2016/01/25

World Trade Center: intervista con il sopravvissuto Gregory Carafello

di Hammer. L'originale inglese è disponibile qui.

Undicisettembre offre oggi ai suoi lettori il racconto del sopravvissuto Gregory Carafello, che era proprietario di un’azienda nella Torre Sud e che scappò dal proprio ufficio dopo il primo schianto. Oggi Gregory Carafello è tornato a lavorare nel nuovo World Trade Center con la sua nuova azienda.

Ringraziamo Carafello per la sua cortesia e disponibilità.




Undicisettembre: Ci puoi fare un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto quel giorno?

Gregory Carafello: Ero una delle 407 persone che avevano un'azienda in quei palazzi. Nei sette palazzi c'era più di un chilometro quadrato di superficie e c'erano 407 aziende e io ero il proprietario di una di queste, nella Torre Sud, al diciottesimo piano: si chiamava AbraCadabra Digital Printing. Era una società di stampa digitale a colori, che negli anni 90 era un settore molto importante.

Arrivammo presto, circa alle 7, e avevamo una riunione importante alle 9:30 quella mattina, quindi ci stavamo preparando per la riunione e dopo aver finito sentimmo l’urto, le finestre tremarono ed era una cosa inusuale per Manhattan. Non sapevamo cosa stesse succedendo, come tutti gli altri pensavamo all’incidente di un piccolo aereo, quindi cominciammo ad uscire. Il manager della struttura entrò e disse “Dobbiamo andarcene immediatamente”. Chiesi “Perché?”, visto che il nostro palazzo non aveva problemi, e mi rispose “Nel 1999 il sindaco Giuliani evacuò tutta l'area di downtown Manhattan per via di un uragano e quando lo fece ci vollero tre ore per scendere per 18 piani,” perché la gente non si rende conto che la scala è molto stretta e c'erano solo tre scale per ogni acro di piano. Quindi presi il mio PalmPilot, il mio portafogli, il mio telefono e nient’altro, perché pensavamo che saremmo rimasti fuori solo un paio di minuti.

Decidemmo di non prendere l’ascensore per ovvi motivi, ma per via dell’attentato del 1993 facevamo esercitazioni antincendio ogni sei mesi, quindi l’evacuazione fu molto ordinata. Ci vollero 16 o 17 minuti per uscire. Mentre scendevamo per le scale sentimmo forte l’odore del carburante avio arrivare dall’altro palazzo, perché c'erano 99 ascensori in ogni edificio e gli ascensori cominciarono a fare da canne fumarie con il fumo che saliva lungo di esse.

Quando uscimmo, la Plaza, che di solito era un posto bellissimo dove facevano concerti o dove potevi prendere un caffé o un cappuccino, era così danneggiata che decidemmo di allontanarci ulteriormente, arrivare alla metropolitana e andarcene, ma tutto era sbarrato e quindi non potemmo proseguire in quella direzione. Così tornammo su per le scale, uscimmo di corsa dal World Trade Center 4 e corremmo fino al One Liberty Plaza, che era dall'altra parte della strada. Eravamo lì quando il secondo aereo colpì.

Mentre eravamo lì diedi il mio telefono al mio collega e gli dissi di chiamare nel New Jersey, dove avevamo quattro sedi, per dire loro che saremmo tornati nel palazzo entro pochi minuti. Mentre guardava sopra di me vide l’aereo arrivare dietro di me.

Quando il secondo aereo colpì le cose cambiarono, le cose divennero diverse. In un istante capimmo che eravamo sotto attacco e la gente iniziò a correre fuori. Finimmo per camminare e correre attraverso la città fino al Waldorf Astoria e non ci lasciarono entrare quel giorno, perché erano al completo e non avevano più posti liberi. Quindi dovremmo implorare per avere una stanza, probabilmente eravamo tra le prime persone a salire verso la zona nord della città.

Entrammo nell’albergo e la città era come sigillata, tutti stavano guardando la televisione e così facemmo anche noi lì, seduti ad un tavolo.


Undicisettembre: Dove ti trovavi durante i crolli?

Gregory Carafello: Stavamo correndo attraverso midtown, non abbiamo saputo che le torri erano crollate fino alle 14:30.


Undicisettembre: Cosa ti è successo nei giorni seguenti?

Gregory Carafello: Lavoravo da casa ed ero molto scosso e il livello del rumore era incredibile. Nei giorni successivi fummo impegnati con l’FBI e la FEMA. L’FBI ci chiese quali dipendenti non erano venuti al lavoro quel giorno e da dove provenivano i miei dipendenti.


Undicisettembre: Hai sofferto di stress post traumatico?

Gregory Carafello: No, credo di no. Una cosa buona del parlarne è che è catartico, ti aiuta.


Undicisettembre: Eri proprietario di un’azienda ma non avevi più una sede per il tuo lavoro. Come hai gestito questa situazione?

