli nomi finalisti: THINK e Daniel Libeskind.

In seguito a questa scelta Larry Silverstein protestò nei confronti della LMDC sostenendo di essere l'unica persona a cui spettava la scelta su chi avrebbe ricostruito il World Trade Center. Come riportato da The Observer, la scelta di Silverstein sarebbe caduta su un progetto alternativo della Skidmore, Owings and Merril; ma la sua protesta rimase inascoltata.

Nel febbraio 2003 gli studi THINK e Daniel Libeskind presentarono di nuovo i propri progetti alla LMDC. La commissione a cui spettava il compito di scegliere il vincitore intendeva incaricare THINK della ricostruzione, ma il governatore dello stato di New York Pataki sovvertì la scelta dell'ente da lui stesso istituito prima che l'annuncio fosse dato al pubblico cambiandone gli esiti.

Il 27 febbraio del 2003, il piano proposto dallo studio Daniel Libeskind fu ufficialmente nominato vincitore della gara per la ricostruzione del World Trade Center.

La seconda parte dell'articolo verrà pubblicata in seguito.