Gregory Carafello: Dovemmo portare tutto nel New Jersey, dove avevamo delle sedi ma non avevamo grandi macchinari. Avevamo un contratto con l’assicurazione per i macchinari e per l’interruzione dell’attività. L’assicurazione per i macchinari fu molto veloce, quindi in due o tre settimane avemmo macchinari nuovi.

Ma molti dei nostri clienti erano scomparsi e quindi dovemmo ricominciare da capo.

Vendetti l’azienda nel 2004 e fino ad allora rimanemmo nel New Jersey. Adesso sono tornato a New York, ho un’altra azienda che si chiama Cartridge World e ora siamo nel nuovo One World Trade Center.


Undicisettembre: Cosa pensi dei pompieri che hanno rischiato la propria vita per salvare gli altri?

Gregory Carafello: È eroico e stupefacente che continuarono a fare il loro lavoro sapendo quale fosse la situazione. Hanno perso 343 uomini quel giorno. Ho il massimo rispetto per loro.


Undicisettembre: Come si vive nel nuovo World Trade Center?

Gregory Carafello: È il posto migliore del mondo. È un palazzo bellissimo, il palazzo più sicuro del mondo, molto moderno, molto solido strutturalmente e bello. È fantastico.


Undicisettembre: Sei orgoglioso di essere parte di qualcosa che fa parte effettivamente del processo di guarigione?

Gregory Carafello: Sicuramente sì. Chiude il cerchio. Mi piace tantissimo essere lì.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui l’11/9 fu un autoattentato?

Gregory Carafello: La gente può credere quello che vuole, ma io ero lì e ho sentito l’odore del carburante avio. Non credo che sia stato un inside job. Non credo che ci sia alcuna credibilità nelle loro asserzioni.


Undicisettembre: Quanto tempo ti ci volle per tornare alla normalità?

Gregory Carafello: Mi ci vollero anni per riprendere il ritmo, per arrivare a una zona di serenità. Ma quando hai un’azienda non puoi semplicemente cercarti un altro lavoro. Ho dovuto licenziare molte persone ed è stato difficile. Avevo 39 dipendenti che erano con me da tanti anni, avevano comprati case, automobili e avevano messo su famiglia. È duro dover dire a persone che lavorano 70 ore la settimana “Senti, non possiamo andare avanti. Qui non c’è più lavoro per te.” È una situazione molto brutta.

L’altra faccia dell’essere finanziariamente in difficoltà è che ti tiene occupato, devi far crescere la tua azienda. La situazione crea una tale motivazione che ti aiuta a far ripartire le cose.


Undicisettembre: Pensi che la città viva ancora nella paura?

Gregory Carafello: Lavoro qui dal 1981 e quindi posso dirti che nei miei 35 anni non è mai stata migliore, non è mai stata più pulita, più bella, più moderna. Ci sono 14 nuovi palazzi residenziali che sono in costruzione nel quartiere finanziario proprio adesso: è incredibile. Per me ora è al meglio di come l’abbia mai vista, e di gran lunga. È molto sicura e molto dinamica e spero che resterà così.

Ciò che la gente non capisce di New York è il volume di lavoro che vi gira. C’è più attività in un solo palazzo del World Trade Center che in metà del New Jersey.

Quindi credo che sia bellissima. Non penso che la gente vive nella paura.


Undicisettembre: Sei stato al 9/11 Memorial Museum?

Gregory Carafello: Si. Sono una delle guide. Sono stato lì sin dal primo giorno. Sono stato di sopra, dove ci sono le vasche, per un anno, e sono stato sotto, al museo, fin dall'apertura. È molto toccante, e intendo toccante per via della gente che ho incontrato e con cui ho lavorato: una compagnia magnifica. Il museo in sé è un posto molto frequentato e circa il 50% delle persone arriva dall'estero.

4 commenti:

Unknown ha detto...

"che lavorano 70 ore alla settimana"? Forse è un errore di traduzione. Sarebbero 10 ore al giorno compreso sabato e domenica. Quando stanno con la famiglia?

Leonardo Salvaggio ha detto...

Come puoi verificare dal testo originale pubblicato sul blog non è un errore di traduzione. Forse un'iperbole oppure davvero lavoravano più della norma.

Paolo Attivissimo ha detto...

Unknown,

in certi ambienti lavorativi 70 ore settimanali sono la norma, purtroppo. Non solo negli Stati Uniti; per esempio, è di questi giorni la polemica nel Regno Unito sui neo-infermieri obbligati a dedicare 90 ore la settimana al proprio lavoro. Includendo turni di notte e spostamenti casa-luogo di lavoro non è difficile raggiungere questi valori. A volte capita anche a me.

Paolo Attivissimo ha detto...

Unknown,

per rispondere alla tua domanda: chi lavora fuori casa a 70 ore/settimana semplicemente non sta con la famiglia. Si ammazza di lavoro per mantenerla. Se ha fortuna, la vede la sera tardi o per le vacanze. Succede.